Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

domenica 6 ottobre 2013

Camus, Kant, Senghor, Stirner

Da "http://ladyfemmefatale.deviantart.com/journal/Camus-Kant-Senghor-Stirner-274549679" :

 
LO STRANIERO

Grande romanzo dell'Assurdo, con cui il filosofo esistenzialista Albert Camus rappresenta l'inconsistenza della vita.

Attraverso il lungo monologo del protagonista Meursault, condannato alla decapitazione in seguito all'omicidio di un arabo,
possiamo addentrarci nei meandri della psiche dell'uomo, "nauseato" o meglio, indifferente, a tutto: alla morte della madre, all'omicidio,
al processo, alla sentenza di morte.
Il momento dell'omicidio:

"Non sentivo più altro che il risuonar del sole sulla mia fronte,
e indistintamente, la sciabola sfolgorante sprizzata dal coltello
che mi era sempre in fronte...mi è parso che il cielo si aprisse in tutta la sua
larghezza per lasciare piovere fuoco.Tutta la mia persona si è tesa
e ho contratto la mano sulla rivoltella.
Il grilletto ha ceduto...allora ho sparato quattro volte"...


I dialoghi con il giudice e l'avvocato:

"Mi ha chiesto se quel giorno avevo sofferto.Questa domanda mi ha molto stupito
e mi è parso che sarei stato molto imbarazzato se avessi dovuto farla
io ad un altro.Comunque gli ho risposto che avevo un pò perduto l'
abitudine di interrogare me stesso...naturalmente volevo bene alla mamma,
ma questo non significava nulla.Tutte le persone normali,
gli ho detto, hanno una volta o l'altro desiderato la morte
di coloro che amano...in realtà  non mi dispiaceva poi molto di
ciò che avevo fatto..mai ero riuscito a provare un dispiacere per qualcosa".

"Ho avuto fretta soltanto di farla finita presto e di ritrovare la mia cella e  il sonno".

e il momento dell' attesa della pena capitale:

"Ero sempre io a morire, sia che morissi subito, sia che morissi fra vent'anni...."

"Dal momento che si muore, come e quando non importa, è evidente".

"Nulla aveva importanza, e sapevo bene il perchè.Dal fondo del mio avvenire,
durante tutta questa vita assurda che avevo vissuta,
un soffio oscuro risaliva verso di me attraverso annate che non erano
ancora venute...davanti a quella notte carica di segni e stelle,
mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo.Perchè
tutto sia consumato, perchè io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molto spettatori
il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio"



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LA CADUTA

Clemence è un avvocato e decide di raccontarsi di fronte ad avventori sconosciuti, seduto in un bar, il Mexico City, ad Amsterdam.
Il libro si snoda in un lunghissimo monologo, al quale non viene data risposta.
è come se Clemence parlasse a se stesso, di fronte a uno specchio che non ammette falsità  o scusanti.
In fondo egli, parlando a tutti, è come se non parlasse a nessuno: la lunga confessione di Clemence, fatta (...forse...) con l'intento di redimere la coscienza rimarrà  sterile e vuota, senza catarsi finale.

Il libro non raggiunge le vette estetiche dello "Straniero", ma è un'opera importante del percorso letterario-creativo di Camus, più che i giudizi altrui, dobbiamo temere il nostro giudizio....sulle maschere che ci mettiamo addosso.

