RISPOSTA DI CATALFAMO A FRANCO VICENTINI
Franco Vicentini, nelle sue obiezioni al mio 
intervento su Bertrand Russell, pone varie questioni, che, però, si 
possono ridurre schematicamente - come impone una risposta breve - a 
due: il proletariato non può essere considerato storicamente antagonista
 di classe della borghesia, perché alla Rivoluzione d’Ottobre partecipò 
solo un "numero abbastanza ristretto di proletari (l’élite operaia delle
 grandi industrie)", guidati da "un piccolo gruppo di intellettuali"; 
"le masse operaie e contadine (…) il comunismo lo hanno sempre subito", 
tanto che se ne sono liberate appena possibile.
Per quanto riguarda la prima questione, mi è facile 
obiettare che è lo stesso Russell a rifiutare il principio per cui "la 
maggioranza ha sempre ragione e la minoranza torto". Il Nostro, 
occupandosi, nella sua "Storia della filosofia occidentale" (1945), 
dell’ "utopia" platonica, si domanda come è possibile dirimere una 
controversia su ciò che è bene e ciò che è male, escludendo che abbia 
ragione in questa disputa chi rappresenta la maggioranza. Russell fa due
 esempi emblematici: Galileo aveva ragione, ma le sue teorie 
scientifiche erano rifiutate dalla maggioranza dei suoi contemporanei; 
anche Gesù Cristo, secondo i credenti, aveva ragione, ma le sue idee 
erano fortemente minoritarie nella sua stessa terra d’origine. Russell 
conclude sconsolato che le dispute etiche "si risolvono in lotte per il 
potere, compreso il possesso dei mezzi di propaganda". Quel che importa 
non è il numero, ma quella che Gramsci chiama "egemonia culturale", cioè
 la capacità di un gruppo ristretto di convincere tutti gli altri di 
avere la migliore "ricetta" per la soluzione dei problemi della 
collettività. Nella società capitalistica, la borghesia non è 
maggioranza, ma riesce ad esercitare tale "egemonia culturale". La 
riprova è rappresentata dal fatto che nelle società a forte maggioranza 
contadina ( si veda il mondo feudale) non sono stati certo i contadini a
 governare.
In Russia l’avanguardia proletaria è riuscita a 
governare perché ha esercitato anch’essa l’ "egemonia culturale". E qui 
vengo alla seconda questione posta da Vicentini. Se è vero che alla 
presa del Palazzo d’inverno parteciparono alcune migliaia di 
rivoluzionari, è anche vero che l’idea comunista ha conquistato negli 
anni milioni di persone. Lo stesso Russell ha evidenziato, anzi 
ammirato, nonostante fosse anticomunista, la suggestività di questa idea
 presso le grandi masse, soprattutto giovanili. Egli scrive ne "La 
conquista della felicità" (1930): "Bisogna ammettere, credo, che nei 
paesi occidentali i giovani più intelligenti tendono ad essere vittime 
di quella specie di infelicità che deriva dal fatto di non trovare un 
impiego adeguato al loro talento. Ma così non è nei paesi orientali. Il 
giovane intelligente, al giorno d’oggi, è probabilmente più felice in 
Russia che in qualunque altra parte del mondo. Egli trova là un mondo 
nuovo da creare, e una fede ardente che lo indirizza in questa 
creazione. (…) Al raffinato occidentale la fede dei giovani russi può 
sembrare brutale, ma, dopo tutto, che cosa si può dire contro di essi? 
Essi stanno creando un mondo nuovo; il mondo nuovo è secondo i loro 
gusti; il mondo nuovo, una volta creato, quasi certamente renderà il 
russo medio più felice di quanto lo fosse prima della rivoluzione". 
L’idea comunista, secondo Russell, non solo ha conquistato le nuove 
generazioni, ma, addirittura, le ha rese felici, perché le ha rese 
protagoniste della storia e creatrici di un "mondo nuovo", migliore di 
quello precedente e superiore, sul piano etico, a quello capitalistico. 
Non potremmo trovare un elogio migliore e più disinteressato del 
"comunismo reale", proveniente da un avversario leale, come Russell.
Il comunismo non è stato una breve parentesi della 
storia, è durato ben settant’anni. E’ crollato quando è venuta meno l’ 
"egemonia culturale" del partito del proletariato.
Credo di aver risposto, seppur brevemente, a Franco 
Vicentini. Un’ultima cosa vorrei aggiungere: dobbiamo evitare di 
trasformare il pensiero di Russell in una nuova "religione", portatrice 
di verità assolute. Faremmo il peggiore dei torti al "filosofo del 
dubbio". Così si giustifica l’approccio critico del mio intervento. 
Quanto all’osservazione di Vicentini, secondo la quale il marxismo non è
 una scienza, credo di avere risposto indirettamente nel mio intervento:
 il marxismo non trasmette verità assolute, perché le teorie 
scientifiche possono trasmettere solo verità relative, come ci dimostra 
lo "storicismo scientifico" di un grande filosofo marxista, Ludovico 
Geymonat. 
Antonio Catalfamo
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