Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

martedì 25 marzo 2014

Celso

Da WikiQuote:

Il discorso vero

Incipit

I Cristiani stringono fra loro dei patti che violano le istituzioni tradizionali.
I patti possono essere palesi, quando si fanno in conformità alle leggi, oppure occulti, quando vengono stipulati contro le istituzioni tradizionali.
La cosiddetta agape dei Cristiani nasce dal pericolo comune, e vale assai più dei giuramenti.
I patti fra Cristiani contravvengono alla legge comune.

Citazioni

  • La loro morale è banale, e in confronto a quella degli altri filosofi non insegna alcunché di straordinario o di nuovo. (I, 4)
  • Questi caprai e pecorai si convinsero che esisteva un solo Dio, Altissimo o Adonai o Celeste o Sabaoth o in qualsiasi altro modo piaccia loro chiamare questo mondo; e non sapevano nulla più di questo. Non fa differenza alcuna chiamare il Dio supremo Zeus, con il nome corrente presso i Greci, o con quel certo nome che ha, poniamo, presso gli Indiani, o con quel certo altro che ha presso gli Egiziani. (I, 24)
  • La dottrina cristiana è rozza, e per la sua rozzezza e la sua debolezza nelle argomentazioni ha conquistato solo persone rozze. (I, 27)
  • Di esser nato da una vergine, te lo sei inventato tu [Gesù]. Tu sei nato in un villaggio della Giudea da una donna del posto, una povera filatrice a giornata. Questa fu scacciata dal marito, di professione carpentiere, per comprovato adulterio. Ripudiata dal marito e ridotta a un ignominioso vagabondaggio, clandestinamente ti partorì da un soldato di nome Pantera. A causa della tua povertà, hai lavorato come salariato in Egitto, dove sei diventato esperto in taluni poteri, di cui vanno fieri gli Egiziani. Poi sei tornato, e insuperbito per questi poteri, proprio grazie ad essi ti sei proclamato figlio di Dio. (Il giudeo: I, 28)
  • Ma se era tenuto a tanto per dare una dimostrazione della sua divinità, egli [Gesù] avrebbe dovuto sparire dalla croce all'improvviso. (Il giudeo: II, 68)
  • Gesù minaccia e insulta con troppa disinvoltura quando dice: "Guai a voi" e "Predico a voi" perché con questo ammette senz'altro di non essere in grado di convincere, cosa che non dovrebbe succedere non dico a un Dio, ma nemmeno a un uomo di senno. (Il giudeo: II, 76)
  • [I cristiani] Deridono coloro che adorano Zeus perché a Creta se ne mostra la tomba; ciò non di meno venerano colui che è risorto dalla tomba, senza sapere come né perché i Cretesi si comportano in questo modo. (III, 43)
  • Dicono che Dio è stato inviato ai colpevoli. E perché non a chi è senza colpa? Che male c'è a non avere colpe? (III, 62)
  • Il loro maestro va in cerca di stupidi. (III, 74)
  • Anche se una cosa ti sembra cattiva, non per questo consta che sia cattiva: perché tu non sai cosa è utile a te, o a un altro, o al tutto. (IV, 70)
  • Se venisse detto che noi regniamo sugli animali, perché diamo la caccia agli altri animali e li divoriamo, si potrebbe rispondere: «Non potremmo, piuttosto, essere stati fatti noi per loro, dal momento che essi ci cacciano e ci divorano?» Noi d'altronde abbiamo bisogno di reti, di armi, di molti uomini che ci aiutino e di cani [da utilizzare] contro quelli che cacciamo: a loro invece la natura ha dato immediatamente delle armi corrispondenti, per ridurci senza sforzo in loro potere. (IV, 78)
  • E alla vostra affermazione, secondo cui Dio ci ha dato il potere di catturare le fiere e di usarne a nostro piacimento, risponderemo che verosimilmente prima che esistessero le città e le arti e rapporti sociali di questo genere e armi e reti, gli uomini venivano catturati e divorati dalle fiere, mentre era rarissimo che le fiere venissero prese dagli uomini. (IV, 79)