"Per qualche tempo in apparenza, la mia vita continuò come se nulla fosse mutato.........in quel momento il pensiero della morte irruppe nella mia vita di tutti i giorni.........per essere franco, quello che facevo metteva conto di essere continuato? Ero perseguitato da un ridicolo timore: che non si potesse morire senza aver confessato tutte le proprie menzogne.
Non a Dio, o a un o dei suoi rappresentanti.
Ero superiore a questo.............
Non possiamo affermare l' innocenza di nessuno mentre possiamo affermare con sicurezza che tutti sono colpevoli...........
chi avrebbe creduto che il delitto non consiste tanto nel far morire altri quanto nel morire noi stessi.........Per desiderio di vita eterna, andavo a letto con le puttane e bevevo notti intere.
Certo, al mattino avevo in bocca il sapore amaro della condizione mortale......vivevo in una sorta di nebbia........morivo quietamente della mia guarigione....visto che non si potevano condannare gli altri senza giudicare immediatamente se stessi, bisognava incolpare se stessi per avere diritto di giudicare gli altri...........da un pò di tempo a Mexico-City la mia utile professione consiste prima di tutto nel praticare il più possibile la confessione pubblica.
Mi accuso per lungo e per largo....più mi accuso più ho il diritto di giudicare............bevendo l'assenzio del giorno che nasce finalmente ebbro di parole cattive, io sono felice.
Avrei concluso la mia anonima carriera di falso profeta che grida nel deserto e rifiuta di uscirne"


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posto qualche frase di Camus che trovo splendida *.* le trovate nei "taccuini":

La rinuncia alla giovinezza:non sono io che rinuncio alle persone e alle cose (non lo potrei) sono le cose e le persone che rinunciano a me.La mia giovinezza mi sfugge: essere malati è questo.

La malattia è un convento con la sua regola, la sua ascesi, i suoi silenzi e le sue ispirazioni.

In autunno quel paesaggio s'infiora di foglie, i ciliegi diventano rossi, gli aceri gialli... i faggi si coprono di bronzo....
Al mattino tutto è coperto di brina, il cielo risplende dietro le ghirlande... piccoli crepitii come sospiri dell'albero, brina che cade al suolo con un rumore d' insetti bianchi gettati gli uni sugli altri...intorno le vali e le colline svaniscono in vapori...

la sensazione della morte che mi è familiare:senza il sostegno del dolore. il dolore aggrappa al presente, esige la lotta che occupa.ma sentire la morte alla semplice vista di un fazzoletto inzuppato di sangue, significa piombare senza sforzo nel tempo in modo vertiginoso: è il terrore del divenire.

Dicembre: questo cuore pieno di lacrime e di notte...

la fine si un giorno freddo, i crepuscoli di ombre e di ghiaccio....più di quanto io possa sopportare....

Simone Weil dice: non sia arriva alla verità senza essere passati per il proprio annientamento: senza aver soggiornato a lungo in uno stato di totale ed strema umiliazione

Quei momenti in cui ci si abbandona alla sofferenza come si fa con il dolore fisico: stesi, immobili,senza volontà , nè avvenire, ad ascoltare soltanto le lunghe fitte del male....

prigioniero della caverna, eccomi solo di fronte all'ombra del mondo.
Pomeriggio di gennaio, ma il freddo rimane dietro, nell'aria....chi sono e cosa posso fare,se non entrare in quel gioco di fronde e di luci.essere questo raggio di sole in cui si consuma la mia sigaretta, questa dolcezza, questa passione discreta che respira nell'aria.
la vita è breve e perdere il proprio tempo è peccato.
io il mio lo perdo continuamente e gli altri mi credono estremamente attivo...se ancora mi soffoca un senso di angoscia, esso consiste nel sentire che quest'attimo impalpabile mi scivola fra le dita come le perle del mercurio.... di questo mondo è il mio regno: una nube che passa e un istante che si spegne:la morte di me per me stesso

Questa sofferenza mi inebria perchè è questo sole e queste ombre, questo caldo e questo freddo che si sente in lontananza nel fondo stesso dell'aria

Non bisogna perdere la speranza di essere ancora vivi nella propria giovinezza.il giorno in cui i fiori rinasceranno finalmente dalle rovine.

la vertigine di perdersi e negare tutto, di non assomigliare a niente, di spezzare per sempre ciò che ci definisce, di offrire al presente la solitudine e il nulla, di ritrovare la piattaforma unica da cui i destini possono ad ogni istante ricominciare

al mattino aspettavo all'angolo di un prato sotto i grandi noccioli, nel freddo vento d'autunno, ronzio senza calore delle vespe, il vento tra le foglie..tra il cielo bruno di settembre e la terra umida....

