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La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

martedì 27 agosto 2013

Gandhi 2

IL SISTEMA DELLE CASTE IN INDIA
di Eliseo Bertolasi

Demografia dell’India

Con una popolazione stimata di 1,13 miliardi di persone, l’India è il 2° paese più popoloso del mondo.
L’età media è di 24,9 anni, e il tasso di crescita della popolazione dell’1,38% annuo.
Il rapporto nazionale donne/uomini è pari a 944/1000.
Quasi il 70% degli indiani risiedono nelle zone rurali, anche se negli ultimi decenni la migrazione verso le città più grandi ha portato a un drammatico aumento nel paese della popolazione urbana.
Le più grandi città sono Bombay, Delhi, Calcutta, Madras, Bangalore.
Il tasso di alfabetizzazione è del 64,8% (53,7% per le donne e 75,3% per gli uomini).
Lo stato del Kerala ha il più alto tasso di alfabetizzazione (91%); Bihar il più basso (47% ).

Religioni presenti in India

In base ai dati del censimento del 2001:
- induisti 80,45% compresi gli ayyavazhi che sono considerati una setta induista (presenti soprattutto nell’India meridionale),
- musulmani 13,43%,
- cristiani 2,34%,
- sikh 1,87%,
- buddhisti 0,77%,
- giainisti 0,41%,
- altre comunità religiose 0,65% (religioni tribali, bahai, ebrei e parsi).

Origine del nome indù

Come India, deriva dal termine, antico iranico, Hindù (corrispondente al sanscrito Shindù), veniva utilizzato fin dall’antichità, per indicare il fiume Indo.
Più tardi, a seguito dell’invasione islamica l’India fu chiamata Hindustan.
Di conseguenza il termine: "indiani" ha designato tutti gli abitanti dell’India, "indù" quegli indiani che non professavano la religione islamica.

Il sistema delle caste

Il sistema delle caste è un aspetto basilare della cultura e della vita sociale dell’India.
È un termine che in portoghese significa casata, stirpe (castas).
Venne utilizzato dai navigatori portoghesi, quando arrivarono in India nel XV sec., per distinguere la popolazione che si presentava suddivisa in 4 varna (colore) e in una miriade di jat (discendenza) e sotto-jat (ognuno corrispondente, almeno in teoria, ad uno specifico gruppo occupazionale).
Si tratta di un sistema estremamente complicato, dalla storia antichissima.
Fu sfruttato dalla potenza coloniale per tenere divisa e oppressa l’India.
Ora, pur non avendo più un valore giuridico, è ancora presente nella vita quotidiana.

La divisione in caste della società indiana risale alla penetrazione degli arii (indoeuropei) in India nel corso del 2°millennio a.C. Si ricollega a divisioni funzionali e rituali (per esempio tra sacerdoti e guerrieri), tipiche di molte popolazioni indoeuropee, le cui tracce sono riconoscibili sia nel mondo greco antico sia in quello celtico o germanico.
Il meccanismo castale fu inizialmente usato per tener separati i ruoli dei dominatori da quelli dei dominati.
Il termine varna che indica le principali suddivisioni, riflette la originaria differenza razziale tra indoeuropei (chiari) e indigeni (più scuri), marca in maniera ancora oggi percettibile, nell’India del nord, il colore della pelle degli appartenenti alle due caste superiori rispetto agli altri.

L’istituzionalizzazione del sistema castale, perno sia della vita sociale e religiosa che dell’organizzazione economica professionale, avvenne tuttavia con molta gradualità nel corso del 1° millennio a.C. e nei primi secoli d. C., quando fu codificata la distinzione in ordine gerarchico, tra:

1 - brahmani (sacerdoti, intellettuali),
2 - kshatrya (guerrieri, aristocrazia militare),
3 - vaishya (mercanti, artigiani, proprietari terrieri),
4 - shudra (servitù, manovalanza, braccianti),

- paria i "fuori casta", genericamente indicati come "intoccabili", esclusi dal sistema castale per la spregevolezza dell’occupazione o per aver perso, violandone le norme, l’appartenenza ad una casta e, con essa, i diritti sociali rituali connessi

Nel Rig Veda (X, 90), è indicato che tutte le caste derivano da Purusa il Dio primordiale:
- i brahmani dalla bocca,
- gli kshatrya dalle braccia,
- i vaishya dalle cosce,
- gli shudra dai piedi.

