Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

lunedì 30 dicembre 2013

Il Grido della Creatura

Da "http://lunariaesistenzialismo.blogspot.it/2013/12/il-grido-della-creatura.html" :


Una frase che mi ha stupito leggere, in Hegel, Pensatore noto soprattutto per la complessissima filosofia che in qualche modo ci traghettò fuori dall'essere "ancilla Theologiae" (Pier Damiani dixit). Non credo di subire smentita se affermo che questa frase di Hegel ha un taglio quasi prettamente esistenzialista, e più nello specifico, non stonerebbe in bocca a un Kierkegaard o a un Pareyson. Perchè se qualcuno ha affermato che Dio è l'invenzione più criminale, persino più della bomba atomica, è anche vero che il desiderio del Divino è insito nell'animo umano. Con "Divino" intendo tutto ciò che abbia attinenza con l'animo umano, ovvero tutto ciò che ci distingua da un sasso: emozioni, pensieri, rielaborazioni. Quel "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza", sicché l'essere umano non è che una scintilla che questo Ente Creatore ha formato a sua immagine e somiglianza. Se Dio è l'Architetto del Cosmo, l'essere umano è - in piccolo - l'architetto del mondo, che trasforma/deturpa a seconda della direzione alla quale vota il suo libero arbitrio.
Eppure Dio è morto. Per chi non crede, Dio non è neppure mai nato. Per chi ha creduto un tempo, Dio si è eclissato. Ma tutti viviamo questa condizione di orfani, - non solo perchè ci capiterà di vedere i cadaveri dei nostri genitori - ma anche perchè ci manca un sostegno perenne, qualcosa che ci sostenga nelle traversie esistenziali amare come fiele.
Come direbbe Cioran, senza il grottesco conforto di una calamità più grande, di un male più insopportabile, la nostra miseria attuale apparirebbe insostenibile: "Soffro, ma potrei soffrire di più, domani, per un altro motivo" e in qualche modo, si viene consolati.

Thomas Wiseman ebbe a scrivere, nel soliloquio della sua eroina Elizabeth, in "Una romantica donna inglese":

"Che cosa è preferibile...una felicità modesta o una splendida sofferenza? Ma la sofferenza di chi? Se potesse essere soltanto nostra. Ma la sofferenza è indivisibile. Nel lungo dipanarsi del pomeriggio, ricordò il lungo dipanarsi di altri pomeriggi privi di eventi. A volte era davvero molto felice quando non accadeva niente, tenuto conto di tutte le cose terribili che sarebbero potute accadere. A volte doveva spaventare se stessa con pensieri tremendi sulle cose tremende che sarebbero potuto accaderle, per potersi persuadere del fatto che tutte le condizioni della felicità erano presenti nella sua esistenza, e che, sotto ogni aspetto importante, ella era appagata. Quanto è perverso da parte mia, diceva a se stessa, anelare a cose che potrebbero soltanto rendermi disperatamente infelice. E allora si contraddiceva brutalmente: sì, sono felice, un cavolo felice."
     
E così il pensiero della precarietà esistenziale, di nessuna certezza ("Che triste storia, dare un nome a un'ombra", Ghiannis Ritsos. Che triste storia, dare un nome - inganno, bugia, ipocrisia, doppio fine, utilizzo sessuale -, a chi diceva di amarci, illudendoci) quel "Così né la dolcezza dell'amicizia, né la bellezza della terra, né quella del cielo potevano liberarmi l'anima dal dolore" shelleyano, rinforzato da "Il sentiero della fine è ancora aperto/niente dura, se non quello che muta!", è qualcosa che accomuna tutti noi, nella nostra diversità inconciliabile: la mancanza perenne, il poter stringere la gioia solo per poco, la condizione di orfano.
Orfano di padre, di madre, di Dio e Dia. Orfano persino di se stessi, per chi si abbandona all'apatia e al disprezzo di sé.
Assumiamo i contorni di fantasmi pallidi e sbiaditi, accasciati.
Niente che riesca a scuoterci, niente che riesca veramente a guarirci dalla prostrazione.

Dio è morto, e il grido delle sue creature riecheggia nell'ossario.
Un cadavere divino, già gonfio e violaceo nella decomposizione.
Oppure no, Dio è immortale. Ma è Muto. E il suo silenzio (Anatema su di te, Dio sdegnato e silenzioso, troppo altero e superbo, per parlare alle tue creature!) lo rende morto in ugual modo.

Non era de Sade a dire che un tale Dio, un Dio silenzioso, merita il nostro disprezzo? Che è diecimila volte meglio offendere questo dio disprezzabile con il vizio e la lussuria, da lui aborriti?

è lo scandalo inaudito, incredibile, della creatura che chiama il Creatore "Mio Dio, mio Dio perchè mi hai creato?", come il Mostro di Frankenstein chiama "il padre" Victor, a cui deve l'esistenza.

Vale la pena riportare qualche frase tratta da "Frankenstein" di Mary Shelley:

"Avevo lavorato duro per quasi due anni, con il solo fine di infondere la vita in un corpo inanimato [...] ma ora che avevo finito, la bellezza del sogno scompariva, e un orrore e un disgusto affannoso mi riempivano il cuore. Incapace di sopportare l'aspetto dell'essere che avevo creato, uscii fuori di corsa dalla stanza."

"Avevo lavorato duro per ere ed ere secolari, plasmando ogni cosa, dai vulcani ribollenti di magma all'umile filo d'erba, dalle nuvole aeree ed impalpabili alle fragili ali delle libellule. Avevo poi plasmato l'essere umano: ma ora che avevo finito, la bellezza del sogno scompariva e un orrore e un disgusto affannoso mi riempivano il cuore. Incapace di sopportare l'aspetto dell'essere che avevo creato, maschio e femmina, uscii fuori dal cosmo, abbandonandoli a loro stessi."

"Mio Dio, mio Dio, perchè mi hai creato?" chiedono l'uomo e la donna, nell'Eden deserto. A rispondere loro, solo il fruscio delle foglie secche, che ondeggiano al vento.

1 commento:

  1. Mi fa piacere sapere che ti è piaciuto :) è nato in un pomeriggio di estrema cupezza e abbandono. Volevo farci un video, magari, da mettere su youtube. :)

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