di Piergiorgio Odifreddi
La Repubblica,
6 Agosto 2000
Chi non ricorda con nostalgia la Parigi
dei bei tempi andati, quella in cui l'Hemingway di Festa mobile
diceva di essere stato "tanto povero e tanto felice"?
E chi non si sente tanto ricco e tanto triste al ricordo del calderone in cui, agli inizi del Novecento, ribollivano così vicini personaggi così lontani come Picasso e Dalì, Proust e Joyce, Debussy e Stravinsky?
In quella Parigi schiumeggiavano allora non soltanto la pittura, la letteratura e la musica, ma la cultura in generale.
Ed esattamente un secolo fa, nella prima metà dell'agosto 1900, i filosofi e i matematici del mondo intero vi si riunirono per due favolosi congressi, che per dieci giorni scossero il mondo intellettuale e cambiarono per sempre le due discipline.
Dal 1 al 5 agosto si tenne il Congresso Internazionale di Filosofia.
Fra i partecipanti c'erano il maturo e famoso Giuseppe Peano e il giovane e sconosciuto Bertrand Russel. Il 3 agosto il primo parlò sulle definizioni, e il secondo rimase folgorato.
Ecco come egli stesso raccontò l'avvenimento molti anni dopo, nella sua Autobiografia:
"Il Congresso fu il punto di svolta della mia vita intellettuale, perché vi incontrai Peano.
Lo conoscevo già di nome e avevo visto qualche suo lavoro, ma non mi ero preso la briga di imparare il suo formalismo.
Al Congresso notai che era sempre il più preciso di tutti, e che sistematicamente aveva la meglio in ogni discussione in cui si imbarcava.
Col passare dei giorni, decisi che questo era l'effetto della sua logica matematica.
Capii che il suo formalismo era lo strumento di analisi logica che avevo cercato per anni".
Dopo il Congresso Russell corse immediatamente a casa a studiare i lavori di Peano.
Nel giro di un paio d'anni egli scosse i fondamenti della logica con la sua famosa antinomia: se chiamiamo eterologico un aggettivo che non si applica a se stesso (ad esempio, "lungo", che non è lungo), e autologico un aggettivo che si applica a se stesso (ad esempio, "corto", che è corto), di che tipo è "eterologico"?
Non può essere autologico, perché altrimenti si applicherebbe a se stesso, e dovrebbe appunto essere eterologico. E non può essere eterologico, altrimenti non si applicherebbe a se stesso, e sarebbe dunque autologico.
E chi non si sente tanto ricco e tanto triste al ricordo del calderone in cui, agli inizi del Novecento, ribollivano così vicini personaggi così lontani come Picasso e Dalì, Proust e Joyce, Debussy e Stravinsky?
In quella Parigi schiumeggiavano allora non soltanto la pittura, la letteratura e la musica, ma la cultura in generale.
Ed esattamente un secolo fa, nella prima metà dell'agosto 1900, i filosofi e i matematici del mondo intero vi si riunirono per due favolosi congressi, che per dieci giorni scossero il mondo intellettuale e cambiarono per sempre le due discipline.
Dal 1 al 5 agosto si tenne il Congresso Internazionale di Filosofia.
Fra i partecipanti c'erano il maturo e famoso Giuseppe Peano e il giovane e sconosciuto Bertrand Russel. Il 3 agosto il primo parlò sulle definizioni, e il secondo rimase folgorato.
Ecco come egli stesso raccontò l'avvenimento molti anni dopo, nella sua Autobiografia:
"Il Congresso fu il punto di svolta della mia vita intellettuale, perché vi incontrai Peano.
Lo conoscevo già di nome e avevo visto qualche suo lavoro, ma non mi ero preso la briga di imparare il suo formalismo.
Al Congresso notai che era sempre il più preciso di tutti, e che sistematicamente aveva la meglio in ogni discussione in cui si imbarcava.
Col passare dei giorni, decisi che questo era l'effetto della sua logica matematica.
Capii che il suo formalismo era lo strumento di analisi logica che avevo cercato per anni".
Dopo il Congresso Russell corse immediatamente a casa a studiare i lavori di Peano.
Nel giro di un paio d'anni egli scosse i fondamenti della logica con la sua famosa antinomia: se chiamiamo eterologico un aggettivo che non si applica a se stesso (ad esempio, "lungo", che non è lungo), e autologico un aggettivo che si applica a se stesso (ad esempio, "corto", che è corto), di che tipo è "eterologico"?
Non può essere autologico, perché altrimenti si applicherebbe a se stesso, e dovrebbe appunto essere eterologico. E non può essere eterologico, altrimenti non si applicherebbe a se stesso, e sarebbe dunque autologico.
Per rimediare al guaio che egli stesso aveva creato, Russell scrisse
insieme a Whitehead tre voluminosi volumi intitolati Principia Mathematica,
che furono pubblicati fra il 1910 e il 1913.
I nuovi fondamenti che essi pretendevano di fornire alla matematica si rivelarono però poco soddisfacenti, perché nel 1931 Kurt Gödel dimostrò il più famoso e profondo teorema della logica moderna: non solo il sistema di Russell e Whitehead non fornisce un fondamento completo alla matematica, ma nessun altro sistema può farlo, perché la matematica è essenzialmente incompleta.
Ma questi furono sviluppi successivi. Tornando a Parigi, dove l'avevamo lasciato per seguire Russell, Peano si trasferì dal Congresso Internazionale di Filosofia a quello di Matematica che si tenne subito dopo, dal 6 al 12 agosto.