  • Se poi gli uomini appaiono superiori agli esseri privi di ragione perché hanno costruito le città e si sono dati una struttura politica e delle magistrature e dei governi, anche questo non significa nulla, perché altrettanto fanno le formiche e le api. (IV, 80)
  • Orbene, se uno guardasse dal cielo verso la terra, quale gli apparirebbe la differenza fra quello che facciamo noi e quello che fanno le formiche o le api? (IV, 85)
  • Se poi si ritiene che l'uomo sia superiore a tutti gli altri animali perché possiede sentimenti divini, sappiano i sostenitori di questa tesi che anche tale possesso può essere rivendicato da molti altri animali. E a buon diritto, certo. Quale facoltà potrebbe qualificarsi più divina di quella di prevedere o predire l'avvenire? Ora, questo potere gli uomini lo apprendono dagli altri animali […]. Inoltre nessun altro animale sembra esser più leale al giuramento dato, né più fedele nei riguardi della divinità, dell'elefante, e questo senza dubbio avviene perché gli elefanti hanno conoscenza della divinità. (IV, 88)
  • Riguardo alle cicogne, poi, si racconta che esse contraccambino la pietà filiale e portino nutrimento ai loro genitori in modo tale che sembrano esser più amorevoli degli uomini. (IV, 98)
  • Dunque l'universo non è stato fatto per l'uomo, e d'altronde nemmeno per il leone o per l'aquila o per il delfino, ma perché questo mondo, in quanto opera di Dio, risultasse compiuto e perfetto in tutte le sue parti: a questo fine tutto è stato commisurato, non in vista dei rapporti reciproci, se non incidentalmente, ma del complesso dell'universo. (IV, 99)
  • È dell'universale che il dio ha cura, è questo che la provvidenza divina non abbandona mai: [l'universo] non può subire alterazione, né il dio dopo qualche tempo può richiamarlo a sé, né la sua collera può essere provocata da uomini, più di quanto lo possa essere da scimmie o topi. A nessuno di questi esseri egli muoverà minacce: ciascuno di loro ha ricevuto il proprio destino, nella parte a lui assegnata. (IV, 99)
  • I Cristiani dicono che la sapienza umana è follia agli occhi di Dio. Il motivo di questa affermazione è stato esposto molto più indietro, ed è il fatto di voler fare proseliti solo fra gli incolti e gli sciocchi. (VI, 12)
  • I Cristiani sono impostori, ed evitano accuratamente le persone più sofisticate, perché poco disposte a lasciarsi ingannare; e adescano invece gli zotici. (VI, 14)
  • La sentenza di Gesù contro i ricchi, secondo cui «è più facile per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio», è stata evidentemente mutuata da Platone; Gesù ha alterato il detto platonico, in cui Platone afferma: «È impossibile per chi è eccezionalmente buono essere al contempo straordinariamente ricco». (VI, 16)
  • Di tal fatta è questo Dio, e merita di essere maledetto, secondo chi nutre queste opinioni sul suo conto, perché a sua volta ha maledetto il serpente che ha trasmesso ai primi uomini la conoscenza del bene e del male. (VI, 28)
  • Ma la più grossa stupidaggine è quella di suddividere la generazione del mondo in vari giorni, prima che esistessero i giorni: infatti quando il cielo non era ancora stato generato, la terra non si era ancora solidamente fissata e il sole non si muoveva attorno a essa, come avrebbero potuto esserci i giorni? (VI, 60)
  • È per aver frainteso la teoria della reincarnazione che i Cristiani parlano di resurrezione. (VII, 32)
  • Prestate aiuto all'imperatore con tutte le vostre forze, e impegnatevi assieme a lui nelle imprese giuste e lottate per lui e servite nel suo esercito, se egli lo esige, e combattete con lui.
    E accettate di governare la vostra patria, se è necessario fare anche questo per difendere le leggi e la pietà. (VIII, 73-75)


