Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

lunedì 7 ottobre 2013

Il libro di Zong Baichi


Il nome di Zǒng Báichī scritto in ideogrammi "zhongwen" sino-tibetani




Il libro di Zǒng Báichī

La dinastia Zhou (周朝; Pinyin: Zhōu Cháo) è una dinastia di regnanti che governarono nella Cina antica fra il XII e il III secolo a.C.
Viene tradizionalmente suddivisa in due sottodinastie principali, la dinastia occidentale (cinese: 西周; pinyin: Xī Zhōu) (XIII secolo a.C.-VIII secolo a.C.) e la dinastia orientale (cinese: 东周; pinyin: Dōng Zhōu) (VIII secolo a.C.-III secolo a.C.).
In questo ultimo periodo, verso il IV secolo a.C. della Dinastia Dōng Zhōu, sono ambientati i racconti del maestro Zǒng Báichī.
Con certezza sappiamo che egli viaggiò per molti anni da solo, addirittura fino in Occidente, e senza mai proferire insegnamento, leggendo dal  greco numerosi testi e conoscendo alcuni tra i grandi filosofi della Grecia antica del periodo.
Infine nella seconda metà della sua vita (gli anni di nascita e morte non sono precisi, ma si suppone che visse fino a 102 anni) ritornò in patria, e viaggiò, alle volte con dei discepoli, nelle corti e nei villaggi del paese.
E' ben conosciuto, invece, il fatto che indossasse sempre vesti bianche e che amasse fumare una pipa di gesso, unico piccolo e discreto vizio (come lui stesso ammetteva), e che avesse modi estremamente garbati ma sinceri e diretti.
Aveva usi e costumi molto umili e si diceva potesse rimanere senza cibo anche per molti giorni.
Questi racconti riportati sono stati tradotti da scritti dei suoi discepoli ed intellettuali del tempo che lo hanno potuto incontrare ed a cui le sue parole ed azioni hanno cambiato il modo di vivere.

Traduzione, da un testo in cinese mandarino, di Marco Vignolo Gargini (©) 2011-2013
 
Qui sono riportati soltanto i primi 13 racconti delle sue storie... (LexMat)


I
Biāojì corre dal maestro Zǒng Báichī dopo aver visto morire il proprio cane e chiede: «Illuminato, perché non possiamo fermare la morte? Chi siamo noi? »
Zǒng Báichī, intento a pulire un pesce che aveva appena pescato, non alza lo sguardo e risponde pacatamente:
« Tu apri l’ombrello per pararti dalla pioggia, ma non l’arresti. Hai l’illusione di non esserti bagnato.
Noi siamo come l’ombrello. Siamo una vita aperta che non arresta la morte ma la differisce.
Pioverà sempre. Scamperemo le gocce, fino a quando saremo noi a cadere, a precipitare. »
Ma la risposta non consola Biāojì che, in lacrime, si aggrappa al braccio di Zǒng Báichī e mugola:
« Perché nascere se poi dobbiamo vedere morire chi ci è caro e seguirlo nella stessa sorte? »
Zǒng Báichī si libera dalla stretta del ragazzo e con dolcezza sussurra:
« Questo pesce è nato per nutrire il mio corpo mortale; io sono nato per nutrire la terra che ospiterà il mio corpo putrefatto; la terra è nata per trasformarsi in un’altra materia quando il nostro pianeta finirà… Sii triste, ne hai il diritto, ma non prendertela con la morte, nemmeno lei è libera di vivere… »


