1. Le cose oltre la soglia Howard Phillips Lovecraft conta ammiratori entusiastici e detrattori accaniti. Liberato di ogni passionalita', si rivela a mio giudizio come autore davvero grande. Intendiamoci, sul piano meramente letterario resta lontano (anche se non poi tanto) da Edgar Allan Poe: di quest'ultimo gli mancano umorismo, senso del grottesco, verve letteraria e malleabilita' tematica. Tuttavia l'opera di Lovecraft, quanto meno nei suoi esempi migliori, ha una consistenza, un potere di suggestione, una carica tragica e visionaria che ne sovrastano di gran lunga i difetti. Il tema dei racconti piu' noti e' sempre lo stesso, e riguarda la sotterranea sopravvivenza di culti ancestrali, risalenti a un tempo imprecisato in cui la terra era dominata da divinita' minacciose e da enigmatici guardiani. Quelle divinita', appartenenti a un pantheon cosmico facente capo ad Azathoth, dio pazzo e cieco che urla al centro dell'universo, attendono solo l'occasione di varcare nuovamente le porte che li separano dai loro antichi possedimenti per riprenderne il controllo. E l'occasione pu• essere fornita dal rinverdirsi di religioni proibite, dalla lettura di un libro maledetto o dall'aprirsi occasionale di una fessura spazio-temporale. In pratica, in ogni crepa del reale si celano mostri indescrivibili e incomprensibili, che spiano i passi di un'umanita' troppo sicura di se stessa e della solidita' del contesto in cui si muove. Si nota subito un'impostazione antipositivistica e una critica radicale all'idea di progresso: il futuro non ci riserva che incubi, ne' c'e' speranza di sottrarci alle forze che ci attendono al varco. Ma ci• non implica in alcun modo l'adesione a culture di tipo "tradizionale". Per queste ultime la stagione migliore dell'umanita' - negli ordinamenti, nelle scienze, nei traguardi di pensiero - appartiene a un passato lontano che va riconquistato. Invece, per Lovecraft, il passato remoto e' terrificante quanto il futuro, e solo il presente e il passato prossimo, semmai, garantiscono una fragile parvenza di "normalita'". E' abbastanza evidente che l'autore vive in un'epoca segnata dall'incertezza, in cui tutto si e' relativizzato. Lo si vede confrontando le sue tematiche con quelle di altri scrittori del filone da lui definito dell' "orrore soprannaturale". Almeno nei piu' noti, l'avversario tipico del mostro e' lo scienziato, l'uomo che fa lume sugli angoli bui. Cosi' l'antagonista di Dracula e' Van Helsing, medico che indaga l'occulto con metodi scientifici; lo stesso dicasi per il dottor Hesselius, nemico degli spettri e dei vampiri di Le Fanu, e per altri "indagatori dell'occulto" letterario. Anche quando e' proprio lo scienziato a creare l'essere mostruoso, come nel caso di Frankenstein o del dottor Jekyll, e' poi egli stesso a condurre, o a cercare di condurre, la lotta contro la sua creatura. Si tratta, in pratica, di incidenti di percorso sulla via di un progresso visto si' come irto di pericoli, ma anche come inevitabile. La visione di Lovecraft - come anche quella di Jean Ray, che con l'americano condivide il titolo di maggiore autore di letteratura fantastica del nostro secolo - e' radicalmente diversa. Per l'umanita' non c'e' alcun futuro, ma solo un'agonia piu' o meno lunga. E non c'e' nessun dio da chiamare in soccorso: proprio le divinita' sono la minaccia. Quanto alla scienza, sebbene sia menzionata raramente, non rappresenta affatto un'arma di difesa. E' stata anzi proprio essa a rivelare un universo desolato e gelido, del tutto indifferente alle creature che lo popolano. In un cosmo del genere, le sole entita' con diritto di cittadinanza non possono che essere le abominazioni striscianti e mucillaginose acquattate in anfratti insondabili o nel buio delle profondita' oceaniche, dove conducono un'esistenza barbarica e idiota. Il nome di "dei" spetta loro non perche' creino alcunche', o regolino il selvaggio dominio del caos, ma solo per via del loro diritto di progenitura sugli altri esseri viventi. Uno scenario analogo a quello disegnato da Lovecraft - o anche da Hodgson, autore