Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

lunedì 23 settembre 2013

Elogio della Menzogna

Da "http://archiviostorico.corriere.it/2004/febbraio/13/Platone_Wilde_elogio_della_menzogna_co_9_040213098.shtml" :

LETTERE AL CORRIERE risponde Paolo Mieli

Da Platone a Wilde: elogio della menzogna

Mi è molto piaciuta la citazione che lei, caro Mieli, parlando delle «fenditure della memoria» ha fatto delle parole di Elio Vittorini secondo il quale la menzogna è sempre premessa di un crollo.

Ma Albert Camus ha scritto ne «La caduta» che «la verità, come la luce acceca; la menzogna invece è un bel crepuscolo, che mette in valore tutti gli oggetti».

E Gorkij ne «I vagabondi» sostiene che «talvolta la menzogna dice meglio della verità ciò che avviene nell' anima».

Come lei sa, potrei continuare a lungo con citazioni di grandi della letteratura e del pensiero che hanno elogiato la bugia in quanto parte essenziale della vita.
Perché allora dobbiamo essere ipocriti e sottostare ai riti di demonizzazione del mentire?
Claudio Strigini Livorno Caro signor Strigini, nessuna ipocrisia tra noi in questo angolo del Corriere.

Ha scritto Oscar Wilde ne «L' importanza di chiamarsi Ernesto»: «Ciò che la gente chiama falsità è semplicemente un metodo grazie al quale possiamo moltiplicare le nostre personalità».

Il corrispondente da Washington dell' Evening Standard Jeremy Campbell ha scritto un bellissimo libro «La grande bugia» (Garzanti) in cui sostiene che «l' umanità non avrebbe mai potuto sopportare l' estenuante cammino che l' ha portata alla sua attuale posizione privilegiata sulla scala evolutiva se avesse seguito una dieta scarna ed esigua come quella rappresentata dalla verità».
Del resto, dice Campbell, ce lo insegna la natura: «Le lucciole sono più inclini a ricevere segnali luminosi menzogneri che non veritieri e alcune specie di uccelli emettono false grida di allarme più spesso di quelle genuine».

Nella «Repubblica» di Platone, Socrate, sollecitato da Glaucone, sostiene che i governanti hanno il diritto di dire il falso allo scopo di «ingannare nemici o concittadini nell' interesse dello Stato».

Persino l' opera di Omero «deve essere emendata da tutto ciò che può minacciare lo Stato».
I riferimenti all' Ade, agli inferi, ad esempio, potrebbero infiacchire i soldati: «Spetta ai governanti stabilire quel che si può dire e quel che non si può dire».

Qualche tempo fa Ruggero Guarini ha proposto (sul Foglio) la teoria secondo cui «la democrazia non è altro che il diritto all' impostura, il quale non è, naturalmente, il diritto alla truffa».

E cosa è allora? «È semplicemente il diritto di ognuno di noi a raccontare tutte le balle (amorose, religiose, filosofiche, politiche, artistiche, culturali e simili) che preferisce; nonché a trarne ogni possibile vantaggio personale, sia materiale (quattrini) che spirituale (ammirazione, successo, gloria e altri allori)».

E dopo aver messo alla berlina - con argomentazione stringente - gli «incapaci», cioè le potenziali vittime di tali balle, Guarini sentenziò: «Propongo di definire democratici soltanto quei regimi che, al proposito di permettere agli umani di raccontare o bersi qualsiasi balla, possono dirsi fondati sul diritto all' impostura, e fascisti (rossi o neri) tutti quegli altri regimi che, allo scopo di imporre soltanto le balle che piacciono a loro, possono dirsi fondati sul divieto dell' impostura, ossia sul diritto a una sola balla, detta anche balla unica di Stato».

Questo se vogliamo parlare in generale delle bugie.
Ma le menzogne a cui faceva riferimento Vittorini - quelle dei sistemi totalitari del Novecento, in questo caso i regimi comunisti o i partiti ad essi collegati - sono ad ogni evidenza altra cosa.
E meritano una trattazione a parte.