L'acqua gelata dei bagni primaverili, le meduse morte sulla spiaggia.una gelatina assorbita a poco a poco dalla sabbia.le immense dune di sabbia pallida, il mare e la sabbia, questi due deserti.

nel solleone, sulle dune immense, il mondo si rinserra e si chiude. è una gabbia di calore e di sangue.non si estende oltre il mio corpo...le dune il deserto il cielo ritrovano la loro distanza, che è infinita.




dal "Caligola" (1941) atto II

"La solitudine, si, la solitudine!La conosci tu la solitudine?si, quella dei poeti e degli impotenti.
La solitudine? Quale solitudine?
Ma lo sai che non si è mai soli?
e che dovunque ci portiamo addosso il peso del nostro passato e anche quello del nostro futuro?
tutti quelli che abbiamo ucciso sono sempre con noi.
e fossero solo loro, poco male.
ma ci sono anche quelli che abbiamo amato, quelli che abbiamo amato e che ci hanno amato.
il rimpianto, il desiderio, il disincanto e la dolcezza, le puttane e la banda degli dei!.....
La solitudine risuona di denti che stridono, chiasso, lamenti perduti.....se soltanto potessi godere la vera solitudine, non questa mia solitudine infestata dai fantasmi, ma quella vera, fatta di silenzio e tremore d'alberi"

Atto IV

"Te che odio- te che sei per me come una ferita che vorrei strapparmi di dosso con le unghie perchè il sangue infetto possa sgorgare con la vita a fiumi"



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IMMANUEL KANT

Questo articolo vuole essere un omaggio a un Pensatore che spessissimo viene relegato su libri ampollosi (...noiosi).
Non vuole essere un articolo esaustivo ma solo celebrativo del concetto più famoso e innovativo di questo Filosofo.



Nel Criticismo kantiano viene affrontato il rapporto che intercorre tra soggetto (che deve conoscere un oggetto) e l'oggetto ( il noumeno, nel linguaggio kantiano) che è inconoscibile, cioè al di là delle nostre possibilità conoscitive (è trascendente, perchè "si pone al di là", va oltre, supera...).

Per Kant la conoscenza che possiamo avere della realtà, è fenomenica, cioè è apparenza:

non conosceremo mai la vera essenza (il noumeno, quindi) delle cose, ma solo come esse ci appaiono (la loro apparenza).


Già Protagora nel V sec A.C. scriveva:

"il miele appare dolce alla persona in salute, amaro alla persona malata"

ma l'essenza del miele qual'è?

l'essere dolce o amaro? o ambedue le cose?


Quindi, per ciascuno di noi, la realtà vera è quella che ci appare:

non esiste una realtà vera a priori, vengono demolite quindi tutte le pretese di affermare a priori qualcosa.

Della realtà noi possiamo conoscere solo il modo in cui essa ci appare attraverso le categorie mentali, con la quale interpretiamo la realtà che osserviamo.

Le nostre categorie mentali, con le quali interpretiamo il mondo che ci circonda, sono analoghe a delle lenti deformanti o colorate, che possono far vedere uno stesso oggetto in forme, aspetti, colori differenti e molteplici.

Questo concetto tra l'altro, viene ripreso da de Sade, che usa questa metafora (degli specchi deformanti, anzichè le lenti) per far capire al suo personaggio, Justine, e al lettore, che ciò che può apparire disgustoso a uno, all'altro appare piacevole e voluttuoso.

Per Kant le nostre categorie mentali sono innate e universali:

tutti le abbiamo.