Ogni casta ha il proprio dharma, una serie di doveri da compiere.
Secondo le dottrine induiste, la casta nella quale un individuo nasce è il risultato delle sue azioni nella vita precedente (karma).
Le disuguaglianze fra gli uomini sono motivate da azioni passate, hanno un valore provvisorio, valgono cioè fino alla morte dell’individuo e alla sua successiva reincarnazione.

Le caste, impongono una serie complessa di regole.
La principale è l’endogamia, oltre a numerose disposizioni di purezza rituale, tra cui:
- l’astensione da certo cibo (i brahmani dovrebbero essere rigorosamente vegetariani),
- il divieto di contaminazione con caste inferiori (attraverso rapporti sessuali o anche semplicemente con il contatto fisico, o con la spartizione di cibi e bevande ecc.).

In via di principio è esclusa qualsiasi mobilità intercastale.
Nelle aree rurali è ancora frequente una diversa distribuzione spaziale tra caste all’interno di uno stesso villaggio, con quartieri e pozzi separati.

La suddivisione in 4 caste si andò a sua volta spezzettando in “sotto-caste”, tutte altrettanto rigidamente escluse le une dalle altre, basate su fattori specifici quali:
- l’occupazione,
- la lingua,
- la provenienza geografica originaria,
- la specifica affiliazione a una setta religiosa induista …

Secondo una stima generica il loro numero attuale si aggira intorno a duemila e oltre.
Solo una piccola parte della popolazione è ascrivibile alle prime due caste, mentre la massa rientra nella quarta i shudra e i “fuori casta” (sono molte decine di milioni).

Al sistema delle caste si opposero:

1) le grandi religioni nate in India sul tronco induista:
- Buddhismo (VI secolo a. C.),
- Sikh (XVI secolo),
- alcune correnti riformiste del XIX e XX secolo che rimasero minoritarie nella società indiana.

2) le religioni esterne:
- l’Islam (presente in India dal X secolo),
- Il Cristianesimo,
finirono però con l’assorbire al proprio interno quelle stratificazioni sociali che riflettono la rigidità del sistema castale induista.

Nell’ultimo secolo, al sistema castale, sia Gandhi che Ambedkar si preoccuparono di smussare alcune asperità umilianti come la segregazione degli intoccabili.

Il sistema castale fu ufficialmente bandito nel 1950 dalla Costituzione dell’India indipendente (che prescrive protezioni e garanzie specifiche per le caste più basse, i "fuori casta" e le tribù primitive).
Nei fatti però il sistema si mantiene in riferimento: al sistema elettorale maggioritario, rispetto alle divisioni del mondo del lavoro, nei ceti più elevati e più colti, come garanzia di status.
Il sistema pare perfino essersi rafforzato, adattandosi e razionalizzandosi in direzioni professionali e clientelari.

Una chiave di lettura antropologica al sistema delle caste

Numerosi studiosi hanno visto nel sistema delle caste indiane un esasperato esempio di "stratificazione sociale" fondato sulla disparità di acceso alle risorse.
Lo studioso francese Luis Dumont (1911-1999) grande conoscitore del sistema castale ha sempre criticato questa idea.
Secondo Dumont, una prospettiva troppo eurocentrica, quindi inadeguata a cogliere l’essenza del sistema.
La gerarchia castale è una gerarchia di purezza rituale la cui logica è parte del pensiero indù e non solo delle relazioni economiche e di potere.
Tale sistema secondo alcuni autori contemporanei subì un forte processo di irrigidimento durante il periodo delle colonie, quando il governo britannico lo congelò in una visione fissa e funzionale alla propria amministrazione coloniale, mentre in realtà era un sistema più fluido.

