Da WikiQuote:
Il discorso vero
Incipit
I Cristiani stringono fra loro dei patti che violano le istituzioni
tradizionali.
I patti possono essere palesi, quando si fanno in
conformità alle leggi, oppure occulti, quando vengono stipulati contro
le istituzioni tradizionali.
La cosiddetta agape dei Cristiani nasce dal
pericolo comune, e vale assai più dei giuramenti.
I patti fra Cristiani
contravvengono alla legge comune.
Citazioni
- La loro morale è banale, e in confronto a quella degli altri filosofi non insegna alcunché di straordinario o di nuovo. (I, 4)
- Questi caprai e pecorai si convinsero che esisteva un solo Dio,
Altissimo o Adonai o Celeste o Sabaoth o in qualsiasi altro modo piaccia
loro chiamare questo mondo; e non sapevano nulla più di questo. Non fa
differenza alcuna chiamare il Dio supremo Zeus, con il nome corrente
presso i Greci, o con quel certo nome che ha, poniamo, presso gli
Indiani, o con quel certo altro che ha presso gli Egiziani. (I, 24)
- La dottrina cristiana è rozza, e per la sua rozzezza e la sua debolezza nelle argomentazioni ha conquistato solo persone rozze. (I, 27)
- Di esser nato da una vergine, te lo sei inventato tu [Gesù].
Tu sei nato in un villaggio della Giudea da una donna del posto, una
povera filatrice a giornata. Questa fu scacciata dal marito, di
professione carpentiere, per comprovato adulterio. Ripudiata dal marito e
ridotta a un ignominioso vagabondaggio, clandestinamente ti partorì da
un soldato di nome Pantera. A causa della tua povertà, hai lavorato come
salariato in Egitto, dove sei diventato esperto in taluni poteri, di
cui vanno fieri gli Egiziani. Poi sei tornato, e insuperbito per questi
poteri, proprio grazie ad essi ti sei proclamato figlio di Dio. (Il
giudeo: I, 28)
- Ma se era tenuto a tanto per dare una dimostrazione della sua divinità, egli [Gesù] avrebbe dovuto sparire dalla croce all'improvviso. (Il giudeo: II, 68)
- Gesù minaccia e insulta con troppa disinvoltura quando dice: "Guai a
voi" e "Predico a voi" perché con questo ammette senz'altro di non
essere in grado di convincere, cosa che non dovrebbe succedere non dico a
un Dio, ma nemmeno a un uomo di senno. (Il giudeo: II, 76)
- [I cristiani] Deridono coloro che adorano Zeus
perché a Creta se ne mostra la tomba; ciò non di meno venerano colui
che è risorto dalla tomba, senza sapere come né perché i Cretesi si
comportano in questo modo. (III, 43)
- Dicono che Dio è stato inviato ai colpevoli. E perché non a chi è senza colpa? Che male c'è a non avere colpe? (III, 62)
- Il loro maestro va in cerca di stupidi. (III, 74)
- Anche se una cosa ti sembra cattiva, non per questo consta che sia cattiva: perché tu non sai cosa è utile a te, o a un altro, o al tutto. (IV, 70)
- Se venisse detto che noi regniamo sugli animali, perché diamo la caccia
agli altri animali e li divoriamo, si potrebbe rispondere: «Non
potremmo, piuttosto, essere stati fatti noi per loro, dal momento che
essi ci cacciano e ci divorano?» Noi d'altronde abbiamo bisogno di reti,
di armi, di molti uomini che ci aiutino e di cani [da utilizzare]
contro quelli che cacciamo: a loro invece la natura ha dato
immediatamente delle armi corrispondenti, per ridurci senza sforzo in
loro potere. (IV, 78)
- E alla vostra affermazione, secondo cui Dio ci ha dato il potere di
catturare le fiere e di usarne a nostro piacimento, risponderemo che
verosimilmente prima che esistessero le città e le arti e rapporti
sociali di questo genere e armi e reti, gli uomini venivano catturati e
divorati dalle fiere, mentre era rarissimo che le fiere venissero prese
dagli uomini. (IV, 79)
- Se poi gli uomini appaiono superiori agli esseri privi di ragione
perché hanno costruito le città e si sono dati una struttura politica e
delle magistrature e dei governi, anche questo non significa nulla,
perché altrettanto fanno le formiche e le api. (IV, 80)
- Orbene, se uno guardasse dal cielo verso la terra, quale gli
