Il problema italiano è tutto 
nella dialettica: da noi il dibattito continua ad arrampicarsi sugli 
specchi del crescente debito pubblico e della corruzione. Dopo che per 
anni giornalisti rinomatissimi, quali il popolare Marco Travaglio, ci 
hanno illustrato vita, morte e miracoli dell’indecenza dell’uomo di 
Arcore, ben supportati dai decani del giornalismo quali Eugenio 
Scalfari, l’austerità ci ha avvolto in un girone dantesco, senza via di 
uscite, un “tunnel” dal quale solo il nostro Primo Ministro Letta scorge
 la via d’uscita.
L’economia reale, quella 
strozzata da una moneta imposta, senza che vi fosse alcuna unione 
politica, culturale e fiscale, rimane in mano alle oligarchie europee, 
sotto la spinta dei paesi del nord Europa.
Il dibattito in Italia rimane 
nelle mani di piccole frange ribelli, nate a macchia di Leopardo sul 
web, grazie all’opera di alcuni bravi ma sconosciuti economisti (che 
lentamente stanno salendo in cattedra) ma scarsamente coadiuvati dalla 
stampa main stream, dove gli addetti economici del taglio di Giavazzi e 
Alesina, continuano ad inquinare il dibattito, con falsi luoghi comuni 
sul debito pubblico, riproponendo sempre la stessa soluzione, per uscire
 da questa spirale: “Privatizzare”.
Non si può continuare a evitare 
di mettere in discussione il disastro della moneta unica. Circoscrivere 
il problema dell’austerità, a una gestione eurocentrica della Germania, e
 al debito pubblico crescente, senza prendere in considerazione il 
problema reale, creatosi in seguito all’entrata in un circuito 
monetario, legato a un tasso di cambio fisso e, quindi a una moneta 
troppo forte, per dei paesi scarsamente strutturati quali l’Italia, la 
Spagna, il Portogallo, la Grecia è l’elemento certamente più devastante 
per il nostro presente e soprattutto futuro economico.
Di seguito vi proponiamo in evidenza un intervista al bravissimo giornalista del  Daily Telegraph, Ambrose Evans-Pritchard, che risponde in maniera assai eloquente e dettagliata alle domande di Alessandro Bianchi (lantidiplomatico.it).
Il 2014 potrebbe essere l’anno 
del collasso economico italiano. Mentre l’Unione europea non sta 
rispettando i target previsti sull’occupazione, l’Italia nonostante 
abbia un avanzo primario del 2,5% del PIL, continua a veder crescere 
esponenzialmente il suo debito. Il dramma dell’Italia (aggiunge 
Evans-Pritchard) non è morale ma dipende dalla crisi deflattiva cui è 
costretta per la sua partecipazione alla zona euro. La politica è fatta 
di scelte e di coraggio.
Dov’è il coraggio dei nostri politici? Lo spiega Ambrose in questa intervista assolutamente da non perdere.
                                                             ***********************
DI ALESSANDRO BIANCHI
lantidiplomatico.it
Intervista esclusiva al Columnist economico del Telegraph Ambrose Evans Pritchardlantidiplomatico.it
- Dalle colonne del Telegraph, Lei ha 
scritto spesso come i paesi dell’Europa del sud dovrebbero formare un 
cartello e parlare con un’unica voce nel board della Bce e nei vari 
summit per forzare quel cambiamento di politica necessario a rilanciare 
le loro economie. Ritiene che il sistema euro possa ancora salvarsi o 
giudica migliore per un paese come l’Italia scegliere il ritorno alla 
propria valuta nazionale?
Quello che serve in Europa oggi è uno 
shock economico sul modello dell’Abenomics. Italia, Spagna, Grecia e 
Portogallo, insieme alla Francia devono smettere di fare finta di non 
avere un interesse in comune da tutelare.
Questi paesi hanno i voti necessari per 
forzare un cambiamento. La Bce oggi non sta rispettando gli obblighi 
previsti dai trattati e non solo per il target del 2%, dato che nei 
trattati non si parla solo d’inflazione, ma anche di crescita e di 
occupazione. Il dato dello 0,8% di ottobre è un autentico disastro per 
l’andamento della traiettoria di lungo periodo del debito. Senza un 
cambio di strategia forte, l’Italia sarà al collasso nel 2014. Il paese 
ha un avanzo primario del 2.5% del PIL e ciononostante il suo debito 
continua ad aumentare. Il dramma dell’Italia non è morale, ma dipende 
dalla crisi deflattiva cui è costretta per la sua partecipazione alla 
zona euro.