In particolare i concetti di spazio e tempo, ci fanno percepire la realtà spazializzata (a tre dimensioni, lunghezza, larghezza, profondità....) e temporalizzata (passato, presente, futuro) ma i concetti di spazio / tempo non esistono nella realtà, sono solo categorie mentali che abbiamo "costruito" e che "ci illudono" che la realtà, il mondo circostante abbia un senso "a tre dimensioni" o "a tre tempi"
cioè che esistano distanze da misurare, o momenti da scandire.

Ne consegue che:

A) Le cose esistono solo se qualcuno le percepisce:
ciò che fa esistere le cose è l'atto di percepirle, di notarle, di osservarle, di valutarle...

Da qui (il concetto è berkeleyano) si svilupperanno l'Idealismo di Hegel, l' Attualismo di Gentile, la Fenomenologia di Husserl e l'Esistenzialismo.

in Berkeley, inoltre, è interessante notare che se della realtà materiale posso farmi un'idea, questa idea che io mi faccio, è a sua volta immateriale, pur se inerente alla materialità, che però esiste come concetto nella mente! Tale paradosso prende il nome di Immaterialismo.

B ) Se non esiste una verità unica, se tutto è illusione (dell'intelletto), se noi ci illudiamo attraverso le categorie trascendentali (spazio, tempo, quantità, causalità...) allora tutti i valori oltre che essere transitori e precari, sono anche illusori e chimerici.

Della realtà non possiamo affermare nulla di certo e valido a priori ( e anche Sartre analizzerà questo concetto del "nessun bene a priori" nella sua opera "L'Esistenzialismo è un umanismo")


Da qui, secondo una rielaborazione mia personale del pensiero kantiano, che riporto ma che NON HA LA PRETESA di ridurre Kant a questo (non oserei mai!!!) "possiamo cadere" nell'abisso del Nichilismo, ponendo non l'Essere, la Verità, il Bene, l'Amore o Dio come principio di tutto su cui poggiare le nostre scelte, idee, convinzioni, ma il Nulla, il "non è possibile affermare nulla".

Siamo come burattini convinti di muoverci nel tempo, nello spazio, mentre in realtà siamo fermi, accasciati in un angolo ( e disperatamente "gettati" nonchè "non liberi di non essere liberi") che sognano o si illudono......

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SENGHOR

Negli ultimi mesi mi sono imbattuta, approfondendo l'impegno civile di Sartre, anche negli intellettuali neri che,nei primi del '900 e poi per tutto il secolo, hanno combattuto, protestato e lottato per il riconoscimento dei diritti civili.

I due più famosi e più "facilmente reperibili" -si fa per dire, perchè io sono riuscita a trovare solo due libri, eppure ce ne dovrebbero essere un bel pò!- sono Leopold Aimè Senghor -filosofo e pensatore- e Aimè Cèsaire -poeta-.

Senghor è stato colui che ha ideato il concetto di "nègritude", con cui, a suo parere, tutti i popoli africani, anche quelli caraibici colonizzati e discendenti dagli schiavi, avrebbero dovuto unirsi per ritrovare una propria identità comune, basata soprattutto sulla condivisione dell'enorme carico di sofferenza che "il padrone bianco" aveva provocato nei secoli, prima distruggendo la cultura africana e poi deportando gli africani come schiavi destinati ai campi, "convertendoli" ai "valori bianchi" per poter instillare meglio il senso di odio di sè, e delle proprie radici, una sorta di "negrofobia" di se stessi.

Un gruppo di intellettuali (Kagame, Sekou Tourè, Rabemananjara, i poeti parnassiani martinicani Banville e Heredia, Andrèè Nardal, fondatrice della rivista "Revue du monde noir", Damas -collaboratore di Sènghor- e l'autore teatrale Kouyata) dedicano tutto il loro impegno culturale e civile, soprattutto in Francia, per la "costruzione" di una cultura africana, che si staccasse dagli stessi pregiudizi di inferiorità instillati dai bianchi, e che fosse la riscoperta della cultura degli avi, intrisa di misticismo, animismo, magia, contatto con la natura, riscoperta del corpo e dei ritmi naturali.

