1 Dicembre 2013 a 08:08 (Articoli scelti (male) da giugno 2013 in poi, Web Caffè)
Tags: Abu Ghraib, bugie, congiura per la verità, congiurati per la verità, costruzione mediatica della realtà, Federico Mayor, Fondo Monetario Internazionale, giornalismo, Gustavo Zagrebelsky, informazione, manipolazione, mass media, media, menzogna, My Lai, potere mediatico, Reinhart, Rogoff, Seymour Hersh, simboli al potere, trasparenza, UNESCO, verità, Vietnam
A cura di Stefano Fait
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Credere alle bugie e agire sulla base di una percezione falsata della realtà può, letteralmente, distruggerci.
Quando chiesero a Thomas Herndon,
studente di economia presso l’Università del Massachusetts, di scegliere
un’analisi economica ed esercitarsi provando a replicare i risultati
lui, ambiziosamente, scelse un articolo di Carmen Reinhart (Harvard) e
dell’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Ken Rogoff,
che aveva avuto un ruolo decisivo nel giustificare le misure di
austerità nell’eurozona. Dopo mesi di tentativi i conti non tornavano.
Assieme ai suoi docenti, Herndon scoprì che i due esperti avevano
commesso una serie di errori, tra i quali uno particolarmente
grossolano.
Daniel Hamermesh, economista
all’Università di Londra, ha saputo comunicare concisamente il
significato più profondo dell’evento: “Quell’articolo ha
contribuito a plasmare il modo in cui le persone, e specialmente i
politici, vedono il mondo ed è proprio questo che, alla fine, determina
come funziona il mondo” (BBC 19 aprile 2013).
La mancanza di obiettività e trasparenza è
perciò la causa di gran parte dei nostri mali e della nostra violenza.
L’accesso a una pluralità di prospettive sul mondo ci può consentire di
percepire la realtà meno soggettivamente e quindi ci rende persone e
società migliori (cf. articolo 19 della Dichiarazione universale dei
diritti umani). Una cittadinanza abituata a interrogarsi e informarsi
non sprofonda nell’apatia e in un sordo e potenzialmente pericoloso
risentimento generalizzato.
Per questo il giornalismo ben fatto è il
sale della democrazia: una cittadinanza adeguatamente informata sa cosa
chiedere, sa cosa aspettarsi, sa per chi votare nell’interesse generale.
Una scelta malinformata o disinformata non è una vera scelta.
Il premio Pulitzer Seymour Hersh,
celebre per gli scoop di My Lai (Vietnam, 1968) e Abu Ghraib (Iraq,
2004), per le sue inchieste sull’opzione nucleare “Sansone” israeliana,
sulla Guerra al Terrore, sulle circostanze della morte di Osama Bin
Laden, sulla sorveglianza illegale negli Stati Uniti, è stato definito
“la cosa più vicina a un terrorista nel panorama giornalistico
americano” dall’ultraconservatore statunitense Richard Perle.
Oggi, in un mondo dell’informazione dominato da pochi giganti oligopolistici – Time Warner, Walt Disney, Viacom, News Corporation (Rupert Murdoch), Bertelsmann, Axel Springer AG, Sony – Hersh
rileva che c’è molta meno libertà di informazione e molto più
conformismo di quando era giovane e il suo capo al New York Times gli
domandava, affettuosamente: “Come sta il mio piccolo comunista?”, perché
era contrario alla guerra in Vietnam.
I media americani sono patetici, sono
più che ossequiosi, hanno paura di prendersela con Obama. Citano le
fonti ufficiali invece di verificarne la validità. È come se temessero
di essere outsider, di far arrabbiare qualcuno. Eppure è il momento di
farlo, perché la nostra repubblica se la passa male: mentiamo su tutto, mentire è diventato la norma, non l’eccezione (intervista del Guardian, settembre 2013).