Levi-Strauss più interessato alle strutture del pensiero umano, che non agli effetti sociali e politici dei suoi prodotti, ritiene che le caste indiane siano un tipico esempio della tendenza classificatoria della mente umana.
Trova analogie formali con un altro sistema di classificazione della realtà, presente in molte culture, quello del totemismo, ossia la tendenza ad associare agli individui e ai gruppi l’immagine di un animale o di una pianta.

Dal confronto tra totemismo australiano e il sistema delle caste indiane emerge un differenza sostanziale:
- i gruppi australiani che si identificano con i rispettivi totem obbligano i loro membri a sposare individui di altri gruppi con totem diversi dai loro,
- le caste indù invece obbligano i propri componenti a sposarsi all’interno della loro casta.

Nonostante questa differenza secondo Levi-Strauss entrambi i sistemi sono frutto dei medesimi principi all’opera nella mente umana.

Il totemismo australiano consiste nell’associare il nome di una pianta o di un animale a un gruppo. Opera una distinzioni tra gruppi servendosi di diversità esistenti tra le specie naturali.

Il sistema castale invece, distingue gli essere umani in base alla loro occupazione, quindi sulla base di un elemento culturale.

Inoltre:

Per il totemismo australiano le distinzioni tra specie (distinzioni naturali) sono assimilate a quelle tra gruppi sociali (distinzioni culturali).

Per il sistema castale invece le differenza tra gruppi occupazionali (distinzioni culturali) vengono assimilate alle differenze naturali (fondate sulla nascita).

Ne deriva che:
- il totemismo "pensa" la natura attraverso la cultura,
- il sistema castale "pensa" la cultura attraverso la natura.

Dal momento che i gruppi totemici si autopercepiscono come gruppi culturali essi si scambiano: donne, atti magici, atti cerimoniali…
Secondo Levi-Strauss la cultura è comunicazione tra individui e gruppi.

Le caste indù si autopercepiscono come gruppi naturali, infatti sono unità chiuse sul piano matrimoniale e separate le une dalle altre sulla base di precisi divieti.

Totemismo australiano e sistema castale sono, per Levi- Strass, espressione di un modus operandi della mente umana.
Delineabile anche dietro strutture sociali tradizionalmente definite come diametralmente opposte.            

Bhimrao Ramji Ambedkar (1891-1956)

Fuori-casta, originario di un piccolo villaggio dell'entroterra.
Fu economista, sociologo, riformatore sociale, uomo politico, "il difensore degli oppressi", il principale architetto della Costituzione indiana.
Dopo la morte venne fregiato del titolo di Bharat Ratna (gioiello dell’India), la più alta onorificenza ufficiale.

Il principe di Baroda, che nel 1906 stabilì che l’istruzione di base fosse obbligatoria fino a 12 anni per tutti, "intoccabili" compresi, istituì anche delle borse di studio per i migliori fra i più poveri.
È in questo modo che Ambedkar studiò fino ad arrivare, prima a Londra, poi alla Columbia University.
Con questa borsa di studio Ambedkar, divenne uno dei più fini giuristi dell’India.

Ambedkar sostituì con l’orgogliosa parola "dalit" ("oppressi") il termine "harijan" ("figli di Dio", un appellativo che trovava offensivo), usato da Gandhi (riprendendo il concetto evangelico che vedeva negli ultimi sulla terra i primi nel regno di Dio) per definire gli intoccabili.

Ambedkar lottò, sia da relatore alla Costituente (1946), che da ministro della giustizia del primo gabinetto Nehru (1947), per fondare il diritto indiano sull’individuo e non sulla comunità di villaggio come qualcuno nel Congresso avrebbe voluto.