molto affine per temi e suggestioni - non poteva essere concepito negli anni della scienza trionfante. Occorreva che Einstein ridimensionasse la sfera dell'uomo nello spazio e nel tempo, che Freud e Jung portassero alla luce l'orda di fantasmi celata sotto la logica e l'intelligenza, che la meccanica quantistica incrinasse la stessa nozione di reale, dimostrando come alla base di ogni legge di natura vi siano causalita' e anarchia. I Magri Notturni di Lovecraft, cosi' come il Grand Nocturne di Jean Ray o la fauna abissale di Hodgson non sono altro che i fantasmi vermiformi venuti allo scoperto quando la conoscenza scientifica ha rimosso le pietre su cui poggiavano certezze risultate effimere. In altra sede ho definito la fantascienza come quel filone della letteratura popolare che situa le proprie storie nel contesto dei sogni e degli incubi generati dallo sviluppo scientifico, tecnologico e socio-economico di un'epoca data. Se si accetta questa definizione, Lovecraft ci appare come pieno scrittore di science fiction (come avevano a suo tempo intuito Fruttero e Lucentini), anche se adotta moduli apparentemente mutuati dal genere horror. Nessuno come lui appare integralmente e coscientemente immerso nel contesto della scienza del suo tempo. Nessuno come lui riesce a cogliere la sconvolgente portata di nuove scoperte destinate a diffondere ombre dove si supponeva essere chiarezza, e gelo dove si cercava calore. Sono quelle le vere fessure che incrinano la trama del reale, nella disincantata visione lovecraftiana. Al di la' regna un'angosciosa notte senza fine, nella quale tutte le paure possono prendere corpo e sangue, e rivendicare l'antico dominio che la conoscenza umana pensava di avere dissolto per sempre. 2. La morsa del freddo Se Lovecraft cerca spesso di ispirarsi a Poe, tra l'altro suo conterraneo, non ne fa propria, se non in minima parte, la tematica piu' caratteristica: quella della corruzione, del disfacimento della carne e delle cose. Anche quando sembra accostarvisi, come in Il colore venuto dallo spazio, non riesce a far trapelare dalle pagine del racconto quel senso di disagio quasi fisico che provocano La caduta della casa degli Usher, Ligeia, Il seppellimento prematuro e gli altri racconti di Poe imperniati sul senso di morboso e di malsano. Persino il malriuscito Herbert West, rianimatore, oppure il brillante Nella cripta, che trattano di cadaveri e di decomposizione, non sono in alcun modo paragonabili a Monsieur Valdemar o a racconti analoghi. Si intuisce che i terrori che Lovecraft coltiva sono completamente diversi da quelli del suo illustre predecessore (do' qui per scontato che ogni autore di racconti destinati a fare paura si ispiri in primo luogo alle proprie paure, come mi sembra naturale). Poe teme la catalessi, la putrefazione mentre si e' ancora in vita, il verme che rode dall'interno. Tutte metafore della malattia. Invece Lovecraft teme in primo luogo il freddo. Nella vita (della sua patologica idiosincrasia per le basse temperature hanno parlato tutti i biografi) cosi' come nella tematica letteraria. Lo dimostra, pur cambiando intenzionalmente le carte in tavola (qui e' il freddo che preserva e il caldo che uccide), nello splendido racconto Aria fredda, uno dei suoi migliori. Lo esplicita senza rischio di equivoci nel romanzo Alle montagne della follia, la cui parentela col Gordon Pym e' del tutto superficiale. Lo evoca nelle gelide folate cariche di terrori che spirano nel finale di racconti come La citta' senza nome, La palude della luna, La musica di Erich Zann, preannunciando il peggio. Ma anche nel nucleo portante del "Ciclo di Cthulhu" il gelo ricorre come mantello che copre orrori indescrivibili, li anticipa, li rivela. Si tratti di cantine, di spifferi, di riferimenti al buio pianeta Yuggoth, di squarci su profondita' siderali vuote e nemiche, la vera ossessione lovecraftiana non pu• essere fraintesa. La dissoluzione temuta da Poe e' prodotta dal calore umidiccio e mefitico che nasconde morbi insinuanti e strozza il respiro. Non a caso, elemento ricorrente di