Federico Mayor Zaragoza, direttore generale dell’UNESCO dal 1987 al 1999, lo chiama il “Gran Dominio”: “se
si guarda a chi detiene il potere mediatico nel mondo, sono sei o sette
persone. E non è solo una questione di informazioni parziali o
menzognere, a sua volta un’altra cosa contro cui occorrerebbe
protestare. Non credo che sia questo il mondo che vogliamo lasciare ai
nostri figli” (intervista di un’emittente spagnola, 2011).
Anche Gustavo Zagrebelsky, in “Simboli al potere” (2012, pp. 89-90), descrive a tinte molto fosche la nostra situazione: “Alla
cementificazione del pensiero, all’espulsione delle alternative dal
campo delle possibilità, all’omologazione delle aspirazioni, alla
diffusione di modelli pervasivi di comportamento, di stili di vita e di
status e sex symbol nelle società del nostro tempo, lavorano centri di
ricerca, scuole di formazione, università degli affari, accademie,
think-tanks, uffici di marketing politico e commerciale, in cui vivono e
operano intellettuali e opinionisti che sono in realtà
consulenti e propagandisti, consapevoli o inconsapevoli, ai quali la
visibilità e il successo sono assicurati in misura proporzionale alla
consonanza ideologica. La loro influenza sul pubblico è poi garantita
dall’accesso a strumenti di diffusione capillari e altamente omologanti.
Non è forse lì che, prima di tutto, si stabiliscono i confini simbolici
del legittimo e dell’illegittimo, del pensabile e dell’impensabile, del
desiderabile e del detestabile, del ragionevole e dell’irragionevole,
del dicibile e dell’indicibile, del vivibile e dell’invivibile? Da qui
provengono le forze simboliche potenti che, fino a ora, cercano di
tenere insieme le nostre società….come in una religione, per di più
monoteista”.
Arrestare e invertire questa tendenza
all’invenzione mediatica della realtà è possibile solo se la cosiddetta
società civile è vivace, scettica, vigile e discernente, ossia
patriottica nell’accezione migliore del termine. Altrimenti, se resta
silente e passiva, le collusioni proliferano, i poteri arbitrari si
consolidano e la popolazione non si accorge che la sua libertà di
pensiero si è rarefatta. Oppure, dandosene conto, esagera nel senso
opposto, attribuendo ogni singola catastrofe naturale a tecniche di
geoingegneria o sollevando sospetti sulla morte di ogni figura scomoda.
Alla
fine le ipotesi più strampalate finiscono per fare ombra alle tesi più
plausibili e circostanziate, per quanto “controverse”. Così i veri e
propri crimini di stato e di lobby contro la democrazia, l’umanità e il
pianeta finiscono per partorire aberrazioni dell’intelletto, paranoie
irrazionaliste, nichilismo e attese messianiche. Diventa arduo
distinguere tra un’idea folle e un’idea realistica, tra un autentico
complotto e una fantasia. Tutto finisce nel calderone
delle sottoculture del complottismo, un termine che oggi viene usato per
screditare indiscriminatamente chiunque contesti l’establishment e
denunci gli abusi di potere.
Abbiamo bisogno di una “congiura per la verità”
che si concentri sui sospetti, sui moventi e sull’evidenza concreta, e
che lo faccia con rigore. Questa congiura per la verità si chiama
Giornalismo con la maiuscola e necessita di professionisti che sappiano
andare fino in fondo e dell’assistenza di persone dotate dei tre sensi
chiave del buon cittadino: senso civico, senso critico, buon senso.
Con questo spirito è nato Web Caffè Bookique, un caffè dibattito che unisce la quotidiana discussione in rete e l’incontro con “congiurati per la verità” presso la Bookique (parco della Predara), il terzo mercoledì di ogni mese, in via Torre D’Augusto 29 (quartiere San Martino).
Questo mese sono intervenuti Mario Giuliano, avvocato e membro del comitato 26 gennaio, Andrea Tomasi e Jacopo Valenti, autori di “La farfalla avvelenata. Il Trentino che non ti aspetti” (Città del Sole edizioni, 2012).
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