II
L’inondazione aveva distrutto campi, case, strade. Dappertutto si sentivano grida di disperazione e lamenti… ma un giorno apparve Zǒng Báichī con la sua veste bianca e la pipa di gesso.
Ascoltava in silenzio, guardava la desolazione.
Un gruppo di persone si avvicinò e chiese a Zǒng Báichī: «Chi sei tu? Un emissario dell’imperatore? Sei venuto per confortarci, per riparare i danni? » Zǒng Báichī rispose indicando il cielo con il dito e poi puntando lo stesso dito verso la gente che stava immobile ad aspettare una parola, un segno.
Qualcuno, indispettito, si fece avanti: «Qui c’è bisogno di mani che scavino, di braccia che ci aiutino a tirare fuori i nostri morti dal fango, e tu te ne stai zitto… »
Zǒng Báichī: «No, io vi do il cielo con il mio dito e lo porto a voi. Fatevi acqua contro l’acqua che annienta, spandetevi come mille torrenti e rimetterete tutto a posto. L’acqua che vi ha abbattuto vi servirà per pulire voi stessi e le vostre cose.» Seguì il silenzio e lo smarrimento delle persone.
Zǒng Báichī si allontanò e proseguì il suo cammino.
Da quel giorno, in quello stesso luogo, i superstiti dell’inondazione costruirono un villaggio chiamandolo Shì shuí, e a ogni anniversario della comparsa di Zǒng Báichī celebravano la loro rinascita.


III
Il monaco venuto dall’Occidente si fermò a Chī Tǔdòu, sembrava un semplice viaggiatore che faceva scalo per poi ripartire, ma ben presto la gente del posto comprese quali fossero le sue reali intenzioni: convertire le donne e gli uomini alla sua religione.
Furono chiamati diversi rappresentanti di diverse confessioni religiose per scoraggiare il monaco e sconfiggerlo sul piano della parola, con scarsissimi risultati.
Il governatore locale, preoccupato, temeva che il popolo iniziasse a seguire il monaco e ad abbandonare i costumi tradizionali, perciò si decise a cercare qualcuno che lo aiutasse a salvare la cultura del suo paese.
Zǒng Báichī giunse a Chī Tǔdòu per caso, doveva portare a riparare un paio di sandali da un artigiano molto famoso e molto bravo, quando vide nella pubblica piazza un capannello di persone intorno alla figura del monaco, che stava parlando del suo dio e cercava di convincere tutti della bontà della sua religione.
Zǒng Báichī si fece largo tra le persone e si mise a scrutare il monaco con aria serafica.
Dopo un minuto passato in silenzio, Zǒng Báichī chiese al monaco semplicemente se aveva una moglie e ottenne questa risposta: «Il mio dio non vuole che io abbia una moglie, perché debbo restare puro e casto per essere d’esempio agli altri».
Zǒng Báichī sorrise compiaciuto e rispose secco: «Il seme tenuto sotto una campana di vetro non germoglia anche se resta puro». La gente restò muta per un attimo, poi, guardando il monaco con aria perplessa, cominciò a sfollare.
Da quel giorno nessuno badò più allo straniero e il monaco venuto dall’Occidente lasciò Chī Tǔdòu molto sconfortato.