apparirebbe la differenza fra quello che facciamo noi e quello che fanno
le formiche o le api? (IV, 85)
- Se poi si ritiene che l'uomo sia superiore a tutti gli altri animali
perché possiede sentimenti divini, sappiano i sostenitori di questa
tesi che anche tale possesso può essere rivendicato da molti altri
animali. E a buon diritto, certo. Quale facoltà potrebbe qualificarsi
più divina di quella di prevedere o predire l'avvenire? Ora, questo
potere gli uomini lo apprendono dagli altri animali […]. Inoltre nessun
altro animale sembra esser più leale al giuramento dato, né più fedele
nei riguardi della divinità, dell'elefante, e questo senza dubbio avviene perché gli elefanti hanno conoscenza della divinità. (IV, 88)
- Riguardo alle cicogne,
poi, si racconta che esse contraccambino la pietà filiale e portino
nutrimento ai loro genitori in modo tale che sembrano esser più
amorevoli degli uomini. (IV, 98)
- Dunque l'universo
non è stato fatto per l'uomo, e d'altronde nemmeno per il leone o per
l'aquila o per il delfino, ma perché questo mondo, in quanto opera di
Dio, risultasse compiuto e perfetto in tutte le sue parti: a questo fine
tutto è stato commisurato, non in vista dei rapporti reciproci, se non
incidentalmente, ma del complesso dell'universo. (IV, 99)
- È dell'universale che il dio ha cura, è questo che la provvidenza
divina non abbandona mai: [l'universo] non può subire alterazione, né il
dio dopo qualche tempo può richiamarlo a sé, né la sua collera può
essere provocata da uomini, più di quanto lo possa essere da scimmie o
topi. A nessuno di questi esseri egli muoverà minacce: ciascuno di loro
ha ricevuto il proprio destino, nella parte a lui assegnata. (IV, 99)
- I Cristiani dicono che la sapienza umana è follia agli occhi di Dio.
Il motivo di questa affermazione è stato esposto molto più indietro, ed
è il fatto di voler fare proseliti solo fra gli incolti e gli sciocchi.
(VI, 12)
- I Cristiani sono impostori, ed evitano accuratamente le persone più
sofisticate, perché poco disposte a lasciarsi ingannare; e adescano
invece gli zotici. (VI, 14)
- La sentenza di Gesù contro i ricchi, secondo cui «è più facile per
un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel
regno di Dio», è stata evidentemente mutuata da Platone;
Gesù ha alterato il detto platonico, in cui Platone afferma: «È
impossibile per chi è eccezionalmente buono essere al contempo
straordinariamente ricco». (VI, 16)
- Di tal fatta è questo Dio, e merita di essere maledetto, secondo chi
nutre queste opinioni sul suo conto, perché a sua volta ha maledetto il
serpente che ha trasmesso ai primi uomini la conoscenza del bene e del male. (VI, 28)
- Ma la più grossa stupidaggine è quella di suddividere la generazione
del mondo in vari giorni, prima che esistessero i giorni: infatti
quando il cielo non era ancora stato generato, la terra non si era ancora solidamente fissata e il sole non si muoveva attorno a essa, come avrebbero potuto esserci i giorni? (VI, 60)
- È per aver frainteso la teoria della reincarnazione che i Cristiani parlano di resurrezione. (VII, 32)
- Prestate aiuto all'imperatore con tutte le vostre forze, e
impegnatevi assieme a lui nelle imprese giuste e lottate per lui e
servite nel suo esercito, se egli lo esige, e combattete con lui.
E accettate di governare la vostra patria, se è necessario fare anche questo per difendere le leggi e la pietà. (VIII, 73-75)
Da WikiPedia:
Natura degli attacchi di Celso
Celso prepara la propria argomentazione polemica elencando i dileggi indirizzati dagli
ebrei ai cristiani:
Gesù sarebbe nato da un
adulterio
e sarebbe stato educato da maghi in Egitto; la sua pretesa dignità
divina mal si concilierebbe se non per paradosso, con la sua povertà e
la sua morte miserabile; il cristianesimo non troverebbe fondamento
nelle profezie dell'
Antico Testamento e l'idea di una
risurrezione (quella di Gesù) che si è manifestata solo ad alcuni suoi adepti sarebbe una sciocchezza.