Il "Mahatma" Gandhi concepiva il problema dell’intoccabilità in chiave sociale piuttosto che politica, e riteneva che fosse compito di tutti gli indù, soprattutto di quelli di casta superiore, liberare l’induismo da questa inumana abitudine innanzitutto purificando le proprie coscienze.
Una "riforma interiore", che, a suo avviso, avrebbe ulteriormente unificato e rafforzato la società indiana.

Ambedkar, invece, vedeva il problema in chiave politica, basandosi sulle brucianti esperienze personali, era convinto che l’intoccabilità fosse inestirpabile dalla mentalità indù.

L’unica possibilità di redenzione per i "dalit" era perciò:
- l’eliminazione radicale del sistema castale,
- l’instaurazione di una società egalitaria.

A Londra, nel 1932, Ambedkar chiese e ottenne la concessione di elettorati separati per i fuori casta a garanzia della loro attiva partecipazione al mondo politico, mediante la quale poter rivendicare in prima persona i propri diritti.

Gandhi considerava una simile misura come una catastrofe che avrebbe istituzionalizzato e reso permanente quella divisione interna alla società indiana.

La casta, nelle parole di Ambedkar, era la causa primaria di tutti i mali dell’India contemporanea:
"Il sistema castale non è soltanto una divisione dei compiti, ma anche una divisione dei lavoratori...
(Ciò non accade) in nessuna società evoluta...
La casta non favorisce l’efficienza economica.
La casta non può essere e non è stata in grado di migliorare la razza.
Ha invece fatto un’altra cosa: ha completamente disorganizzato e svilito gli indù...
La società indù è un mito, persino il nome "indù" è di origine straniera.
(Gli indiani) non sentivano la necessità di una definizione comune perché non concepivano il fatto di costituire un’unica comunità.
La società indù in quanto tale non esiste, è solo un insieme di caste, e ciascuna casta si preoccupa solo della propria esistenza...
L’influsso della casta sull’etica degli indù è semplicemente deplorevole.
La casta ha ucciso lo spirito della vita pubblica, ha distrutto il senso della solidarietà, ha reso impossibile il sorgere di un’opinione pubblica...
La virtù e la moralità sono state casteizzate.
Non c’è generosità per chi la merita, non c’è rispetto per chi è capace, non c’è carità per i bisognosi, ... e quando c’è, essa non travalica mai i confini della casta...
Non c’è alcun dubbio, a mio parere, che se non trasformiamo il nostro ordine sociale otterremo ben poco in termini di progresso...
Sulla casta non si può costruire alcunché: non una nazione, non una moralità.
Qualunque cosa si poggi su tali fondamenta è destinata a crollare, e non conserverà mai la sua interezza."
("Annihilation of Caste", Bombay, 1936)

Per Ambedkar, l’esistenza delle caste era incompatibile con l’ideale di una nazione moderna, efficiente, egalitaria, guidata da un forte senso civico, e culturalmente dinamica.

In un saggio intitolato "The Buddha and His Dharma" (pubblicato postumo nel 1957), Ambedkar esponeva totalmente la sua visione del buddhismo.

In diverse occasioni si era già soffermato su quegli elementi che considerava alla base di una cultura fondamentalmente democratica: la dottrina del Buddha, e il sangha la vita della comunità da lui (il Buddha) fondata.
A suo dire riflettevano un periodo storico di grande progresso e di giustizia sociale:

"Non è vero che l’India non ha mai conosciuto la democrazia..., i parlamenti o la procedura parlamentare.
Uno studio dei Sangha dei monaci buddhisti rivela che non solo esistevano i parlamenti, poiché i Sangha non erano altro che parlamenti, ma al loro interno si osservavano tutte le regole della procedura parlamentare in uso nei tempi moderni...
Queste regole, che il Buddha applicava durante le riunioni dei Sangha, deve averle desunte dalle assemblee politiche funzionanti a quei tempi."
(Constitutional Assembly Debates, vol.XI, 25 novembre 1949)

L’opera di Ambedkar può essere interpretata come la ricerca di una mediazione fra: un’istanza egalitaria e libertaria e la rivalutazione di un’essenza culturale indiana ritenuta più adeguata alle particolari esigenze indiane.