IV
Il danzatore Zhàměng era molto apprezzato, a corte presso l’imperatore, nelle case dei funzionari, nelle pubbliche piazze, il suo nome circolava da anni e la fama raggiunta gli aveva fatto guadagnare una discreta somma di danaro.
Nel villaggio di Shù kǒu lo attendevano da giorni, il suo spettacolo Shénme shì tǎoyàn! era stato annunciato come un evento da non perdere e tutti non vedevano l’ora di assistere a questo grande avvenimento.
Finalmente il banditore ufficiale si presentò vestito di porpora comunicando alla popolazione del villaggio che lo spettacolo di Zhàměng si sarebbe tenuto quello stesso giorno subito dopo il tramonto nello spiazzo adibito a mercato. Così fu.
Spettatori vennero anche da altri luoghi vicini e l’arena che di solito risuonava delle voci dei pescivendoli, dei pizzicagnoli, dei verdurai e dei beccai divenne lo spazio di un’esibizione artistica.
Un’ora e mezza di spettacolo con suoni celestiali eseguiti da una piccola orchestra composta da due suonatori di Èrhú, tre di Xiāo, uno di Húlúsī e uno di Xiaogu che accompagnavano le coreografie.
Zhàměng era inoltre circondato da fiaccole accese che lo illuminavano, e le sue piroette, i balzi felini, i delicati movimenti e tutto ciò che serviva alla scenografia appassionarono il numeroso pubblico.
Al termine dell’esibizione, il divino danzatore si rivolse al pubblico ringraziandolo e mettendosi a disposizione per incontrare chiunque volesse porgli delle domande o comunicargli qualcosa.
In mezzo alla folla si alzò Zǒng Báichī, arrivato a Shù kǒu per assistere a Shénme shì tǎoyàn! con calma raggiunse la scena dove si trovava il danzatore, si inchinò di fronte all’artista e iniziò a parlare.
«L’aria che sentiamo fresca la mattina è invisibile, seppure ci sferzi e ci sembri presente come una persona che ci abbraccia. Il fuoco che riscalda le nostre intirizzite membra non può essere toccato se non a rischio della nostra morte.
Questa terra che calpestiamo, coltiviamo, amiamo, ospita il mondo conosciuto da secoli e pare immortale.
L’acqua della pioggia, dei fiumi, dei mari scende, scorre, si alza e si abbassa, e sempre sarà così.
Ma l’uomo che crede di poter rappresentare aria, fuoco, terra e acqua non è ancora giunto e non giungerà mai. Qualcuno potrà imitare l’incedere della tigre, ma non avrà mai una tigre che con parole lo smentirà.
Un altro vorrà sedurre facendo finta di essere materia plasmabile e mobile, ma sarà costretto a nascondere la sua reale natura. Chiamati ad apprezzare l’imperfetta imitazione di tutto ciò che esiste, ricordiamoci di avere dinnanzi l’illusione e la menzogna, non la verità che non necessita di essere recitata, danzata, musicata o quant’altro».
Zǒng Báichī concluse facendo un inchino a Zhàměng e abbandonando il luogo dello spettacolo.
Il suo discorso fu ricordato a lungo e riscritto fedelmente con il titolo Wúyòng de yìshù.


V
L’assassino sognò un fiume e un tronco d’albero che vi scorreva dentro.
Il cielo era cupo, le montagne incombevano con il loro verde reso cinabro dalla luce scura, la natura intera sembrava intenta ad osservare la sorte del tronco d’albero… un gufo scese in picchiata e atterrò sul tronco, con gli artigli ben saldi sulla corteccia… ben presto tutto sarebbe finito nella cascata che attendeva il gufo e il suo veicolo.
Mancavano due giorni all’esecuzione e l’assassino si svegliò di primo mattino con le immagini del suo sogno.
Volle capire il significato, chiese, implorò che fosse chiamato Zǒng Báichī per avere una spiegazione e poi morire in pace.
Fu accordata la visita, venne invitato Zǒng Báichī. Il sorvegliante della cella dell’assassino vide arrivare uno strano individuo vestito di bianco che fumava una pipa di gesso e non fu molto convinto.
Lo fermò. «Sei tu colui che è stato chiamato? Non sembri uno dei soliti Jiàoshī…»
«Non lo sono per niente, ma so guardare in faccia le cose e dire come stanno, cosa fanno, dove vanno.»
«L’assassino ha chiesto di te, ma non sappiamo il motivo che lo ha spinto a questo gesto.»
«Tu fammi entrare e lo scoprirò.»
Dopo una mezz’ora Zǒng Báichī uscì dalla cella con la stessa aria che aveva quando vi entrò.
Il sorvegliante gli chiese: «Cosa ti ha detto?» «Voleva conoscere il significato di un sogno.»
«E tu sei stato in grado di darglielo?»
«Nel suo sogno la morte atterrava sul suo corpo e l’accompagnava verso la fine. Niente di speciale.»
«Ah, tutto qui?» «Per un tronco d’albero è tutto qui, ma per una vita viva è il senso della nostra esistenza.»
Il sorvegliante non capì la frase e si limitò ad aprire la porta della prigione per far uscire Zǒng Báichī.


