di Gianluca Ricciato (*)
«Tutte le volte che la natura essenziale delle cose è analizzata dall’intelletto, essa non può non apparire assurda e paradossale. Ciò è sempre stato riconosciuto dai mistici, ma solo recentemente è divenuto un problema interno alla scienza». (Fritjof Capra, «Il Tao della fisica»1)
Compie 74 anni Fritjof Capra, un pensatore ai limiti del linguaggio e della logica, per come noi occidentali siamo abituati a pensare questi due termini. Non è facile parlare di Capra in un breve spazio ma ci proverò. Non mi è facile perché molte cose della mia vita sono passate attraverso i suoi testi, e viceversa, molti suoi testi hanno «illuminato», come direbbe lui, molte esperienza importanti della mia vita. In un andirivieni tra pensiero e realtà, tra parole e cose, che è il nucleo centrale della sua testimonianza di «fisico mistico».
Già dire chi sia Capra è difficile. E’ un professore universitario, studioso di fisica dei sistemi. E’ un pedagogista, propugnatore dell’educazione sostenibile e fondatore del Center For Ecoliteracy2 di Berkeley, in California. È un filosofo che ha portato fino in fondo le conseguenze dei suoi studi scientifici e ha inventato, o forse ha solo scoperto, un ponte fra l’antico pensiero mistico orientale e la fisica moderna post-newtoniana, quella cioè che prende le mosse dalle scoperte della meccanica quantistica e dalla teoria della relatività di Einstein. È un saggista e pensatore politico, che ha messo in connessione i limiti della logica occidentale con la crisi di civiltà che stiamo affrontando – crisi ecologica, sociale, economica, esistenziale.
Forse connessione è la parola chiave per provare a rendere conto minimamente della complessità del suo pensiero. Fra «Il Tao della fisica» (1974) e «La rete della vita» (1996) Capra ha smascherato l’asse portante di quasi tutto il pensiero occidentale (da Parmenide ai giorni nostri) che sia stato esso applicato alla scienza oppure che sia stato usato per costruire le filosofie religiose: «la nascita della scienza moderna fu preceduta e accompagnata da uno sviluppo del pensiero filosofico che portò a una formulazione estrema del dualismo spirito-materia. Questa formulazione comparve nel Seicento con la filosofia di Renè Descartes, il quale fondò la propria concezione della natura su una fondamentale separazione tra due realtà distinte e indipendenti, quella della mente (res cogitans) e quella della materia (res extensa)»3.
Questa concezione, proveniente dagli albori del pensiero greco e base filosofica del meccanicismo galileiano-newtoniano, divide l’esistente appunto in una opposizione che permette da un lato di teorizzare l’esistenza di un motore esterno alla materia – lo spirito, il Demiurgo platonico, il Dio delle religioni monoteiste – dall’altro di considerare inerte la materia e quindi oggetto statico da poter manipolare in laboratorio. Religioni monoteiste e scienza meccanicista quindi partono da un presupposto comune, che è quello della divisione dell’esistente nel dualismo materia-spirito, da cui derivano le opposizioni classiche della nostra tradizione filosofica: mente-corpo, animato-inanimato, natura-cultura.
Ma questa frattura nel pensiero della nostra civiltà è anche frattura interiore, frammentazione e scollegamento che ci allontana dalla possibilità di vivere appunto in connessione con il resto dell’esistente, con quella che chiamiamo la “natura esterna”. Così noi siamo abituati a pensare di «avere un corpo», non di «essere un corpo», e che la “natura” sia qualcosa fuori di noi, l’altro da noi che noi non siamo. È il pensiero anche dell’ambientalismo superficiale, da cui Capra si distanzia avvicinandosi invece al pensiero sistemico e all’ecologia profonda che riconosce appunto le connessioni, la rete della vita in cui siamo coinvolti.
Le esperienze mistiche, il pensiero orientale organicista, rende appunto conto di questo e cerca di divulgarlo attraverso un linguaggio che non sia solo razionale, analitico, descrittivo. Ma questo lo sanno già tutti ormai anche in Occidente e del resto è stato “digerito” dalla nostra cultura attraverso i suoi schemi – noi occidentali siamo logici, loro sono spiritualisti, e quelli di noi che tentano di avvicinarsi alla cultura orientale fanno parte della moda new age.