Prima di allora c'era stata un'unica occasione ufficiale in cui i matematici di tutto il mondo si erano riuniti: a Zurigo, tre anni prima. Quella prima volta il discorso di apertura era stato affidato a Henri Poincaré, uno dei due massimi matematici dell'epoca.
A Parigi fu affidato a David Hilbert, che era appunto l'altro.
I nuovi fondamenti che essi pretendevano di fornire alla matematica si rivelarono però poco soddisfacenti, perché nel 1931 Kurt Gödel dimostrò il più famoso e profondo teorema della logica moderna: non solo il sistema di Russell e Whitehead non fornisce un fondamento completo alla matematica, ma nessun altro sistema può farlo, perché la matematica è essenzialmente incompleta.
Ma questi furono sviluppi successivi. Tornando a Parigi, dove l'avevamo lasciato per seguire Russell, Peano si trasferì dal Congresso Internazionale di Filosofia a quello di Matematica che si tenne subito dopo, dal 6 al 12 agosto.
Prima di allora c'era stata un'unica occasione ufficiale in cui i matematici di tutto il mondo si erano riuniti: a Zurigo, tre anni prima. Quella prima volta il discorso di apertura era stato affidato a Henri Poincaré, uno dei due massimi matematici dell'epoca.
A Parigi fu affidato a David Hilbert, che era appunto l'altro.
In realtà Hilbert arrivò un paio di giorni in ritardo,
e tenne il suo discorso l'8 agosto. L'inaugurazione del Congresso fu
dunque soltanto simbolica. Non così l'apertura del nuovo secolo
per la matematica, perché l'ispirata prolusione gettò
uno sguardo profetico sul futuro e additò una serie di feconde
direzioni per la ricerca.
Hilbert aprì con una vera e propria dichiarazione d'intenti, che resta ancor oggi d'ispirazione per tutti coloro che vogliano fare o raccontare la matematica: limitarsi a quei risultati che manifestano una continuità storica col passato, che unificano aspetti diversi, che gettano nuova luce su cose già note, che introducono semplificazioni radicali, che non sono artificiosamente complicati, che ammettono esemplificazioni significative, che sono maturi a sufficienza per essere spiegati al lettore di giornale.
Insomma, l'esatto contrario di ciò che si fa spesso a scuola.
La parte del discorso che passò alla storia fu però l'esplicita indicazione di 23 problemi aperti, che Hilbert considerava cruciali per lo sviluppo della matematica del Novecento.
A conferma della sua lucida preveggenza, molti di quei problemi risultarono effettivamente profondi e stimolanti, benché di diversa difficoltà.
Ad esempio, uno (il terzo) fu risolto immediatamente, e la sua soluzione fu pubblicata ancora prima dell'apparizione degli atti del Congresso.
Molti sono stati risolti nel corso del secolo, qualcuno anche molto di recente (il diciottesimo, nel 1998).
Di altri ancora (il primo, il secondo e il decimo) si è dimostrato che sono insolubili, e questa è pur sempre una soluzione. Qualcuno, infine, rimane tuttora aperto.
Naturalmente oggi, cent' anni dopo, niente è più come era: neppure la nostalgia, come dicono i veri nostalgici. In particolare, non solo la Parigi dei brutti tempi moderni non è più quella dei bei tempi andati, ma nessun'altra città ha preso il suo posto: poiché ormai possiamo essere tutti e sempre in ogni luogo, come Dio, non abbiamo più bisogno di alcun luogo in cui poter essere tutti e sempre, come uomini.
...
Hilbert aprì con una vera e propria dichiarazione d'intenti, che resta ancor oggi d'ispirazione per tutti coloro che vogliano fare o raccontare la matematica: limitarsi a quei risultati che manifestano una continuità storica col passato, che unificano aspetti diversi, che gettano nuova luce su cose già note, che introducono semplificazioni radicali, che non sono artificiosamente complicati, che ammettono esemplificazioni significative, che sono maturi a sufficienza per essere spiegati al lettore di giornale.
Insomma, l'esatto contrario di ciò che si fa spesso a scuola.
La parte del discorso che passò alla storia fu però l'esplicita indicazione di 23 problemi aperti, che Hilbert considerava cruciali per lo sviluppo della matematica del Novecento.
A conferma della sua lucida preveggenza, molti di quei problemi risultarono effettivamente profondi e stimolanti, benché di diversa difficoltà.
Ad esempio, uno (il terzo) fu risolto immediatamente, e la sua soluzione fu pubblicata ancora prima dell'apparizione degli atti del Congresso.
Molti sono stati risolti nel corso del secolo, qualcuno anche molto di recente (il diciottesimo, nel 1998).
Di altri ancora (il primo, il secondo e il decimo) si è dimostrato che sono insolubili, e questa è pur sempre una soluzione. Qualcuno, infine, rimane tuttora aperto.
Naturalmente oggi, cent' anni dopo, niente è più come era: neppure la nostalgia, come dicono i veri nostalgici. In particolare, non solo la Parigi dei brutti tempi moderni non è più quella dei bei tempi andati, ma nessun'altra città ha preso il suo posto: poiché ormai possiamo essere tutti e sempre in ogni luogo, come Dio, non abbiamo più bisogno di alcun luogo in cui poter essere tutti e sempre, come uomini.
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