VI
Il veggente Máng yǎn shǔ riceveva i suoi ospiti nella grotta dove viveva da anni.
Per chiunque avesse voluto addentrarsi nell’antro buio e tetro era richiesta una sola cosa: non portare con sé alcuna luce. Guai a chi varcava la soglia con un solo lumino o a chi dava l’impressione di temere di inciampare, Máng yǎn shǔ lo arrestava subito intimandogli di avanzare senza paura e nell’oscurità.
Più volte le persone non riuscivano a superare i propri limiti e puntualmente venivano allontanate rinunciando ad avere in cambio le risposte alle domande.
Non venivano fatte eccezioni, nemmeno per i personaggi altolocati.
Un giorno Máng yǎn shǔ fu visitato da Zǒng Báichī, venuto apposta per un consulto a cui teneva tanto.
I due si salutarono con grande cordialità, il veggente invitò il visitatore a sedersi di fronte a lui assumendo la posizione jīngāngzuò.
«Chiedi pure e io ti darò il mio responso.»
«Hai mai avuto paura delle tue visioni?»
«Sempre. Ma ho imparato a dominare il mio tremore.»
«Qual è la mia paura maggiore?»
«Quella di non averla.»
«Secondo te, perché sono qui?»
«Per tentare di smascherarmi.»
«E ci riuscirò?»
«Solo se avrai paura di farlo.»
«Non sto pensando ad altro…»
«Tu hai con te una lampada e muori dalla voglia di accenderla…»
«Tu non vuoi…»
«Ti do il permesso.»
A questo punto Zǒng Báichī accese la sua lampada… non aveva nessuno davanti a sé, la luce illuminava le pareti della caverna… la spense…
«Era come mi immaginavo: siamo noi i nostri stessi veggenti, rischiarati dal buio e accecati dalla luce…
Non dirò a nessuno quello che ho visto…»
«Non potresti. Nessuno ti crederebbe.»


VII
«Quante sono le onde del mare?» Chi fosse stato in grado di rispondere a questa domanda posta dal ricco Yībùfèn sarebbe stato ricompensato con terre e palazzi nella provincia di Qīngwā.
Da tre decenni nessuno fu capace di fornire la soluzione al problema, da parecchi mesi i concorrenti si erano ritirati. Zǒng Báichī, in una sosta del suo pellegrinaggio, incontrò Yībùfèn al mercato mentre acquistava drappi per la sua enorme residenza.   «Vedo che ne hai da spendere…»
«E ne avrei anche da dare se solo sapessero rispondere…»
«Rispondere a cosa?»
«Alla domanda che pongo da più di trent’anni e mi ossessiona.»
«Quale sarebbe?»
«Quante sono le onde del mare?»
«Lo credo che nessuno abbia mai saputo soddisfarti…»
«Perché dici così? Chi sei tu?»  
«Il mio nome è Zǒng Báichī, ma non è importante. So comunque ciò che desideri così ardentemente sapere… L’aria è una, il mare è uno e l’onda è una.»
«Una sola onda?»
«No. Un’onda alla volta per infinite volte. Non puoi calcolare l’infinito. Chiedere all’uomo di seguire un’onda e contemporaneamente seguirne un’altra è come chiedere di alzare tutte e due le gambe e restare in piedi.»
«Allora non c’è risposta…»
«Le domande vere non avranno mai risposta.» 
Yībùfèn rimase impressionato e comunicò a Zǒng Báichī la sua intenzione di ricompensarlo con le terre e i palazzi nella provincia di Qīngwā che aveva promesso a chi rispondeva.
«Ti ringrazio, ma io non ho risposto. Solo gli sciocchi o i furbi fanno queste domande, ben sapendo che nessuno riuscirà mai a risolvere il problema.
Io ho terre e case in ogni dove, come tutti, terre e case senza recinti e senza muri, non potrei limitarmi a quel poco che mi doni tu.»
«Le proprietà che ti offro tu le chiami “poco”?»
«Certo! È il non possesso delle cose a renderti infinitamente ricco…»