Nell’ottobre 1956, a due mesi dalla morte, organizzò una cerimonia di conversione di massa a Nagpur, durante la quale pronunciò la celebre frase: "Io non morirò da indù", e impartì la diksha (iniziazione) a centinaia di suoi seguaci.

Periodicamente le conversioni di massa si ripetono e i "dalit" trovano spesso nel buddhismo un vero rifugio spirituale.

Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948)

È stato un grande politico indiano, oltre che una guida spirituale per il suo paese.

Lo si conosce soprattutto col nome di Mahatma ("grande anima", in sanscrito, nome che gli fu conferito per la prima volta dal poeta Rabindranath Tagore).

È stato uno dei pionieri e dei teorici della satyagraha, la resistenza all’oppressione tramite la disobbedienza civile di massa che ha portato l’India all’indipendenza.

Con le sue azioni Gandhi ha ispirato molti movimenti di liberazione e dei diritti civili.

"Sono le azioni che contano.
I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni.
Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo."

"Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre."

Il 30 gennaio 1948, a New Delhi, mentre si recava nel giardino per la consueta preghiera ecumenica delle ore 17, accompagnato dalle sue due pronipoti, Gandhi venne assassinato con tre colpi di pistola da Nathuram Godse, un fanatico indù radicale che lo riteneva responsabile dei presunti cedimenti al nuovo governo del Pakistan e alle fazioni musulmane.

La verità (satya) e la non violenza (ahimsa) costituiscono le colonne portanti dell’intero pensiero gandhiano: sono state le due vie lungo le quali Gandhi ha indirizzato la sua vita e ha diffuso la sua visione della vita.

Il pensiero di Gandhi relativo al satya e ahimsa fu influenzato, dalla sua religione, ma anche, dalla lettura del Vangelo.

Gandhi diceva:

"Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo. La verità e la nonviolenza sono antiche come le montagne."

"Ci sono cose per cui sono disposto a morire, ma non ce n’è nessuna per cui sarei disposto ad uccidere."

Il concetto di Ahimsa

Non significa solo non usare violenza, non far del male, ma anche amare ed essere giusti nei confronti degli altri.

Per Gandhi la ahimsa è un atteggiamento etico derivante dalla fede nella Verità (Satya), che si manifesta in una vita sociale improntata alla nonviolenza, all’amore, alla giustizia.

L’ahimsa è amore verso il prossimo, sentimento disinteressato di fare il bene degli altri, anche a costo di grandi sacrifici personali.

Secondo Gandhi tutti gli esseri viventi, in quanto creature di Dio, sono legati tra loro e devono essere uniti da amore fraterno.

Seguendo l’insegnamento cristiano dell’"Ama il prossimo tuo come te stesso" Gandhi predicava l’amicizia fraterna tra tutti gli esseri umani, musulmani e indù, uomini e donne, "intoccabili" e brahmani, in nome dell’amore e dell’uguaglianza:
"Non c’è strada che porti alla pace che non sia la pace, l’intelligenza e la verità."
"Io e te siamo una sola cosa: non posso farti male senza ferirmi."

Lo stile di vita

Gandhi condusse una vita estremamente semplice, dando sempre esempio di massima umiltà e rispetto per tutti, partendo dagli intoccabili.
Da molti, Gandhi era visto alla stregua di un eremita, poiché conduceva una vita simile a quella monastica, dedicata al pensiero filosofico e soprattutto alla sua messa in pratica.
Fu un vegetariano rigoroso.

Gandhi vedeva il corpo come secondario alla vera fonte della forza di un uomo: l’anima;  predicava che solo un distacco dalle necessità materiali fosse in grado di portare sulla via della verità, verso Dio:
"Chi non controlla i propri sensi è come chi naviga su un vascello senza timone e che quindi è destinato a infrangersi in mille pezzi non appena incontrerà il primo scoglio."