Quello che è invece indigeribile – ed è il motivo per cui il pensiero di Capra è eretico e osteggiato dall’ortodossia scientifica e da quella filosofica – è che la «fisica moderna» come la chiama lui, ossia la fisica atomica e subatomica del Novecento arrivi sostanzialmente alle stesse conclusioni del pensiero mistico orientale: non esiste un motore primo fuori dalla materia, cioè un dio superiore, ma l’universo è intrinsecamente dinamico e il motore è interno stesso alla materia; è organico. Ma, cosa ancora più difficile da accettare dopo tremila anni di dualismo oppositivo, la fisica subatomica ci dice che non esiste una divisione fra materia e non-materia. Esattamente come pensavano Taoismo, Buddhismo e Induismo. La struttura dell’atomo infatti ci riferisce proprio questo: ogni cosa si comporta sia come vediamo comportarsi la materia, sia come vediamo comportarsi ciò che non è materia. «Se vado a testare se si comporta come materia, allora si comporta come materia. Se vado a testare se si comporta come non-materia, si comporta come non-materia: questo a esempio è l’esperimento della doppia fenditura!», come mi diceva in una chiacchierata la mia amica PhD (sigla che indica chi ha un dottorato di ricerca – ndr) in fisica Daniela Carturan.
Emblematico è il passo di Heisenberg, uno dei fondatori della meccanica quantistica, riportato nel «Tao della fisica»: «ricordo le discussioni con Bohr che si prolungavano per molte ore fino a tarda notte e che ci conducevano quasi a uno stato di disperazione; e quando al termine della discussione me ne andavo da solo a fare una passeggiata nel parco vicino, non potevo fare a meno di ripropormi in continuazione il problema: è possibile che la natura sia così assurda come ci è apparsa in questi esperimenti atomici?»4.
Capra può dire questo senza essere tacciato di antiscientismo dal pensiero occidentale, proprio perché lui sa e vede che questa in realtà è l’estrema conseguenza dello sviluppo scientifico, il limite invalicabile che un pensiero logico che elida la realtà extrasensoriale può raggiungere, l’al di qua in cui le domande sul tempo, sull’infinito, sull’eternità e in generale sul senso della vita non hanno mai trovato né mai troveranno risposte, se non accettano di trovare nuovi (o forse vecchissimi) riferimenti filosofici e spirituali che superino gli schemi di pensiero greco-giudaici.
Eppure, a pensarci bene, qualcuno prima di lui tutto questo l’aveva già detto, qualcuno che è stato spesso travisato e il cui pensiero navigava al limite della follia, come sappiamo, e che al di là del suo utilizzo negli aforismi è stato ancora poco capito a più di 100 anni dalla sua morte. Nietzsche, pur restando dentro e amando il pensiero occidentale si è spinto là, al di là del bene e del male, dove sia la logica che la fede occidentale traballano: «la lotta contro Platone, o per dirla in modo più comprensibile e adatto al popolo, la lotta contro la secolare oppressione cristiano-ecclesiatica – poiché il cristianesimo è il platonismo per il “popolo” – ha creato in Europa una splendida tensione dello spirito, come non c’era mai stata sulla terra: con un arco così teso si può mirare ormai alle mete più lontane»5.
Forse per poter iniziare a liberarsi da questa millenaria oppressione, per riaprire le porte della percezione – emotiva e spirituale, sensoriale ed extrasensoriale – occorreva che il materialismo arrivasse ai suoi limiti estremi, a considerare la natura un mero oggetto da dominare, come riporta Capra ne «Il punto di svolta» evidenziando le metafore usate da Francesco Bacone, il fondatore del metodo sperimentale induttivo: «La natura, nella sua concezione [di Bacone] doveva essere “rincorsa nelle sue peregrinazioni”, “costretta a servire” e resa “schiava”. Essa doveva essere “messa in ceppi” e scopo dello scienziato doveva essere quello di “strappare con la tortura i suoi segreti”. Pare che gran parte di queste immagini violente siano state ispirate dai processi per stregoneria, che erano frequenti al tempo di Bacone. In quanto ministro della Giustizia sotto il re Giacomo I, Bacone aveva grande familiarità con tali processi, e poiché la natura era considerata di solito femmina, non sorprende che egli trasferisse nei suoi scritti scientifici le metafore usate nei tribunali. In effetti la sua concezione della natura come donna alla quale si debbano strappare i segreti con la tortura per mezzo di dispositivi meccanici richiama alla mente con grande evidenza la diffusione della tortura alle donne nei processi per stregoneria dell’inizio del Seicento»6.