Vediamo meglio il concetto di Leopold Sedar Senghor (Senegal) padre della filosofia "nera" che a partire dagli anni '50 (con studi di metafisica legati alle tradizioni culturali africane e non greche, a cura di Kagame) teorizza il concetto di Nègritude
partendo da concetti esistenziali e fenomenologici....appoggiati anche da Sartre..

Bellissima questa frase di Senghor....
specialmente l'ultima frase! *.* - con cui concordo pienamente-

"Coscienza di essere nero, semplice riconoscimento di un fatto che implica accettazione, presa in carico del proprio destino di nero, della propria storia e cultura. è innanzittutto una negazione, il rifiuto di assimilarsi e di perdersi nell'altro.
Il rifiuto dell'altro è affermazione di sè"


Birago Diop traduce invece i racconti mitologici di Amadou Koumba, trovatore senegalese, e un grande contributo viene anche dato dagli scultori cubisti e artisti surrealisti che "riscoprono", riproponendola, l'arte africana -vedasi per esempio Modigliani o lo stesso Picasso-

Trascrivo qualche verso, purtroppo incompleto, -non ho reperito nient'altro....- di Cèsaire, che rende alla perfezione il tragico destino di un popolo oppresso e schiavizzato per secoli.

La poesia di Cèsaire è una poesia spesso brutale, che "gioca" con gli stereotipi che "il padrone bianco" per secoli ebbe sugli schiavi (cannibalismo, violenze ecc) -da notare che Cèsaire è anche "anticristiano", vedendo nel cristianesimo imposto agli schiavi, un ulteriore violenza e supremazia (-Noi bianchi siamo stati prescelti da Dio per guidare voi negri che siete "selvaggi" e "bambini"-) mentre Senghor non rifiuta alcuni insegnamenti della dottrina cattolica.

Alcuni versi di Cèsaire rimandano a una poesia di stampo surrealista.

Ritengo che valga la pena soffermarsi a riflettere su versi come:

"sento dalla stiva salire le maledizioni incatenate \ i gemiti dei moribondi \ il rumore di qualcuno gettato in mare \ i lamenti di una partoriente \ raschiature di unghie che cercano gole.... \ ghigni di fruste......"

"colpito da verghe \ esposto alle bestie \ trascinato in camicia con la corda al collo \ innaffiato di petrolio \ e ho atteso....\ e ho bevuto urina \ calpestato \ tradito \ venduto \ e ho mangiato escrementi \ e ho acquistato la forza di parlare \ più forte dei fiumi \ più forte dei disastri"

"Angoscia non affonderei le tue chiome nella gora della mia gola...il filo rosso del sangue della ragione del diritto"

"L'Africa non è più \ al diamante della sfortuna \ un cuore nero che si stria... \ è una mano tumefatta \ una- ferita- mano-aperta \ tesa \ "

"Questo dolore poi nulla \ dove noi due nel fianco della notte vischiosa oggi \ come un tempo \ schiavi stivati di cuori pesanti \ ugualmente mia cara ugualmente \ noi veleggiamo"

"La catastrofe si è fatta un trono troppo alto abitato \ dal delirio della città distrutta: è la mia vita incendiata"

"Noi siamo coloro che furono spogliati \ che furono colpiti \ che furono mutilati \ coloro che furono marcati \ coloro ai quali si sputava in faccia...chi dubitava che l'uomo non potesse essere uomo \ non aveva che da guardarci"

"un paese di silenzio \ di ossa calcinate di sarmenti bruciati \ di uragani di grida trattenute..\ un paese di sete \ dove è vano ancorarsi a un profilo assurdo di alberi totem e \ di tamburi"

per chi volesse saperne di più:

- Cristina Brambilla: "La Nègritudine"
- J.P. Sartre: "Che cos'è la letteratura?"
-"Antologia di poeti negri" a cura di Carlo Bo
-Graziano Benelli: "Cèsaire"


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Altri Filosofi Esistenzialisti...