Da WikiPedia:

Natura degli attacchi di Celso

Celso prepara la propria argomentazione polemica elencando i dileggi indirizzati dagli ebrei ai cristiani: Gesù sarebbe nato da un adulterio e sarebbe stato educato da maghi in Egitto; la sua pretesa dignità divina mal si concilierebbe se non per paradosso, con la sua povertà e la sua morte miserabile; il cristianesimo non troverebbe fondamento nelle profezie dell'Antico Testamento e l'idea di una risurrezione (quella di Gesù) che si è manifestata solo ad alcuni suoi adepti sarebbe una sciocchezza.
Ma Celso sostiene anche che gli ebrei non sono meno ridicoli degli avversari che attaccano; questi affermano che il salvatore dal Cielo è venuto, quelli ancora aspettano la sua venuta: tuttavia gli ebrei hanno quantomeno la dignità di una nazione antica con una fede antica.
L'idea di un'incarnazione di Dio è per Celso assurda: perché la razza umana dovrebbe considerarsi tanto superiore alle api, alle formiche e agli elefanti da essere protagonista di questo esclusivo rapporto con il proprio preteso creatore?
E perché Dio dovrebbe scegliere di incarnarsi proprio come ebreo?
Complessivamente l'idea cristiana di una provvidenza che tiene in così grande considerazione gli esseri umani in quanto tali, ed una singola nazione tra loro, è considerata priva di senso, un insulto alla divinità.
Celso paragona i cristiani ad un concilio di rane in una palude o ad un sinodo di vermi in un letamaio, gracchiando e squittendo: "Per il nostro bene il mondo è stato creato".
Sarebbe molto più ragionevole credere che ogni popolo abbia la propria specifica divinità; notizie di profeti e messaggeri celesti provengono anche da molti altri luoghi.
Oltre ad essere una dottrina basata su una vicenda fittizia, il Cristianesimo non è rispettabile.
Celso sottolinea come ai maestri cristiani, in larga parte tessitori e ciabattini, non possa essere riconosciuta influenza sugli uomini davvero istruiti.
I requisiti per la conversione sono l'ignoranza ed una puerile suggestionabilità.
Come tutti i ciarlatani, i cristiani hanno riunito nient'altro che una moltitudine di schiavi, ragazzini, donne e fannulloni. L'ambiente dei riti misterici è degno di ben altra considerazione perché accoglie nella sua cerchia ristretta solo i puri, gli esenti da colpe e delitti; per il Cristianesimo il ladro, la canaglia, l'avvelenatore, il saccheggiatore di templi e tombe sono bersaglio preferito dell'opera di proselitismo.
Gesù, dicono, fu mandato a salvare i peccatori, non coloro che per proprio merito hanno redento sé stessi dalla colpa.
Celso discredita gli esorcisti - che sono chiaramente alleati dei demoni - e l'invasione di profeti vagabondi e indisciplinati che vagano per le città e le campagne a condannare al fuoco eterno la terra ed i suoi abitanti.
Ma soprattutto i cristiani sono infedeli, e ogni chiesa è un illecito collegium, un'infiltrazione mortale per ogni epoca, e in particolare sotto Marco Aurelio.
Questi infedeli potrebbero tuttavia integrarsi: un "corretto" monoteismo non sarebbe infatti incompatibile con l'adorazione di una pluralità di dèi; i cristiani dovrebbero però sottomettersi alle grandi autorità filosofiche e politiche dell'Impero, ed abbandonare quel fanatismo che li porta a elevare la loro fede al di sopra dell'autorità e a organizzare ogni aspetto della vita in funzione dei comandamenti divini ed in spregio alla legge civile.