alcuni dei suoi racconti piu' suggestivi e' la nebbia che scaturisce da terreni paludosi. Al contrario, ci• che domina in Lovecraft e' il ghiaccio, visto non come fattore di purezza, ma come indice di straniamento. Nel delirante universo lovecraftiano e' proprio l'estraneita' che permea ogni cosa e si condensa in minaccia. Estranee e lontanissime sono le assurde divinita' che rivendicano la propria dimenticata supremazia; aliene all'umanita' sono le creature inconoscibili che giacciono addormentate nelle viscere della terra; impla- cabilmente soli sono i protagonisti delle storie, che si smarriscono in sogni bizzarri e mostruosi o che vagano a tentoni tra gente inconsapevole che non riesce a comprendere l'impronunciabile verita' di cui sono portatori. Il racconto giovanile L'estraneo, piu' che una sorta di confessione autobiografica, e' il preannuncio di un'intera linea narrativa che sara' perseguita con assoluta coerenza. Non e' dunque la morte cio' che i personaggi di Lovecraft paventano piu' di ogni cosa. E' piuttosto l'estraniamento definitivo, la calata in un mondo alieno trasportati dagli artigli di creature da incubo. Anche in un breve racconto francamente odioso come La strada - storia di un sereno quartiere anglosassone progressivamente degradato dal meticciato, dall'immigrazione e dalla diffusione di dot- trine sovversive - cio' che l'autore teme e' in fondo la perdita di punti di riferimento, qui individuati in una cultura e in un modo di vita. Razzismo tutto diverso da quello di un Hitler, che nella contaminazione etnica vedeva piuttosto avanzare la malattia e la degenerazione del sangue, obbedendo a un terrore inconscio (era nato da un matrimonio tra consanguinei). Lungi dall'essere spaventato dalla corruzione della carne, Lovecraft teme piuttosto la disincarnazione, lo scioglimento da ogni ancoraggio e l'ingresso in una dimensione nebbiosa non per calore, ma per gelo totale. In questo senso, i suoi incubi sono di una modernita' affascinante. Il concetto di alienazione trova in lui una rappresentazione condotta agli estremi limiti, in forma di angosciosa metafora; l'anomia connessa a una "modernita'" distruttrice viene personificata in dei distanti e folli pronti a regnare su un mondo di folli. Non a caso i suoi protagonisti solo di rado vengono uccisi: o si disperdono in una diversa dimensione, o vengono rapiti e sottratti al loro mondo, o subiscono metamorfosi raccapriccanti ed escludenti, o impazziscono per visioni che non riescono a comunicare, come accade ai lettori del misterioso Necronomicon. A fronte di una sorte del genere - la fuoriuscita, vivi, dal mondo - la morte fisica e' in fondo il male minore. Ogni passo verso il futuro apre spiragli attraverso i quali si puo' essere risucchiati nel nulla, nel freddo che non corrode ma disperde. In questo senso Lovecraft e', molto piu' di Poe, interprete del delirio schizofrenico, e con cio' molto piu' vicino all'angoscia vera, che nasce dal profondo. Il raffinato Poe produce terrori tutto sommato carnali, dall'effetto studiato: l'assai piu' rozzo Lovecraft pro- duce invece allucinazioni rarefatte, in cui ali membranose e mucillagini sono allusive dello smarrimento esistenziale in un mondo senza calore e senza significato, come forse era la terra quando vi regnavano i Grandi Antichi, ma come certamente e' la societa' nell'era - ai tempi di Lovecraft incombente, oggi effettiva - della reificazione totale.
Ricordatevi che di qualsiasi scritto, dove nasce da una idea un conflitto,
bisogna coglierne della logica l'essenza, per un sano spunto di partenza.
Se non si è schiavi di una religione, una idea anche se forte,
può far utilizzo della ragione, come del pennello ne fa l'arte.
(LexMat)
Quanto rimane, è un destino dove solo la conclusione è fatale.
Ed a dispetto della morte, tutto è libertà, un mondo di cui l'uomo è il solo padrone.
(Albert Camus)
Presentazione
La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.
lunedì 2 dicembre 2013
Attualità di H.P. Lovecraft
di Valerio Evangelisti
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