Ma Celso sostiene anche che gli ebrei non sono meno ridicoli degli
avversari che attaccano; questi affermano che il salvatore dal Cielo è
venuto, quelli ancora aspettano la sua venuta: tuttavia gli ebrei hanno
quantomeno la dignità di una nazione antica con una fede antica.
L'idea
di un'
incarnazione di Dio è per Celso assurda: perché la razza umana dovrebbe considerarsi tanto superiore alle api, alle formiche e agli elefanti
da essere protagonista di questo esclusivo rapporto con il proprio
preteso creatore?
E perché Dio dovrebbe scegliere di incarnarsi proprio
come ebreo?
Complessivamente l'idea cristiana di una
provvidenza
che tiene in così grande considerazione gli esseri umani in quanto
tali, ed una singola nazione tra loro, è considerata priva di senso, un
insulto alla divinità.
Celso paragona i cristiani ad un
concilio di rane in una palude o ad un sinodo di vermi in un letamaio, gracchiando e squittendo:
"Per il nostro bene il mondo è stato creato".
Sarebbe molto più ragionevole credere che ogni popolo abbia la propria
specifica divinità; notizie di profeti e messaggeri celesti provengono
anche da molti altri luoghi.
Oltre ad essere una dottrina basata su una vicenda fittizia, il
Cristianesimo non è rispettabile.
Celso sottolinea come ai maestri
cristiani, in larga parte tessitori e ciabattini, non possa essere
riconosciuta influenza sugli uomini davvero istruiti.
I requisiti per la
conversione
sono l'ignoranza ed una puerile suggestionabilità.
Come tutti i
ciarlatani, i cristiani hanno riunito nient'altro che una moltitudine di
schiavi, ragazzini, donne e fannulloni. L'ambiente dei
riti misterici
è degno di ben altra considerazione perché accoglie nella sua cerchia
ristretta solo i puri, gli esenti da colpe e delitti; per il
Cristianesimo il ladro, la canaglia, l'avvelenatore, il saccheggiatore
di templi e tombe sono bersaglio preferito dell'opera di proselitismo.
Gesù, dicono, fu mandato a salvare i peccatori, non coloro che per
proprio merito hanno redento sé stessi dalla colpa.
Celso discredita gli
esorcisti - che sono chiaramente alleati dei demoni - e l'invasione di
profeti vagabondi e indisciplinati che vagano per le città e le campagne
a condannare
al fuoco eterno la terra ed i suoi abitanti.
Ma soprattutto i cristiani sono infedeli, e ogni chiesa è un illecito
collegium,
un'infiltrazione mortale per ogni epoca, e in particolare sotto Marco
Aurelio.
Questi infedeli potrebbero tuttavia integrarsi: un "corretto"
monoteismo
non sarebbe infatti incompatibile con l'adorazione di una pluralità di
dèi; i cristiani dovrebbero però sottomettersi alle grandi autorità
filosofiche e politiche dell'
Impero,
ed abbandonare quel fanatismo che li porta a elevare la loro fede al di
sopra dell'autorità e a organizzare ogni aspetto della vita in funzione
dei comandamenti divini ed in spregio alla legge civile.
Il punto di vista di Celso
Se tra Celso e
Porfirio
è possibile trovare diverse somiglianze, bisogna anche dire che
profondamente differenti sono le loro concezioni religiose.
Porfirio è
principalmente un filosofo puro, ma anche un uomo di profondo sentimento
religioso, per il quale il fine della ricerca è la conoscenza di Dio;
Celso, amico di
Luciano, benché sia talvolta considerato
epicureo o
platonico
non è un filosofo in senso stretto ma un uomo che guarda innanzitutto
alle questioni dello Stato.
Era un vero agnostico come il Cecilio Natale
descritto da
Marco Minucio Felice.
La loro religione non era niente di più e niente di meno che l'impero.
Era acuto, positivo, logico; univa ad alcuni aspetti etici alcune forti
convinzioni morali e una buona conoscenza delle varie religioni
nazionali e mitologie il cui valore egli era in grado di apprezzare.
Il
suo pensiero risente dell'influenza del platonismo eclettico del tempo, e
non della dottrina epicurea.
È un uomo di mondo, un filosofo, che
condivide molto del pensiero platonico del suo tempo ma non il suo
sentimento religioso positivo.
Nella sua critica alla cristianità, che
egli considera una religione barbara e superstiziosa raggiunge posizioni
scettiche e satiriche, da uomo di mondo quale si considera, facendo
affiorare a tratti delle tendenze epicuree.