La politica è fatta di scelte e di coraggio. Fino ad oggi non si è agito per impedire che si dissolvesse il consenso politico dell’euro in Germania. Ma oggi c’è una minaccia più grande e se Berlino non dovesse accettare le nuove politiche, può anche uscire dal sistema. Il ritorno di Spagna, Italia e Francia ad una valuta debole è proprio quello di cui i paesi latini hanno bisogno. Del resto, la minaccia tedesca è un bluff ed i paesi dell’Europa meridionale devono smascherarlo. L’ora del confronto è arrivato.
La politica è fatta di scelte e di coraggio. Fino ad oggi non si è agito per impedire che si dissolvesse il consenso politico dell’euro in Germania. Ma oggi c’è una minaccia più grande e se Berlino non dovesse accettare le nuove politiche, può anche uscire dal sistema. Il ritorno di Spagna, Italia e Francia ad una valuta debole è proprio quello di cui i paesi latini hanno bisogno. Del resto, la minaccia tedesca è un bluff ed i paesi dell’Europa meridionale devono smascherarlo. L’ora del confronto è arrivato.
- Il problema è che i governi attuali 
dell’Europa meridionale sembrano ipnotizzati dall’incantesimo del “più 
Europa” e non prendono in considerazione altre soluzioni. Da cosa 
dipende?
Recentemente ho avuto modo di incontrare a
 Londra il primo ministro italiano Enrico Letta ed abbiamo parlato 
proprio di questo. Alla mia domanda sul perché non si facesse promotore 
di un cartello con gli altri paesi dell’Europa in difficoltà per forzare
 questo cambiamento, il premier italiano mi ha risposto che secondo lui 
sarà Angela Merkel a mutare atteggiamento nel prossimo mandato e venire 
incontro alle esigenze del sud. Si tratta di un approccio assolutamente 
deludente. Enrico Letta, come anche Hollande in Francia, è un fervente 
credente del progetto di integrazione europea e non riesce ad accettare 
che l’attuale situazione sia un completo disastro. Questo atteggiamento 
non gli permette di comprendere le ragioni per cui l’euro sia divenuto 
così disfunzionale per i paesi membri.
- Coloro che sostengono che i paesi 
dell’Europa meridionale non possono tornare alle loro monete nazionali 
utilizzano due motivazioni in particolare: l’enorme inflazione 
conseguente all’inevitabile svalutazione ed il fatto di non poter poi 
reggere la concorrenza di colossi commerciali come la Cina. Le giudica 
corrette? 
Si tratta, in entrambi casi, del 
contrario esatto della realtà. L’euro è un’autentica maledizione per le 
esportazioni, che dipendono dai prezzi e dal tasso di cambio. I paesi 
europei sopravvalutati a causa della moneta unica hanno perso una quota 
importante del loro mercato globale a disacapito della Cina. Con Pechino
 che tiene lo yaun sottovalutato e con una moneta enormemente 
sopravvalutata, molte aree dove l’industria italiana eccelle sono 
inevitabilmente in crisi. Una crisi che dipende dal tasso di cambio.
Per quel che riguarda l’inflazione, qualora l’Italia dovesse procedere ad un collasso disordinato e caotico dell’euro, il paese potrebbe perdere nella prima fase il controllo dei prezzi. Ma oggi quest’ultimi sono già fuori controllo. Nei paesi dell’Europa meridionale è in corso una grave crisi di deflazione che rischia di riproporre il “decennio perso” del Giappone con contorni inquietanti per quel riguarda l’andamento debito/Pil. In Italia è passato dal 120% al 133% in due anni: si tratta di una trappola che sta portando il paese al collasso. Il problema da combattere oggi è la deflazione e non l’inflazione.