Il punto di vista di Celso

 Voce da controllare

Se tra Celso e Porfirio è possibile trovare diverse somiglianze, bisogna anche dire che profondamente differenti sono le loro concezioni religiose.
Porfirio è principalmente un filosofo puro, ma anche un uomo di profondo sentimento religioso, per il quale il fine della ricerca è la conoscenza di Dio; Celso, amico di Luciano, benché sia talvolta considerato epicureo o platonico non è un filosofo in senso stretto ma un uomo che guarda innanzitutto alle questioni dello Stato.
Era un vero agnostico come il Cecilio Natale descritto da Marco Minucio Felice.
La loro religione non era niente di più e niente di meno che l'impero.
Era acuto, positivo, logico; univa ad alcuni aspetti etici alcune forti convinzioni morali e una buona conoscenza delle varie religioni nazionali e mitologie il cui valore egli era in grado di apprezzare.
Il suo pensiero risente dell'influenza del platonismo eclettico del tempo, e non della dottrina epicurea.
È un uomo di mondo, un filosofo, che condivide molto del pensiero platonico del suo tempo ma non il suo sentimento religioso positivo.
Nella sua critica alla cristianità, che egli considera una religione barbara e superstiziosa raggiunge posizioni scettiche e satiriche, da uomo di mondo quale si considera, facendo affiorare a tratti delle tendenze epicuree.
Cita con convinzione dal Timeo di Platone: "è cosa difficile trovare il padre e creatore di questo universo, e dopo averlo trovato è impossibile renderlo conosciuto a tutti."
La filosofia può al più dare qualche nozione su di lui che l'anima eletta deve successivamente precisare e sviluppare; i cristiani al contrario sostenevano che dio è noto a tutti e che tutti possono conoscerlo.
Un altro punto di contrasto tra Celso e i cristiani è il problema del male.
Celso considerava il male costante in quanto esso era una caratteristica della materia; perciò considerava assurda l'idea della resurrezione del corpo (a quel tempo ancora non ben definita) e ridicolo qualsiasi tentativo di sollevare le masse dalla loro degradazione.
La differenza principale tra gli gnostici e i platonici era che i platonici consideravano la forma come il bene e la materia come il male.
A un certo punto si credette che La vera dottrina fosse stata scritta a Roma, ma degli indizi (interni all'opera) indicano piuttosto un'origine alessandrina.
Questa posizione è supportata non solo dai molti riferimenti, piuttosto precisi, alla storia e ai costumi egiziani, ma anche dal fatto che gli ebrei cui si riferisce Celso non sono greci o romani, ma sono ebrei orientali, in particolare ebrei appartenenti a quella cerchia giudaica che aveva appreso e fatta propria l'idea del logos.

Opere

Discorso vero


Nel Discorso vero di Celso, del 178 circa, viene stabilito un paragone tra iniziazione cristiana e quella pagana: nella tradizione classica l'iniziazione (telete) è riservata a "Chi ha mano pura e parola assennata… chi è immune da ogni infamia e ha l'anima incapace di ogni male ed è vissuto in modo buono e onesto…" ed è mirata alla purificazione (katharsia).
Quindi agli iniziati viene imposta la condizione preliminare di non conoscere il male e di vivere secondo giustizia.
Invece secondo i cristiani: "chi è peccatore, chi è ottuso, chi è puerile e, per farla breve, chi è un disgraziato, il Regno di Dio lo accoglierà; quindi per "peccatore" non intendete forse, voi cristiani, l'ingiusto, il ladro, lo scassinatore, l'avvelenatore, il saccheggiatore di templi o il violatore di tombe?
Un pirata non potrebbe accogliere persone diverse?" (III.59). 
"Il dio dei cristiani è stato inviato ai peccatori; perché non agli innocenti? Che male c'è a non avere colpe? Perché questa preferenza per i peccatori? I cristiani dicono queste cose per esortare i peccatori, poiché non sono capaci di attirare chi è veramente onesto e giusto. Per questo spalancano le loro porte agli uomini più empi e abominevoli. Il loro dio, schiavo della pietà per chi si lamenta, consola i malvagi e respinge coloro che non fanno niente di male. Questo è il colmo dell'ingiustizia" (III.62, 64, 65, 71).
L'associazione di katharsis (purificazione) con telete (iniziazione) richiama il battesimo (nuovo spunto polemico della fine del II secolo, che sostituiva la questione dell'eucaristia che veniva presentata come un rito cannibalista) in quanto proprio nella seconda metà del II secolo l'accesso al battesimo venne regolato attraverso l'istituzione del catecumenato. In Tertulliano, De Baptismo (203 circa), e in forma più compiuta in Ippolito, Tradizione Apostolica (215 circa), si parla per l'appunto del catecumenato e dei requisiti morali che si stavano definendo.

Collocazione temporale degli scritti

La data è chiaramente definita. Oltre all'indicazione generale che l'Impero stava vivendo una crisi militare, che porta a pensare all'esteso conflitto di Marco Aurelio contro i Marcomanni e altre tribù germaniche, c'è un riferimento (VIII.69) all'editto dell'imperatore che imponeva ai governatori e ai magistrati il compito di controllare con molta attenzione le stravaganze nella religione.
Questo editto fu proclamato nel 176-177, e inaugurò la persecuzione che durò da quel periodo fino alla morte di Marco Aurelio nel 180. Durante questi anni Commodo entrò a far parte dell'impero, e Celso ha una citazione di questo (VIII.71).