Cita con convinzione dal
Timeo di
Platone:
"è
cosa difficile trovare il padre e creatore di questo universo, e dopo
averlo trovato è impossibile renderlo conosciuto a tutti."
La
filosofia può al più dare qualche nozione su di lui che l'anima eletta
deve successivamente precisare e sviluppare; i cristiani al contrario
sostenevano che dio è noto a tutti e che tutti possono conoscerlo.
Un
altro punto di contrasto tra Celso e i cristiani è il problema del male.
Celso considerava il male costante in quanto esso era una
caratteristica della materia; perciò considerava assurda l'idea della
resurrezione del corpo (a quel tempo ancora non ben definita) e ridicolo
qualsiasi tentativo di sollevare le masse dalla loro degradazione.
La
differenza principale tra gli gnostici e i platonici era che i platonici
consideravano la forma come il bene e la materia come il male.
A un
certo punto si credette che
La vera dottrina fosse stata scritta a
Roma, ma degli indizi (interni all'opera) indicano piuttosto un'origine
alessandrina.
Questa posizione è supportata non solo dai molti
riferimenti, piuttosto precisi, alla storia e ai costumi egiziani, ma
anche dal fatto che gli ebrei cui si riferisce Celso non sono greci o
romani, ma sono ebrei orientali, in particolare ebrei appartenenti a
quella cerchia giudaica che aveva appreso e fatta propria l'idea del
logos.
Opere
Discorso vero
Nel
Discorso vero di Celso, del
178 circa, viene stabilito un paragone tra iniziazione cristiana e quella pagana: nella tradizione classica l'iniziazione (
telete)
è riservata a "Chi ha mano pura e parola assennata… chi è immune da
ogni infamia e ha l'anima incapace di ogni male ed è vissuto in modo
buono e onesto…" ed è mirata alla purificazione (
katharsia).
Quindi agli iniziati viene imposta la condizione preliminare di non conoscere il male e di vivere secondo giustizia.
Invece secondo i cristiani:
"chi è peccatore, chi è ottuso, chi è puerile e, per farla breve, chi è un disgraziato, il Regno di Dio lo accoglierà; quindi
per
"peccatore" non intendete forse, voi cristiani, l'ingiusto, il ladro,
lo scassinatore, l'avvelenatore, il saccheggiatore di templi o il
violatore di tombe?
Un pirata non potrebbe accogliere persone diverse?" (III.59).
"Il dio dei cristiani è stato inviato ai peccatori; perché non
agli innocenti? Che male c'è a non avere colpe? Perché questa preferenza
per i peccatori? I cristiani dicono queste cose per esortare i
peccatori, poiché non sono capaci di attirare chi è veramente onesto e
giusto. Per questo spalancano le loro porte agli uomini più empi e
abominevoli. Il loro dio, schiavo della pietà per chi si lamenta,
consola i malvagi e respinge coloro che non fanno niente di male. Questo
è il colmo dell'ingiustizia" (III.62, 64, 65, 71).
L'associazione di
katharsis (purificazione) con
telete (iniziazione) richiama il
battesimo (nuovo spunto polemico della fine del II secolo, che sostituiva la questione dell'
eucaristia che veniva presentata come un rito
cannibalista) in quanto proprio nella seconda metà del II secolo l'accesso al battesimo venne regolato attraverso l'istituzione del
catecumenato. In
Tertulliano,
De Baptismo (
203 circa), e in forma più compiuta in
Ippolito,
Tradizione Apostolica (
215 circa), si parla per l'appunto del catecumenato e dei requisiti morali che si stavano definendo.
Collocazione temporale degli scritti
La data è chiaramente definita. Oltre all'indicazione generale che
l'Impero stava vivendo una crisi militare, che porta a pensare
all'esteso conflitto di Marco Aurelio contro i
Marcomanni
e altre tribù germaniche, c'è un riferimento (VIII.69) all'editto
dell'imperatore che imponeva ai governatori e ai magistrati il compito
di controllare con molta attenzione le stravaganze nella religione.
Questo editto fu proclamato nel 176-177, e inaugurò la persecuzione che
durò da quel periodo fino alla morte di Marco Aurelio nel 180. Durante
questi anni
Commodo entrò a far parte dell'impero, e Celso ha una citazione di questo (VIII.71).