Mieli Paolo

Pagina 43
(13 Febbraio 2004) - Corriere della Sera


Mentire con garbo è un'arte, dire la verità è agire secondo natura.
(Oscar Wilde)

Libri: "La menzogna" a cura di Maria Grazia Profeti.

Recensione Libro: "L'arte, la vita e altre menzogne" Oscar Wilde, Traduzione Angelica Chondrogiannis
Da "http://www.mangialibri.com/node/9380" :
Articolo di: Giovanni Pannacci

Essere scrittori contemporanei di Oscar Wilde non doveva essere facile, soprattutto se incappavi in uno dei suoi giudizi. Tipo: “Henry James scrive narrativa come se si trattasse di un doloroso compito.” Oppure: “James Payn bracca l’ovvio con l’entusiasmo di un detective miope.” E sentite che diceva a proposito di George Meredith: “Come scrittore domina tutto tranne il linguaggio; da romanziere riesce a far tutto, tranne che raccontare una storia”. Poi però, da artista onestissimo qual era, riesce anche – e con estrema generosità – a evidenziare i pregi degli scrittori sopraffini. Balzac su tutti. “I suoi personaggi hanno una sorta di esistenza fervida di colori ardenti.” Fino a rivelarci una sua personalissima tragedia legata ai romanzi di Balzac, dice infatti Wilde: “Una delle più grandi tragedie della mia vita è stata la morte di Lucien de Rubempre (protagonista delle Illusioni perdute, nda). È stato un dolore dal quale non sono mai riuscito a liberarmi del tutto.” Cosa aveva Balzac, dunque, di tanto speciale? Egli “ha creato la vita, non l’ha copiata.” Per Oscar Wilde compito dell’Arte è quello di rimodellare la vita, reinventarla, e la vita mai e poi mai deve prendere il sopravvento sull’Arte. Ma la vita è sempre in mezzo, a infastidire, a disturbare. Perfino Shakespeare non ne è immune, allorquando abbandona la cristallina purezza del verso giambico per scivolare verso una più “naturalistica” prosa. Secondo Wilde quando ci si rivolge alla vita e alla natura, le opere finiscono per essere volgari, banali e prive d’interesse. È l’Arte che ci insegna a guardare la vita, non il contrario…
Se non siete persuasi vi basterà leggere anche soltanto le due paginette tratte da La decadenza della menzogna e riportate in questa antologia da Robert Ross col titolo (strepitoso) di L’influenza degli impressionisti sul clima. Ecco come Oscar Wilde illustra il suo concetto secondo il quale “la giusta scuola per imparare l’arte non  è la Vita, ma l’Arte.” Egli lo fa parlandoci dell’invenzione della nebbia. Pensate forse che qualcuno, sostiene l’acuto scrittore irlandese, abbia mai fatto caso alla nebbia di Londra prima che gli impressionisti la dipingessero?  “Le persone oggi vedono la nebbia non perché sia nebbia, ma perché i poeti e i pittori hanno insegnato loro la grazia misteriosa di un simile effetto. Vi possono essere state nebbie per secoli a Londra. Oserei dire che ve ne sono state. Ma nessuno le vedeva e dunque non ne sappiamo nulla. Non esistevano finché l’arte non le ha inventate.” È un piacere impagabile perdersi fra pensieri così raffinati e raccontati con la prosa acutissima di quel genio assoluto che è Oscar Wilde. Ovviamente niente di nuovo in questo agile libretto antologico curato dall’esecutore testamentario dell’opera letteraria di Wilde, che però rappresenta un’ottima occasione per avere compendiato – grazie alla ricerca accurata dei testi presentati – tutto l’Oscar Wilde pensiero. Si va dai saggi contenuti ne Il critico come artista, a brani tratti dai più celebri testi teatrali, alle fiabe, fino alle dolorose e definitive parole del De profundis. Una lettura preziosa, che vi consiglio di fare con una matita appuntita stretta in mano, perché il periodare di Wilde, come si sa, regala aforismi imperdibili.


