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La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

lunedì 26 agosto 2013

Zen 2

Da "http://www.uniurb.it/Filosofia/bibliografie/zen/index.htm" :

A cura di Oriella Orazi

Zen è un termine giapponese: esso è la lettura giapponese dell'ideogramma cinese ch'an, che è l'equivalente della parola sanscrita dhyana,  che  significa  meditazione ed  è  una  delle  sei "perfezioni" (paramita) che rendono possibile il conseguimento dell'"illuminazione" (bodhi), zen significa dunque meditazione.
Essa si compie "stando seduti" (za): donde la parola zazen che significa "sedere in meditazione" in una apposita stanza che si trova in ogni monastero zen e che si chiama sendo, stanza (do) della meditazione.

Definire lo zen in termini di sistema o struttura religiosa equivale a distruggerlo, o meglio a fraintenderlo completamente, perché ciò che non si può "costruire" non si può nemmeno distruggere.
Non si può comprendere lo zen collocandolo entro precisi limiti o conferendogli una fisionomia caratteristica o lineamenti facilmente riconoscibili in modo che, quando vediamo queste forme definite e peculiari, diciamo: "Eccolo!".
Non si comprende lo zen collocandolo in una particolare categoria, separato da ogni altra cosa: "È questo e non quello".
Come dice Suzuki, lo zen è "al di là del mondo degli opposti, un mondo fatto di distinzioni intellettuali... un mondo spirituale di non-distinzione che comporta il raggiungimento di un punto di vista assoluto".

Il primo, e il più difficile, problema che si pone è quello di capire che cos'è lo zen.
È facile conoscere l'origine e tracciare le linee del suo sviluppo storico; ma è difficilissimo capirne la natura, perché, quando si crede di averla afferrata, essa sfugge, come un'anguilla sfugge di mano al pescatore.

Intanto per tentare di dare corpo a chi corpo non ha e non vuole avere, si potrebbe affermare che lo "Zen è guardare con in propri occhi, ascoltare le proprie orecchie, senza mediazioni, senza compromessi, senza giustificazioni per l’incomprensibilità degli atti di chi fa lo strano perché pretende di collocarsi al di là del bene e del male".

Occhi che guardano senza mediazioni o categorie da applicare come con tanta efficacia ci riporta il monaco cristiano, T. Merton, attento conoscitore cristiano del Buddismo e dello zen, nell’opera "Lo Zen e gli uccelli rapaci", ricorrendo alla metafora dello specchio:
"La coscienza zen è paragonata a uno specchio. Un moderno scrittore zen dice: Lo specchio è senza io e senza mente. Se arriva un fiore riflette un fiore, se arriva un uccello riflette un uccello. Mostra bello un oggetto bello, brutto un oggetto brutto. Rivela ogni cosa com’è. Non ha una mente discriminante, né coscienza di sé. Se arriva qualcosa lo specchio lo riflette; se scompare, lo specchio lo lascia scomparire… e non rimane alcuna traccia."

"Tale non, attaccamento, lo stato di assenza mentale, o la funzione veramente libera di uno specchio, è qui paragonato alla pura e lucida saggezza del Budda."
(Zenkei Shibayama, "On Zazen Wasan", 1967)

Il buddismo zen non è un tipo di pensiero, e neppure un modo di pensare.
Anzi, è lo stabilizzarsi nel non pensiero, nell’assenza di pensiero articolato, nello spazio vuoto tra un pensiero e l’altro.

Lo zen inizia quando ogni parola, anche il termine buddista, vista la sua inadeguatezza viene meno ed inizia il presente, la vita, il tempo vivente.

La realtà viva non abbisogna di alcuna definizione, è il nostro intelletto il portatore di tale bisogno.

Nell’illuminazione zen non è di rilevante importanza vedere Budda ma di essere Budda, e che Budda non è quello che le immagini del tempio ci avevano fatto credere: perché non c’è più nessuna immagine, e di conseguenza nulla da vedere, nessuno che vede,  e un  vuoto nel quale nessuna immagine è concepibile.

Se è lecito  pensare di poter  concludere una analisi su quanto più di indefinibile possa esservi quale è lo zen, si potrebbe dire insieme a Shan Hui che "Il vero vedere è quando non c’è più nulla da vedere".

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