Argomenti trattati nelle opere di Celso
Celso mostra familiarità con la storia ebrea della creazione del
mondo.
Qualsiasi pagano che volesse capire a fondo e criticare la
cristianità doveva iniziare apprendendo le nozioni basilari
dell'ebraismo, e ciò è evidente nei capitoli iniziali della sua opera.
Ha una buona conoscenza della Genesi e del libro di Enoch, ma non cita
molto i profeti o i salmi.
Per quanto riguarda il nuovo testamento, la
sua posizione è esattamente quella espressa dai suoi contemporanei.
Parla di una collezione di scritti cristiani, conosce e cita i vangeli
gnostici, ma non altrettanto il vangelo di Giovanni. Conosce le idee
paoline, ma non cita le lettere di Paolo.
Conosceva bene gli scritti gnostici (VIII.15 e VI.25) e il lavoro di
Marcione.
Ci sono anche indicazioni che avesse familiarità con gli scritti del martire
Giustino
e degli oracoli sibillini.
È perfettamente conscio delle divisioni
interne tra cristiani, e conosce i vari stadi di sviluppo che il
cristianesimo ha attraversato nella sua storia.
Usa abilmente queste
conoscenze per evidenziare che il cristianesimo si presentava come una
religione instabile.
Pone a confronto le varie sette cristiane del suo
tempo, l'immagine di Cristo e degli apostoli con i predicatori suoi
contemporanei, le varie versioni della bibbia e dei testi sacri e così
via (anche se ammette che all'inizio le cose non stavano così male come
ai suoi tempi).
Influenza di Celso
La vera dottrina ebbe scarsa influenza sia sulle relazioni tra Stato e Religione, che sulla letteratura classica.
Alcuni accenni ad essa sono presenti in Tertulliano e in Minucio Felice[senza fonte],
e successivamente fu dimenticata finché Origene non ne propose una
confutazione, suscitando nuovo interesse in essa. Buona parte della
polemica neoplatonica deriva naturalmente da Celso, e sia le idee che le
frasi de "la vera dottrina" si ritrovano sia in Porfirio che in
Giuliano,
sebbene la definizione del canone biblico nel frattempo cambiò, in
qualche misura, il metodo d'attacco di questi scrittori.
L'importanza di
quest'opera è il quadro che dipinge della chiesa cristiana attorno
all'anno 180.
Si può dire che Celso non condivideva le aspirazioni
spirituali che il Cristianesimo cercava di soddisfare, considerandolo
come una delle tante sette (più che altro
gnostiche)
in conflitto tra loro, spesso con finalità "sediziose" rispetto allo
Stato, e considerandola come un elemento di pericolo per la società
romana.
Da un punto di vista morale, accusa gli insegnamenti di Gesù di
plagio, essendo molte sue frasi presenti in altri scritti dell'epoca.
Tuttavia, Celso non condanna in termini assoluti la cristianità. Molto
importante è il suo appello ai cristiani che chiude l'opera.
"Venite, egli dice
,
non tenetevi a distanza dall'attuale regime politico. Schieratevi a
fianco dell'imperatore. Non cercate di costruirvi un altro impero, o di
acquisire delle posizioni speciali.
È un'apertura che voi potreste fare
alla pace. Se tutti dovessero seguire il vostro esempio e astenersi
dalla politica, la gestione di questo mondo cadrebbe in mano ai selvaggi
barbari senza legge" (VIII.68).
Ammettendo che alcuni cristiani
hanno successo negli affari, vuole che essi diventino dei bravi
cittadini, che mantengano le loro credenze ma che si adeguino alla
religione di stato.
È un ardente ed efficace appello in nome
dell'impero, che era chiaramente in grave pericolo, e mostra i termini
delle offerte che si facevano alla chiesa, nonché l'importanza della
chiesa in quel periodo.
I
cristiani, a quel tempo, nelle città più cristianizzate d'Oriente
costituivano circa un decimo della popolazione (per esempio, ad Alessandria ce n'erano cinquantamila o sessantamila)[senza fonte] ma la loro influenza per attivismo era maggiore di quella deducibile da questi numeri.
Sul
totale della popolazione dell'impero (oriente ed occidente, città e
campagne) probabilmente costituivano il 2 o il 2,5 % della popolazione
essendo concentrati per lo più nelle città e nella parte orientale
dell'impero.[senza fonte]