Decadenza della menzogna

MENZOGNA come ARTE, SCIENZA E PIACERE SOCIALE

The decay of lying apparve inizialmente sulla rivista Nineteenth Century. È strutturato in forma di dialogo: i due interlocutori portano i nomi dei figli di Wilde, Cyril e Vivian. Wilde sembra esprimersi preferibilmente mediante le affermazioni di Vivian, schierandosi apertamente contro l’abominio dell’ideologia del realismo, colpevole di appiattire l’arte nell’imitazione della vita, esattamente in antitesi con ciò che dovrebbe avvenire: la vita stessa deve imitare l’arte.
Questa tesi nasceva, considerato il contesto coevo britannico, in parte come argomentazione di rivalsa alle teorie di Ruskin, suo primo maestro al Magdalen di Oxford, nel 1874; coraggiosamente, Wilde la propugnò nel corso di numerose conferenze, senza mai tuttavia ammettere che fosse stata influenzata dalle idee del pittore americano Whistler, che Buffoni, nella sua introduzione agli “Intentions”, giudica uno “scorbutico e ben poco elegante parlatore” (p. 10). Non è trascurabile dunque il contesto sociale contemporaneo come motivo scatenante delle riflessioni dell’artista dublinese: tuttavia, l’argomentazione è assai persuasiva e merita di essere almeno in parte ricordata.
La natura è del tutto imperfetta e incompiuta; l’arte rappresenta la “vivace protesta” (p. 32) dell’uomo, il suo desiderio di ordine, bellezza e simmetria.
La menzogna e la poesia sono sorelle; Wilde vagheggia la fantasiosa storiografia antica, salutando in Erodoto un padre della menzogna e maledicendo la sciatta riproduzione della vita reale propria della narrativa realista, assassina dei paradossi e delle funamboliche evoluzioni della finzione. Nella Grecia del V secolo avanti Cristo, Erodoto aveva affermato d’esser consapevole di “dire ciò che è”: a questo proposito, Tagliapietra ricorda: “
Erodoto fa parlare il Gran Re dei Persiani Dario, al momento di espugnare con l’astuzia la roccaforte dei Magi di Media: «là dove, infatti, sia necessario dire una menzogna, la si dica; poiché allo stesso scopo tendiamo noi che diciamo il falso, e quelli di noi che fanno uso della verità: gli uni, infatti, mentono allorquando credono di poter trarre qualche vantaggio convincendo con le menzogne; gli altri, invece, si appellano alla verità allo scopo di ricavare, appunto, da essa un guadagno e si abbia in loro maggior fiducia. Così, pur non seguendo le stesse vie, abbiamo di mira lo stesso scopo. Che se non ne dovessero ricavare guadagno alcuno, senza differenza colui che ama la verità mentirebbe e colui che mente sarebbe veritiero». (…) Come Erodoto ha il merito di evidenziare, verità e menzogna, nel gioco politico, si misurano con la prospettiva del vantaggio (A.Tagliapietra, Filosofia della bugia, p. 205; excerpta di Erodoto tratto da Erodoto, Storie, 2 voll., a cura di L.Annibaletto, A.Mondadori, Milano, 2000, pp. 548-549).
Dopo questo breve richiamo allo spirito dell’opera storiografica di Erodoto, torniamo ad esaminare il dialogo di Wilde. L’arte corre il rischio di isterilirsi, di privarsi della sua naturale vocazione alla bellezza, alla sublimazione della realtà. La letteratura infatti esige “distinzione, fascino, bellezza e fantasia” (p. 39): nulla più della menzogna può garantire questi esiti. I tentativi di spogliare la narrativa del suo aspetto di fiction prevedono personaggi, come quelli delle opere di Zola, che Wilde non esita a definire “squallidi” nei vizi e “poco interessanti” (pp. 38-39) nelle loro parabole esistenziali. Gli unici personaggi reali, in sostanza, sono, per il poeta della ballata del carcere di Reading, quelli che non sono mai esistiti: l’aspirazione a trarre spunto dalla realtà è un’opaca operazione letteraria, perché la vita è il “solvente che distrugge l’arte” (p. 44).