Argomenti trattati nelle opere di Celso

Celso mostra familiarità con la storia ebrea della creazione del mondo.
Qualsiasi pagano che volesse capire a fondo e criticare la cristianità doveva iniziare apprendendo le nozioni basilari dell'ebraismo, e ciò è evidente nei capitoli iniziali della sua opera.
Ha una buona conoscenza della Genesi e del libro di Enoch, ma non cita molto i profeti o i salmi.
Per quanto riguarda il nuovo testamento, la sua posizione è esattamente quella espressa dai suoi contemporanei. Parla di una collezione di scritti cristiani, conosce e cita i vangeli gnostici, ma non altrettanto il vangelo di Giovanni. Conosce le idee paoline, ma non cita le lettere di Paolo.
Conosceva bene gli scritti gnostici (VIII.15 e VI.25) e il lavoro di Marcione.
Ci sono anche indicazioni che avesse familiarità con gli scritti del martire Giustino e degli oracoli sibillini.
È perfettamente conscio delle divisioni interne tra cristiani, e conosce i vari stadi di sviluppo che il cristianesimo ha attraversato nella sua storia.
Usa abilmente queste conoscenze per evidenziare che il cristianesimo si presentava come una religione instabile.
Pone a confronto le varie sette cristiane del suo tempo, l'immagine di Cristo e degli apostoli con i predicatori suoi contemporanei, le varie versioni della bibbia e dei testi sacri e così via (anche se ammette che all'inizio le cose non stavano così male come ai suoi tempi).

Influenza di Celso

La vera dottrina ebbe scarsa influenza sia sulle relazioni tra Stato e Religione, che sulla letteratura classica. Alcuni accenni ad essa sono presenti in Tertulliano e in Minucio Felice[senza fonte], e successivamente fu dimenticata finché Origene non ne propose una confutazione, suscitando nuovo interesse in essa. Buona parte della polemica neoplatonica deriva naturalmente da Celso, e sia le idee che le frasi de "la vera dottrina" si ritrovano sia in Porfirio che in Giuliano, sebbene la definizione del canone biblico nel frattempo cambiò, in qualche misura, il metodo d'attacco di questi scrittori.
L'importanza di quest'opera è il quadro che dipinge della chiesa cristiana attorno all'anno 180.
Si può dire che Celso non condivideva le aspirazioni spirituali che il Cristianesimo cercava di soddisfare, considerandolo come una delle tante sette (più che altro gnostiche) in conflitto tra loro, spesso con finalità "sediziose" rispetto allo Stato, e considerandola come un elemento di pericolo per la società romana.
Da un punto di vista morale, accusa gli insegnamenti di Gesù di plagio, essendo molte sue frasi presenti in altri scritti dell'epoca.
Tuttavia, Celso non condanna in termini assoluti la cristianità. Molto importante è il suo appello ai cristiani che chiude l'opera. "Venite, egli dice, non tenetevi a distanza dall'attuale regime politico. Schieratevi a fianco dell'imperatore. Non cercate di costruirvi un altro impero, o di acquisire delle posizioni speciali.
È un'apertura che voi potreste fare alla pace. Se tutti dovessero seguire il vostro esempio e astenersi dalla politica, la gestione di questo mondo cadrebbe in mano ai selvaggi barbari senza legge" (VIII.68).
Ammettendo che alcuni cristiani hanno successo negli affari, vuole che essi diventino dei bravi cittadini, che mantengano le loro credenze ma che si adeguino alla religione di stato.
È un ardente ed efficace appello in nome dell'impero, che era chiaramente in grave pericolo, e mostra i termini delle offerte che si facevano alla chiesa, nonché l'importanza della chiesa in quel periodo.
I cristiani, a quel tempo, nelle città più cristianizzate d'Oriente costituivano circa un decimo della popolazione (per esempio, ad Alessandria ce n'erano cinquantamila o sessantamila)[senza fonte] ma la loro influenza per attivismo era maggiore di quella deducibile da questi numeri.
Sul totale della popolazione dell'impero (oriente ed occidente, città e campagne) probabilmente costituivano il 2 o il 2,5 % della popolazione essendo concentrati per lo più nelle città e nella parte orientale dell'impero.[senza fonte]

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