L’esperienza attuale dell’Italia e degli altri paesi della zona euro è molto nota in Gran Bretagna. Nel nostro paese ci sono stati due esempi similari di crisi di deflazione e svalutazione interna: agli inizi degli anni ’30 con il sistema del Gold Standard e nella crisi dello SME del 1991-1992. In entrambi i casi, il Regno Unito ha determinato la rottura del sistema e restaurato il controllo totale della propria valuta nel momento in cui gli interessi del paese erano messi a rischio. I critici al tempo utilizzavano la stessa argomentazione dell’inflazione, ma nel 1931 all’uscita del Gold Standard, in una situazione di deflazione interna, non vi è stato alcun aumento incontrollato dei prezzi, con lo stimolo monetario e la svalutazione che sono stati la premessa per la ripresa dalla Grande Depressione. La stessa identica esperienza l’abbiamo vissuta nel 1992 con la crisi dello Sme.
Spesso si tende ad avere un approccio superficiale alle questioni economiche e questo non aiuta il dibattito politico. Se dovesse lasciare l’euro, l’Italia dovrebbe optare per un grande stimolo monetario da parte della Banca d’Italia, una svalutazione ed una politica fiscale sotto controllo. Questa combinazione garantirebbe al paese una transizione tranquilla e nessuna crisi fuori controllo.
Per quel che riguarda l’inflazione, qualora l’Italia dovesse procedere ad un collasso disordinato e caotico dell’euro, il paese potrebbe perdere nella prima fase il controllo dei prezzi. Ma oggi quest’ultimi sono già fuori controllo. Nei paesi dell’Europa meridionale è in corso una grave crisi di deflazione che rischia di riproporre il “decennio perso” del Giappone con contorni inquietanti per quel riguarda l’andamento debito/Pil. In Italia è passato dal 120% al 133% in due anni: si tratta di una trappola che sta portando il paese al collasso. Il problema da combattere oggi è la deflazione e non l’inflazione.
L’esperienza attuale dell’Italia e degli altri paesi della zona euro è molto nota in Gran Bretagna. Nel nostro paese ci sono stati due esempi similari di crisi di deflazione e svalutazione interna: agli inizi degli anni ’30 con il sistema del Gold Standard e nella crisi dello SME del 1991-1992. In entrambi i casi, il Regno Unito ha determinato la rottura del sistema e restaurato il controllo totale della propria valuta nel momento in cui gli interessi del paese erano messi a rischio. I critici al tempo utilizzavano la stessa argomentazione dell’inflazione, ma nel 1931 all’uscita del Gold Standard, in una situazione di deflazione interna, non vi è stato alcun aumento incontrollato dei prezzi, con lo stimolo monetario e la svalutazione che sono stati la premessa per la ripresa dalla Grande Depressione. La stessa identica esperienza l’abbiamo vissuta nel 1992 con la crisi dello Sme.
Spesso si tende ad avere un approccio superficiale alle questioni economiche e questo non aiuta il dibattito politico. Se dovesse lasciare l’euro, l’Italia dovrebbe optare per un grande stimolo monetario da parte della Banca d’Italia, una svalutazione ed una politica fiscale sotto controllo. Questa combinazione garantirebbe al paese una transizione tranquilla e nessuna crisi fuori controllo.
- Molto spesso coloro che reputano 
insostenibile il ritorno alle monete nazionali paventano anche 
l’insostenibilità di poter sopportare le inevitabili ritorsioni 
economiche della Germania. Si tratta di una minaccia credibile? 
Non c’è nulla di più falso. E’ negli 
interessi della Germania gestire l’eventuale uscita di un paese membro 
nel modo più lineare, regolare e tranquillo possibile. Nel caso di un 
deprezzamento fuori controllo della Lira, ad esempio, il più grande 
sconfitto sarebbe Berlino: le banche ed assicurazioni tedesche che hanno
 enormi investimenti in Italia sarebbero a rischio fallimento; ed 
inoltre, le industrie tedesche non potrebbero più competere con quelle 
italiane sui mercati globali. Sarebbe interesse primordiale della 
Bundesbank acquisire sui mercati valutari internazionali le lire, i 
franchi, pesos o dracme per impedirne un crollo. Si tratta di un punto 
molto importante da comprendere: nel caso in cui uno dei paesi 
meridionali dovesse decidere di lasciare il sistema in modo isolato, è 
nell’interesse dei paesi economici del nord Europa, in primis la 
Germania, impedire che la sua valuta sia fuori controllo e garantire una
 transizione lineare. Tutte le storie di terrore su eventuali disastri 
che leggiamo non hanno alcuna base economica.