Praticò spesso dei lunghi periodi di digiuno utilizzandolo anche come arma politica.
Utilizzò il digiuno soprattutto però nell’ambito spirituale, convinto che questa pratica portasse all’aumento del controllo dei sensi, indispensabile per un’ascesi spirituale
Rinunciò ai rapporti sessuali all’età di 36 anni e divenne totalmente casto sebbene sposato.
Riservò un giorno della settimana al silenzio, credendo che il parlare rompesse la sua pace interiore.

Al suo ritorno in India, dopo il soggiorno in Sudafrica dove era stato un avvocato di successo, rinunciò ai suoi abiti occidentali, simboli di ricchezza.
La sua idea era quella di adottare un tipo di vestito che fosse accettabile anche dalle persone più povere dell’India.

Sostenne l’uso dell’abito fatto in casa (khadi); praticava la tessitura dei propri vestiti usando un filatoio manuale.
Questo fu messo in pratica anche come forma di lotta contro l’impero britannico, da cui venivano importati i vestiti di foggia occidentale (il filatoio a mano è anche inserito nel disegno della bandiera del Congresso Nazionale Indiano).

Il pensiero politico

Il programma politico di Gandhi fu rivolto essenzialmente all’indipendenza nazionale dell’India con un’ispirazione democratica e socialista.
Questi elementi non erano innovativi dato che derivavano dalla tradizione politica europea.

La sua innovazione riguardò invece la "teoria della rivoluzione", che nell’Europa moderna si era formata con il contributo di quasi tutte le correnti del pensiero politico: liberale, democratica, socialista, anarchica e comunista.

Per quanto divergenti nei loro obiettivi politici, le teorie classiche della rivoluzione hanno in comune due componenti fondamentali:
- la teoria del "diritto alla resistenza", secondo cui è legittimo, addirittura doveroso, che le masse popolari si ribellino alle autorità sociali e politiche, quando subiscono una evidente e intollerabile situazione di ingiustizia.
- la teoria della "guerra giusta", secondo cui il popolo ha anche il diritto di ricorrere alla violenza rivoluzionaria, per correggere torti e ingiustizie subite.

Gandhi condivise il primo di questi due principi, ma rifiutò il secondo: anche per lui ribellarsi all’ingiustizia era un diritto ed un dovere dei popoli, ma era sua convinzione che l’unica forma di lotta rivoluzionaria giusta e legittima fosse la rivoluzione non-violenta, il "satyagraha".

La parola satyagraha significa "forza della verità" e deriva dai termini sanscriti: satya (verità) e agraha (fermezza, forza).

Il compito del satyagrahi, cioè del rivoluzionario non-violento, è proprio quello di combattere la himsa  (la violenza, il male, l’ingiustizia) nella vita sociale e politica, per realizzare la Verità.
Egli da prova di essere dalla parte della giustizia, mostrando come la sua superiorità morale gli permetta di soffrire ed anche morire in nome della Verità.


Da WikiPedia:

Paria


Paria o dalit (o erroneamente intoccabili, ma la traduzione corretta è oppressi) sono definiti i fuori casta nel sistema sociale e religioso induista, includendo anche gli aborigeni indiani e gli stranieri.
Gandhi si riferì ai dalit più poveri ed emarginati come agli Harijan, cioè "figli di dio".
Il diffuso termine paria è il singolare della parola paraiyar che sono il gruppo etnico dalit più cospicuo nel Tamil Nadu.
Il termine "dalit" (in sanscrito dal significa “spezzare, spaccare, aprire”).

Sistema castale

Brahma, l'aspetto creatore di Dio secondo la mitologia induista, creò gli uomini traendoli dalle varie parti del suo corpo, generando così le caste:
  • "brahmini": custodi della scienza e sacerdoti, originati dalla bocca;
  • "kshatriya": guerrieri e governanti, originati dalle braccia;
  • "vaishya": agricoltori, pastori e commercianti, originati dal ventre;
  • "shudra": servi, originati dai piedi.
Infine, i dalit, originati dalla polvere che copriva i suoi piedi.