Il pensiero di Capra è quindi – passatemi l’iperbole – un disvelamento, una illuminazione in una civiltà in crisi. Incrociando filosofi e scienziati occidentali, mistici orientali, pensatrici femministe (il passo precedente si rifà alle ricostruzioni storiche di Carolyne Merchant7), arriva a configurare l’architettura del potere occidentale, i legami fra antropocentrismo e androcentrismo (a cui ho già accennato in un altro articolo di questo blog8) senza concentrarsi sui suoi dispositivi di controllo biopolitico, ma evidenziando invece i limiti della sua epistemologia, considerata appunto l’eccellenza della civiltà occidentale. E non per distruggere questa civiltà, ma per portarla appunto al di là dei suoi limiti, delle sue crisi, verso un’era che ricomponga le sue fratture – che sono anche le nostre frammentazioni interiori – e sappia tornare a farci vedere, sentire, toccare la nostra intima connessione con l’universo. Che è anche condizione necessaria per liberarci da nevrosi, ossessioni, dissociazioni: liberarci dalla frattura tra interno e esterno, macro e microcosmo, corpo e mente. Tra individuale e collettivo. Per ricominciare a tessere relazioni, fare rete nella rete della vita.9
«Sedendo su quella spiaggia, le mie esperienze precedenti presero vita; “vidi” scendere dallo spazio esterno cascate di energia, nelle quali si creavano e si distruggevano particelle con ritmi pulsanti; “vidi” gli atomi degli elementi e quelli del mio corpo partecipare a questa danza cosmica di energia; percepii il suo ritmo e ne “sentii” la musica: e in quel momento seppi che questa era la danza di Śiva, il Dio dei Danzatori adorato dagli Indù»10.
1 F. Capra, «Il Tao della fisica», Adelphi, 1993, p.59 [titolo originale The Tao of physics, 1982]
3 F. Capra, op. cit., p.23
4 W. Heisenberg, «Fisica e filosofia», Il Saggiatore, p. 47, citato in F. Capra, op. cit., pp. 58-59
5 F. W. Nietzsche, «Al di là del bene e del male», Newton Compton editori 19966, p.42 [titolo originale Jenseits von Gut und Böse, 1886]
6 Fritjof Capra, «Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente», Feltrinelli 20007 [titolo originale The turning point. Science, society and the rising culture, 1982]
7 Carolyn Merchant, «La morte della natura. Donne, ecologia e Rivoluzione scientifica. Dalla Natura come organismo alla Natura come macchina», Garzanti 1988 [titolo originale The Death of Nature: Women, Ecology, and the Scientific Revolution, 1980]
9 F. Capra, «La rete della vita», BUR 2001 [titolo originale, The Web of Life, 1996]
10 F. Capra, «Il tao» (cit), pp. 11-12(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» (a volte due, oggi addirittura tre) di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare, mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me. (db)
Da WikiPedia:
Il pensiero
Già nel libro "Il Tao della Fisica", che ha avuto grande successo ed è stato ristampato in varie lingue, l’autore critica il modello di scientificità (di derivazione cartesiana) prevalente nel mondo moderno occidentale, in quanto contrassegnato da un’impostazione meccanicistica, quantitativa e riduzionistica, che non corrisponde alla complessità del reale.
Il suo successo sarebbe dovuto non alla portata teoretica, bensì ai risvolti pratici, in quanto tale paradigma scientifico avrebbe facilitato e potenziato il predominio dell’uomo sulla natura, così come auspicato da Cartesio, da F. Bacone e da altri "padri" della modernità.
Secondo Capra, vi è un intimo legame tra la gravissima crisi ambientale del nostro tempo e il tipo di cultura anti-ecologica affermatasi in Occidente negli ultimi secoli.
Egli teorizza l’avvento di un nuovo paradigma, ricavabile dagli sviluppi della "nuova fisica" (e di altri settori della scienza contemporanea), ma anche dal misticismo orientale (Taoismo in primo luogo) e da varie altre saggezze premoderne orientate ecologicamente.