 VIII
Di notte, fuori dalla sua casupola, un bambino stava seduto su di un masso con il volto rivolto verso l’alto.
Zǒng Báichī, che amava viaggiare di notte, passò di lì e vide il bambino.
«Piccolo uomo, cosa fai qui solo nel buio?»
«Non sono solo.»
«Quando me ne sarò andato non ci sarà più nessuno…»
«La luna è sempre con me.»
«Hai ragione. E siete amici tu e la luna?»
«Sì, parliamo molto e lei tutte le notti mi canta la ninna nanna.»
«Questo è molto bello. Mi piacerebbe ascoltarla.»
«Puoi metterti accanto a me e la sentirai.»
Zǒng Báichī si sedette vicino al bambino e guardò la luna rimanendo in silenzio per diversi minuti.
Ascoltò il battito del suo cuore, il respiro suo e del bambino, il frusciare delle foglie degli alberi, l’abbaiare lontano di un cane che un refolo di vento portava, e piano piano, cullato da tutti questi suoni, si addormentò. La mattina si svegliò e al suo fianco vide un bigliettino lasciato dal bambino: “Yuèliàng ti saluta tanto”.
Una felicità mai provata prima riempì il cuore di Zǒng Báichī.
Prima di riprendere il cammino estrasse dal suo sacco lo stilo e l’inchiostro e lasciò scritto sul bigliettino “Grazie!”.
Da quel giorno Zǒng Báichī si addormentò sempre ascoltando la ninna nanna della luna.


 IX
In una notte più buia e opprimente del solito, Zǒng Báichī insonne si smarrì ascoltando il suo cuore, che lo implorava di trovare una residenza fissa senza dover errare ancora.
Fu una lotta serrata tra sentimenti profondi e contrastati, si concluse con la decisione di incontrare l’unica persona in grado di offrirgli un consiglio saggio: Jiāntīng Huíshēng.
Si mise in cammino per raggiungere il luogo dove abitava l’uomo che avrebbe sciolto i suoi dubbi.
Jiāntīng Huíshēng abitava al termine di una gola molto impervia in un casolare che lui stesso aveva costruito pietra dopo pietra, anno dopo anno.
Zǒng Báichī percorse tutta la valle e, sfinito, arrivò a destinazione.
Jiāntīng Huíshēng lo stava aspettando sulla porta.
«Salute a te, mio maestro. Perdona l’affanno della mia voce…»
«Non dolerti di questo. Dimmi cosa ti ha condotto quaggiù.»
«Non so più se sia giusto continuare a viaggiare o scegliere un posto dove rimanere per sempre.»
«Capisco. Tu sei stanco perché non trovi la tua casa.»
«Sì. Ho bisogno di fermarmi e costruire il mio alloggio.»
«Anch’io ero come te. Poi scoprii questo sito e lo scelsi come mia dimora.
Qui posso udire l’eco della mia voce e di tutte le voci del mondo. Ho udito anche la tua.
Il casolare che vedi l’ho edificato con le pietre da me raccolte durante tutti i miei viaggi.
Tu mi hai incontrato molti anni fa, ma non hai capito che questa è la mia dimora perché ogni mio spostamento contribuiva a innalzarla. Cominciai con una pietra che presi in una regione sperduta a oltre mille lǐ dal luogo in cui ti trovi.
Io provenivo da quel luogo e la pietra era in prossimità della tomba di mio padre. Così è nata la mia casa.
Ma non credere che sia finita. Finché potrò muovermi porterò altre pietre qui…
Tu sei triste perché sei sempre tornato a mani vuote dai tuoi viaggi.»
«Allora devo iniziare anch’io a raccogliere pietre?»
«Non così. Torna là dove sei nato, visita la tomba di tuo padre e prendi la pietra più vicina.
Quella sarà la prima pietra della tua casa. Ma tutto questo non avrà senso se tu non hai già scelto dove risiedere.»
«Mi stai dicendo che dovrò ricominciare a viaggiare…»
«Ti sto dicendo che dovrai dare un senso e un fine ai tuoi viaggi.
Finora sei sempre stato uno straniero perché ovunque ti trovassi non eri mai a casa.
Ora potrai fare il giro del mondo, come me, e sapere che la tua casa sarà composta da tutte le pietre del mondo.»
Con queste ultime parole di Jiāntīng Huíshēng la stanchezza e la tristezza di Zǒng Báichī sparirono.