Storia

Fin dalla seconda metà del XIX secolo si è andato diffondendo un variegato movimento di riscatto degli intoccabili (dalit).
Grazie soprattutto all'intervento di Ambedkar, la Costituzione indiana, all'articolo 17, vieta la pratica dell'intoccabilità e ulteriori misure legislative sono intervenute a bandirla nelle sue varie articolazioni e a tutela di coloro che la subiscono.
Tuttavia si è ancora distanti da una reale estirpazione di questo costume; anzi, pare che la crescita della consapevolezza tra gli intoccabili (dalit) dei loro diritti e un miglioramento delle condizioni di vita di molti di loro abbiano sollecitato le ire e le rivendicazioni di altre porzioni della società hindu, provocando scontri e sanguinosi incidenti.
Inoltre, le misure legislative promosse per sanare le disuguaglianze ereditate dal sistema castale, hanno avuto l'effetto perverso di rendere ancora più evidenti gli intoccabili (dalit), esponendoli paradossalmente in modo maggiore alla discriminazione ordinaria.
La mancanza di istruzione e formazione, nonché la discriminazione perpetrata a danno di coloro che cercano lavoro mantengono tutt’oggi questo giogo sui Dalit.
Si stima, inoltre, che in India 40 milioni di persone, di cui almeno 15 milioni di bambini, siano sfruttate e sotto il giogo del "Bonded labor" termine che si riferisce, all’impiego di una persona in stato di schiavitù per ripagare un debito che, a causa degli alti interessi applicati e dei salari incredibilmente bassi, è praticamente impossibile ripagare tanto che si trasmettono così di generazione in generazione.
L’intoccabilità, che si manifesta tuttora in molti aspetti della vita quotidiana, oltre a rappresentare una violazione dei diritti fondamentali, continua a costituire un ostacolo imponente allo sviluppo ed alla realizzazione di una società che possa dirsi veramente democratica.
Altro aspetto rilevante della questione degli intoccabili (dalit) è il tema della religione.
Ambedkar, infatti, avendo sempre biasimato la dottrina hindu per la sua colpevolezza nell'aver diffuso e mantenuto pregiudizi 'castisti', decise, poco prima di morire, di abiurare l'induismo e abbracciare il buddhismo (rivale storico dell'egemonia sacerdotale hindu).
A questa conversione, più politica che mistica, seguirono le conversioni, non necessariamente al buddhismo, di masse considerevoli di Dalit.
I Dalit sono ancora adesso vittime di emarginazione e abusi, trattati “come gli animali e anche peggio di loro”.
Grazie a nuove legislazioni, essi ora godono di un certo aiuto nel campo dell’educazione e del lavoro ma il loro status sociale non è cambiato e rimangono ai margini della società.
I partiti politici fanno di tutto per comprare i loro voti (anche materialmente), ma nonostante siano molto numerosi non riescono ad esercitare alcun potere nella politica indiana in quanto raramente si interessano ad essa.
Tra l'altro, le quote garantite ai Dalit dalla Costituzione in materia di istruzione, lavoro e seggi parlamentari, non vengono mai completamente coperte: ai Dalit è riservato il 22,5% dei posti, ma più della metà non vengono ricoperti su indicazione della Commissione statale per le caste e le tribù registrate (scheduled castes e scheduled tribes): nell'ambito del servizio pubblico i posti non ricoperti arrivano all'80% e per i posti di lavoro nelle banche statali al 45% .
Per contro il 70% delle funzioni più qualificate sono ricoperte dagli appartenenti alla casta più alta, quella dei Bramini, sebbene rappresentino solo il 5% della popolazione.
Per estensione del concetto di "esclusione", il termine paria viene attribuito a persone di infima condizione sociale, che vivono nell'isolamento rispetto alla maggioranza.

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