L’arte ricrea la vita e la plasma, in nome della bellezza, e non della verità: dunque la giusta via dell’arte, la sua unica scuola, il suo unico referente è l’arte stessa. Quel che Wilde definisce la prima dottrina della nuova estetica si può sintetizzare in questo modo: l’arte è indipendente come il pensiero, e conosce e avanza lungo sentieri e vie che lei sola conosce. È in contrasto con lo spirito del tempo, manifesta invece il progresso (p. 67).  La verità è solo una questione di stile; la menzogna rigenera la letteratura ogniqualvolta essa sia inquinata dalle propensioni al realismo.
La seconda dottrina di questa nuova estetica è che tutta la cattiva arte sorge dal ritorno alla vita e alla natura, o alla loro idealizzazione (p. 67). La terza dottrina è che la vita imita l’arte più di quanto l’arte imiti la vita. L’arte infatti offre alla vita le belle e necessarie forme di espressione (pp. 67-68).
La menzogna, si afferma in conclusione, è il fine proprio dell’arte.
Wilde ha ammesso e rivendicato il diritto e il dovere dell’arte ad essere menzogna, concludendo addirittura che la menzogna sia la conditio sine qua non della sussistenza stessa dell’arte. La suprema illuminazione dell’onestà dell’artificio artistico e dell’integrità della finzione svela l’odiosa illusione del realismo: e la loro irritante, consapevole deformazione del concetto di verità e di realtà si sgretola. Manganelli sosterrà, nella Letteratura come menzogna: Nulla è più mortificante di vedere narratori, per altro non del tutto negati agli splendori della menzogna, indulgere ai sogni morbosi di una trascrizione del reale, sia essa documentaria, educativa o patetica (…). Sebbene siano costretti a mentire, come vogliono le punitive leggi delle lettere, (…) inefficacemente nascondono l’autentico nocciolo di menzogne sotto un velo di una fittizia verosimiglianza” (p. 46). Nel primo capitolo de La Plastica della lingua, intitolato “La creta pastosa del soggetto”, Tommaso Ottonieri così riflette a proposito delle nuove consapevolezze dell’autore: “Interprete sulla scena deserta, dell’unica rappresentazione che a quel punto gli è concessa: la trasparenza micidiale, metafisica, della Verità. Che è, inevitabilmente – senza più maschere, sulla scena deserta – il più annichilente degli ultimi inganni” (p. 34).
Accettiamo come ipotesi, dunque, che la letteratura sia l’unico genere di comunicazione che si identifichi nella menzogna, integralmente: cercheremo di dimostrare come si riveli, in ciò, la sua forza e come questo operi una metamorfosi divina e inattesa. La ricerca della bellezza, per via della trasparente anima menzognera della letteratura, diviene prima e unica affermazione della verità. Secondo Andrea Tagliapietra, mentire è, “nel senso prospettato da Wilde, un atto eminentemente gratuito: antiutilitaristico e, quindi, del tutto antinaturalistico. La menzogna così intesa è al di là di qualsiasi considerazione morale e va oltre ogni valutazione etica. Essa diviene l’emblema dell’assoluta autosufficienza di un tipo particolare d’azione, quella del ‘fare’ artistico, che inventa la realtà e non vi si sottomette (…) «Che cos’è una bella menzogna?»,  s’interroga altrove il Vivian del testo wildiano, «Semplicemente quello che è dimostrazione di se stesso»(p. 2).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde (Dublin, 1856 – Paris, 1900), scrittore, poeta, critico letterario, commediografo ed esteta irlandese.
Oscar Wilde, “Decadenza della menzogna”, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2000.Traduzione e note di Marcella Dallatorre. Introduzione di Franco Buffoni.

Gianfranco Franchi, “Lankelot”, 2002. Breve articolo tratto dalla tesi di laurea “La menzogna nella Letteratura del Novecento”.  prima pubb: lankelot.com

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