Abdal Rahman Badawi (Egitto)
Muhammad Aziz Lahbabi (Marocco)
coniugano l'ESistenzialismo con tematiche religiose islamiche (Lahbabi) o irreligiose (Badawi)

Vicente da Silva Ferreira (Brasile)
Albert W. De Reyna (Perù)
Anibal Sanchez Reulet (Argentina)

Dimitrios Kapetanakis
Gheorghios SArantaris portano il "virus esistenziale" nell'assolata Grecia...

Da citare anche Eduardo Nicol (esponente dell'Esistenzialismo Spiritualista in Spagna)
Reiner Beerling e Cornelis Van Peursen in Olanda
e Nae Ionescu in Romania.


Cito un filosofo ucraino Serhiy Krymskyi. visibile su  www.day.kiev.ua/290619?idsourc…
www.day.kiev.ua/290619?idsourc…

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MAX STIRNER

IO HO FONDATO LA MIA CAUSA SU NULLA.

è  questa la prima frase e anche-a mio parere-la frase che può sintetizzare questo libro
(che è essenzialmente un'analisi della politica e del comunismo allora nascente;difatti Max Stirner venne criticato aspramente sia dalla sinistra hegeliana-da cui derivava-sia da Marx).

Personalmente ho letto il libro più per la sua deriva nichilista,e non perchè mi interessi la politica.
Ritengo si possa leggerlo come un'analisi dell'anima e della volontà  umana,più che per l'analisi dello stesso autore su comunismo e socialismo;
difatti l'autore quando si dilunga eccessivamente sulla critica(spietata)ai politici del suo tempo,risulta prolisso;anche la critica ai sistemi del comunismo\socialismo,si può saltare: è evidente che è la parte più anacronistica del libro.
Ma se si analizza il pensiero di Stirner (di cui è bene ricordarlo,Nietzsche prenderà ,e anche molto)
si può notare come la sua analisi dell'egoismo, della "volontà  di potenza",
del proprio io (tra l'altro l'autore critica aspramente l'"io"fin troppo debole di Fichte e non mancano le critiche anche a Feuerbach)
possa essere una via per forgiare la propria personalità ;
difatti la deriva anarchica o nichilista del pensiero stirneriano è fin troppo evidente ma per l'appunto,il libro risulta fin troppo moderno e profetico(lo stesso dicasi -sempre a mio parere-per Herzen)

"Io non sono nulla nel senso della vuotezza,bensì il nulla creatore,il nulla dal quale io stesso,in quanto creatore, creo tutto" "io fondo la mia causa su me stesso,io che sono il nulla,io che sono il mio tutto, io che sono l'unico"
ecco due concetti stirneriani che dimostrano quanto l'autore(morto in miseria e avvelenato) avesse in mente un concetto di "superuomo"al di là  di un presunto bene di un chimerico dio,e soprattutto la sacrosanta libertà  di ciascuno di noi di essere liberi nelle proprie idee,di crearci in base solo a noi stessi e non a concetti preesistenti.Consiglio questo libro ai fan di Nietzsche e anche a chi non crede in nulla.
Purtroppo il libro in alcune parti è noioso e datato, ma nel complesso è una lettura su cui meditare.

Che ciascuno di noi possa dire di sè:IO HO FONDATO LA MIA CAUSA SU ME STESSO!


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1 commento:

  1. ah che emozione, i miei primi scrittarelli filosofici!!! ma ero piccina quando li ho scritti... xD
    mi fa piacere vedere che ti sono piaciuti. Su Senghor ho fatto anche un video :) eventualmente ti mando i link da aggiungere, ultimamente sono molto attiva su youtube :)

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