X
Quando si avvide che era giunto il momento di lasciare questa terra il padre chiamò il figlio presso di sé per comunicargli i suoi ultimi pensieri.
«Presto il sole tramonterà e con lui io partirò destinato a un viaggio senza ritorno.
Non ci vedremo più, figlio caro, ma spero che quanto sto per dirti resterà dentro di te come la mia più bella eredità.
Ho commesso i miei errori e mi dispiace di averli fatti pagare anche ad altri.
Impara intanto a non ripetere questo mio sbaglio.
Nonostante tutte le mie precauzioni, non ho onorato sempre gli impegni trovando scuse e discolpe per giustificarmi.
Assumiti gli oneri delle tue manchevolezze, non fare l’indulgente con te stesso.
Non voler apparire, come ho fatto io, un sapiente che non ha mai bisogno di chiedere aiuto.
Ammetti le tue debolezze e cerca di far capire alle persone la bellezza di questo riconoscimento.
Non farti chiamare saggio, quando non lo sei, e non considerare la tua età che avanza come garanzia assoluta del miglioramento del tuo intelletto.
C’è chi invecchia diventando sempre più sciocco…
Piuttosto, fatti chiamare “scemo totale”, sarà sempre meglio dell’ostentazione di un’intelligenza fasulla, immaginaria…»
Pronunciate queste parole, il padre fece segno al figlio di essere giunto alla sua fine.
Si spense dolcemente, come un bambino che si addormenta.
Da quel giorno il figlio scelse proprio l’appellativo suggerito dal padre e fu così che si fece chiamare Zǒng Báichī.


XI
L’uomo il cui sorriso si era spento aveva deciso di uccidersi con la nuova luna.
A niente valsero le invocazioni della moglie, dei figli, degli amici.
Un’ombra di cupa e indissolubile tristezza lo aveva invaso da una settimana, dopo che il raccolto era andato male a causa del brutto tempo.
Fu un susseguirsi di emozioni meste, di sconforti, di amare riflessioni a gettare nell’apatia e nel più totale avvilimento questa persona un tempo nota nel suo paese per il piglio energico, per la vitalità.
La moglie, disperata, ricordò di aver incontrato nelle vicinanze Zǒng Báichī mentre stava meditando e di averlo subito considerato un saggio.
Tornò nel luogo del primo incontro e fortunatamente lo incontrò di nuovo.
Spiegò l’accaduto e implorò l’eremita vestito di bianco con la pipa di gesso di fare qualcosa per salvare il marito.
Zǒng Báichī tranquillizzò la donna e con lei si mise in cammino per compiere questa missione.
L’uomo il cui sorriso si era spento stava al buio nella sua stanza da letto e non si mosse vedendo entrare l’ospite.
«Salute a te, nobile Nóngmín!»
«Salute… chi sei?»
«Tua moglie è venuta da me per chiedere di convincerti a rinunciare al tuo proposito.»
«Non vedo come tu possa farlo… dopo anni di duro lavoro, la scure della miseria è piombata sul collo mio e della mia famiglia, non posso rispettare gli impegni con i miei creditori e tutto mi è avverso…»
«I creditori sono solo uomini…»
«Già, solo uomini… è per questo che considero migliori gli animali!»
«Allora gli animali sono migliori di te, che sei un uomo. La piccola Yúnquè non abbandona mai il suo nido, qualunque tempo faccia, qualunque avversità si presenti. E il possente Xióng è disposto a prendersi le frecce dell’arciere pur di salvare la prole. Ma tu vuoi andartene e lasciare la famiglia nella costernazione e alla mercé dei tuoi creditori. Non contento di te stesso, intendi immolare tutti i tuoi cari, renderli schiavi, disprezzare le loro vite. Sì, hai ragione, gli animali sono migliori di te, che sei un uomo. Per questo non ho più niente da fare qui. Ti lascio ai tuoi foschi e indecenti pensieri. Provo pietà per tua moglie, per i tuoi figli… per te non mi va di provare niente.»
L’uomo il cui sorriso si era spento vide Zǒng Báichī uscire dalla sua stanza, udì la moglie singhiozzare, la voce sconsolata dei figli, e provò un senso di vergogna immenso.
Si alzò dal letto e giurò a tutti che non avrebbe mai più pensato di togliersi la vita.