- In diversi suoi articoli recenti, 
Lei dichiara come la spinta al cambiamento arriverà dalla Francia. Quale
 sarà l’elemento che lo determinerà in concreto?
Con la disoccupazione che cresce a 
livelli non più controllabili, Hollande, che ha posto come suo obiettivo
 primario della sua presidenza quello dell’occupazione, ha perso ogni 
credibilità e sta arrivando al limite di sopportazione con l’Europa.
Quello che sta accadendo oggi alla Francia è l’esatta riproposizione delle dinamiche economiche che il paese ha vissuto dal 1934 al 1936,
 quando con il Gold Standard il paese si trovava in una situazione di 
deflazione, disoccupazione di massa e non aveva gli strumenti per 
ripartire. I dati sono arrivati ad un livello insostenibile nella 
presidenza Laval nel 1935 ed ha determinato un cambiamento politico 
rivoluzionari nel 1936: la vittoria del Fronte Popolare. La Francia di 
oggi è in una situazione simile al 1935, con i dati economici che 
continuano a peggiorare di mese in mese, ed una svolta come quella del 
1936 si avvicina. Basta vedere la tensione dei protestanti in Bretagna o i risultati crescenti del Fronte Nazionale per comprenderlo.
- Sarà Le Pen ad imprimere questo cambiamento?
L’ascesa del Fronte Nazionale è incredibile, ma non penso che prenderà mai il potere. Quello
 che accadrà sarà però altrettanto rivoluzionario, in quanto costringerà
 gli alri partiti, soprattutto i gaullisti, a modificare la loro 
politica. Il programma di Le Pen è chiaro: uscita immediata dall’euro – 
con il Tesoro francese che proporrà un accordo con i creditori tedeschi,
 se questi non l’acceteranno la Francia tornerà lo stesso al franco e le
 perdite principali saranno per la Germania – e poi referendum sull’Ue 
sul modello inglese. Sono argomenti che incontrano la simpatia di un 
numero crescente di persone in modo trasversale e gli altri partiti non 
possono più ignorarli. Il Fronte Nazionale sta forzando gli altri 
partiti a cambiare la loro agenda e realizzare che non possono 
semplicemente avere la stessa opinione di Berlino e Bruxelles.
- In molti paesi stiamo assistendo 
alla fusione dei partiti conservatori e socialisti a difesa 
dell’austerità di Bruxelles e contro le intenzioni di voto degli 
elettori. Il voto dei Parlamenti nazionali sulle leggi di stabilità 
ormai non conta più ed i governi aspettano solo l’approvazione della 
Commissione. Infine, i paesi si stanno indebitando per finanziare 
organizzazioni inter-governative come il Mes, che prenderà decisioni 
fondamentali per la vita delle popolazioni nei prossimi anni e non ha 
all’interno meccamismi di trasparenza e di controllo democratico. Ma 
cosa sta diventando l’Unione Europea?
La difficoltà oggi è quella di 
comprendere il perché la creazione dei vari strumenti di coesione 
federale decisi dall’Ue abbiano creato un sistema così disfunzionale. Il
 problema fondamentale è la mancanza del controllo delle imposte e della spesa da parte di un Parlamento eletto democraticamente.