XII
Il pastore errava immerso nei suoi pensieri, ogni tanto rivolgeva un’occhiata al suo gregge, assicurandosi che le pecore non corressero alcun pericolo, per poi tornare subito alle proprie tristi riflessioni.
Non era contento della vita che conduceva, gli pareva che il mondo fosse ingiusto e le relazioni tra gli uomini dettate solo dall’interesse più bieco.
Da molto tempo era particolarmente inquieto, avrebbe voluto restare per sempre immerso nella natura insieme ai suoi amati ovini.
Un giorno si decise a prendere la strada che lo portava sul Monte Wutai, famoso dappertutto per la freschezza del suo clima.
Giunto quasi alla meta il pastore sentì di avere il respiro pesante, il fardello della sua infelicità lo opprimeva e gli impediva di proseguire.
A pochi passi da lui un uomo vestito di bianco se ne stava tranquillamente appoggiato ad una roccia fumando una pipa di gesso. Il pastore si avvicinò, ma non fece in tempo ad aprire bocca.
«Conosci la leggenda di Wenshu?»
«Non so di cosa stai parlando…»
«Eppure questo monte è rinomato per il miracolo di Wenshu e la roccia del Re Drago.»
«Non la conosco…»
«Il Bodhisattva Wenshu giunse su questo monte e vide che il clima era terribile. Lui comprese le sofferenze degli abitanti, ebbe compassione per i coltivatori che non riuscivano a raccogliere i frutti della terra, così decise di recarsi dal Re Drago per ottenere la sua Xielong, la roccia del riposo. Wenshu, camuffatosi come un monaco, chiese quella roccia al Re, che non intendeva dare né rifiutare… Il Re rispose che avrebbe concesso la roccia solo a chi sarebbe stato in grado di portarla via senza aiuto, confidando nell’impossibilità dell’impresa. Wenshu recitò un mantra e trasformò la roccia gigante in una pallina, che finì nella sua tasca… La roccia fu sistemata qui e da allora il monte ha un clima temperato.»
«È molto bello ciò che dici, ma non credo possa alleviare i miei affanni…»
«È vero, non ti può essere d’alcuna utilità, almeno che tu non riesca a trasformare in una pallina la roccia del tuo cuore.»
«Io non sono un Bodhisattva…»
«Nemmeno io, però ho imparato a rimpicciolire il mio cuore e a mettermelo in tasca.» 
Il pastore comprese le parole di Zǒng Báichī, sostò per alcuni istanti davanti al monte, si volse indietro e riportò il suo gregge verso la via di casa.


XIII
Una volta un ragazzo chiese a Zǒng Báichī perché non aprisse una scuola.
«Aprire è un gesto di cui tutti sono capaci, ma la maggioranza spalanca porte che danno su un muro di pietre. Se il mio sentiero non è fatto, lo debbo tracciare io e poi gli altri mi seguiranno, se vorranno. Non credo nelle scuole, troppi vi vanno per non imparare e troppi vi insegnano senza sete di sapienza. Io non aprirò mai una scuola, la scuola aprirà me e così sarò ancora pronto a ricominciare, a segnare nuovi sentieri.»
Il ragazzo smise di andare a scuola e i genitori contrariati si recarono da Zǒng Báichī accusandolo di aver incitato il figlio a disubbidire.
«Non dovete prendervela con me ma con chi ha deluso vostro figlio. Lui cercava un maestro nella scuola dove andava e non l’ha trovato. Ha trovato soltanto regole e nessun insegnamento. Potete pure denunciarmi, continuerete a non capire che il vostro egoismo unito a quello di chi vi tiene in scacco è la massima garanzia dell’ignoranza.»
I genitori del ragazzo chiesero allora a Zǒng Báichī come comportarsi.
«Ditegli di tornare a scuola per apprendere il vuoto. Osservando chi non sa apprendere imparerà le lezioni più utili per tracciare il suo sentiero futuro.»

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