 Non è un caso che la guerra civile inglese sia iniziata nel 1640 quando
 il re ha cercato di togliere questi poteri al Parlamento o che la 
rivoluzione americana sia scoppiata quando questo potere è stato tolto 
da Londra a stati come Virginia o il Massachusetts, che lo esercitavano 
da tempo. Sono esempi anglosassoni, ma ce ne sono tanti altri di come le
 fondamenta della democrazia risiedono nel controllo del budget e delle 
imposte da parte di organi eletti dal popolo. Quello che sta accadendo 
all’Ue è, al contrario, il tentativo di darne la gestione a strumenti e 
strutture sovranazionali, che non hanno alcun fondamento con nessun 
Parlamento. E’ estremamente pericoloso e chiaramente anti-democratico.  L’argomento
 che viene usato spesso in sua difesa è che si tratta di un primo passo 
antidemocratico si, ma che serve per completare la federazione sul 
modello statunitense. Il sistema americano sarebbe il modello logico da 
imitare, ma non è realizzabile: non c’è il consenso politico nei 
cittadini europei e per gli Usa vi erano sistemi, istituzioni e 
tradizioni completamente differenti. François Heisbourg  nel suo utlimo 
libro centra alla perfezione questo punto: non si può creare un’Unione 
politica con l’obiettivo di salvare l’euro. E’ ridicolo. La federazione 
deve essere subordinata ad i grandi ideali che plasmano una società e 
non per salvare una moneta. I paesi devono tornare alla realtà sociale 
al più presto e non devono pensare a strumenti di ingegneria finanziaria
 per far funzionare qualcosa che non può funzionare.
- Il referendum voluto da Cameron per 
la rinegoziazione della partecipazione del Regno Unito all’Ue trova il 
favore di un numero crescente di paesi, soprattutto nel nord Europa. 
Cosa si attende dal voto inglese?
La prima reazione in Europa quando 
Cameron ha lanciato il referendum è stata quella di definire gli inglesi
 “stupidi suicidi”. L’argomento era quello che Londra avrebbe perso 
mercato e si sarebbe rassegnata al declino economico. Si tratta di 
argomentazioni ridicole. Le persone che hanno ancora ben compreso come 
funziona l’Unione Europea, come quelle con cui mi sono confrontato alla 
Conferenza Ambrosetti a Como in settembre, sanno che l’uscita del Regno Unito sarebbe si un disastro, ma non per Londra, per l’Ue. Il
 progetto europeo si basa su tre gambe, una delle quali è la Gran 
Bretagna, l’Olanda ed i paesi scandinavi. E senza una di queste, l’Ue è 
finita, perché la chimica interna cambierebbe e sarebbe particolarmente 
difficile soprattutto per la Francia mantenere i sottili equilibri con 
la Germania. La decisione inglese è un enorme avviso a Bruxelles: 
l’integrazione è andata troppo oltre il volere popolare e le popolazioni
 vogliono indietro alcuni poteri. La Costituzione europea è stata 
rigettata da un referendum in Francia ed Olanda. I trattati recenti non 
sono stati posti al giudizio del popolo, tranne che in Irlanda, ma 
costringendola a votare fino all’accettazione. Questa fase in cui si procede senza consultare i cittadini è finita. Questo tipo di arroganza è finito.
- Nel maggio del prossimo anno ci 
saranno le elezioni per il Parlamento europeo, un test fondamentale per i
 partiti e movimenti scettici verso Bruxelles. L’Ue non sarà più la 
stessa
Da studioso dell’economia mi trovo in difficoltà a rispondere. Posso dire che oggi il pericolo maggiore per i paesi dell’Europa meridionale si chiama crisi deflattiva, che
 potrebbe presto trasformarsi in una depressione economica in grado di 
rendere fuori controllo la traiettoria debito/Pil. E’ un potenziale 
disastro. In questo contesto, la politica si deve porre l’obiettivo del 
ritorno di una serie di poteri sovrani delegati a Bruxelles e le 
elezioni europee del prossimo maggio saranno un evento potenzialmente 
epocale: i partiti scettici dell’attuale architettura istituzionale 
potrebbero essere i primi in diversi paesi – l’Ukip in Gran Bretagna, il
 Fronte Nazionale in Francia, il Movimento cinque Stelle in Italia, 
Syriza in Grecia ed in altri paesi – e sarà la possibilità per le 
persone di esprimere la loro irritazione e frustrazione contro le scelte
 da Bruxelles. Un blocco politico importante potrà distruggere questo “mito artificiale” che si è costruito:
 l’Ue non sarà più la stessa e sarà costretta ad essere meno ambiziosa e
 comprendere che molte delle sue prerogative devono tornare agli stati 
nazionali. I governi di Italia, Spagna, Francia devono riprendere il pieno controllo delle vite dei loro cittadini e non pensare all’allargamento all’Ucraina o alla Turchia. Si tratta dell’ultima battaglia.
Fonte: www.lantidiplomatico.it
Link: http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6&pg=5961
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