Si tratta di elaborare un nuovo pensiero, caratterizzato in senso olistico, o meglio sistemico: esso viene così denominato perché privilegia il sistema, cioè la rete complessa costituita dalle molteplici interrelazioni, e non le singole unità costitutive (come voleva l’approccio analitico di stampo cartesiano).
Seguendo tale orientamento che privilegia la "rete della Vita" (immagine di grande efficacia più volte impiegata da Capra) e le interconnessioni cosmiche, l’Essere umano stesso è visto come parte della Natura (e non in contrapposizione ad essa).
Le implicazioni che ne discendono sono innumerevoli: qui ci limitiamo a sottolineare che l'aspetto naturale (il Divino) della Natura reale non è più riducibile ad oggetto di arbitrarie manipolazioni spirituali, mentali o tecnologiche; al contrario, Capra osserva che noi dobbiamo imparare dai Cicli Cosmici Naturali e dai Principi organizzativi degli Ecosistemi multilevel, anche con lo scopo improrogabile di costruire delle comunità sostenibili, capaci di ridurre al massimo gli effetti degli impatti ancora poco ecologici.
Questo obiettivo non è più rinviabile, data la gravità della crisi ambientale a livello planetario.
Nel presentare il valore formativo dell’educazione ecologica, Capra si ispira all’ecologia profonda, nel mentre prende le distanze dall’ecologia superficiale, in quanto caratterizzata in senso antropocentrico ed efficientistico; infatti "nell’ecologia superficiale gli Esseri umani sono posti al di sopra e al di fuori della Natura (intima e reale) e, ovviamente, questa prospettiva si accorda con il dominio su tutti gli aspetti della Natura ... alla quale si attribuisce esclusivamente un valore d’uso, un valore strumentale. L’Ecologia profonda vede gli Esseri umani come parte integrante della Natura, come nient’altro che un filo speciale nel tessuto della Vita Cosmica/Dio/Dao/Tao".
Nel libro Il Tao della fisica Capra elenca una vasta serie di "affinità" tra il quadro che sembra emergere dalla fisica contemporanea e gli insegnamenti delle religioni orientali (Induismo, Buddhismo, Taoismo) e i relativi sistemi filosofici.
L'universo sarebbe la manifestazione di un unico campo astratto di intelligenza universale, che darebbe origine ad ogni forma e le sue parti sarebbero intimamente connesse a formare un grande organismo unitario.
In questa visione, importanza decisiva viene attribuita alle onde e al concetto di vibrazione, che sostituisce il concetto tradizionale e statico di materia (che di fatti è superato dall'attuale fisica nucleare e subnucleare).
Da WikiQuote:
Il Tao della Fisica
La fisica moderna ha avuto una profonda influenza su quasi tutti gli aspetti della società umana.
Essa è diventata la base della scienza della natura e questa, insieme con la scienza applicata, ha mutato in modo sostanziale le condizioni di vita sul nostro pianeta, sia in senso positivo sia in senso negativo.
Attualmente è difficile trovare un'industria che non si serva dei risultati della fisica atomica, ed è ben nota l'influenza che questi hanno avuto sulla struttura politica del mondo attraverso la loro applicazione agli armamenti atomici.
Tuttavia l'influenza della fisica moderna va al di là della tecnologia; si estende all'ambito del pensiero e della cultura, dove ha determinato una profonda revisione della concezione che l'uomo ha dell'universo e del proprio rapporto con esso.
Galilei fu il primo a combinare conoscenza empirica e matematica e perciò viene considerato il padre della scienza moderna.
(p. 23)
Lo Zen, che ebbe origine in seno al Buddhismo fu fortemente influenzato dal Taoismo, si vanta di essere "senza parole, senza spiegazioni, senza istruzioni, senza conoscenza".
Esso si concentra quasi interamente sull'esperienza di illuminazione e si interessa solo marginalmente di interpretare questa esperienza.
Un pensiero Zen molto noto dice: "Nell'istante in cui parli di una cosa, essa ti sfugge".
(p. 39)
Il testo taoista più importante, il Tao-tê-ching di Lao-tzu, è scritto in uno stile estremamente sconcertante e apparentemente illogico.
È pieno di contraddizioni che stimolano vivamente l'interesse e il suo linguaggio denso, potente e intensamente poetico si propone di catturare la mente del lettore e di farla uscire dagli abituali binari del ragionamento logico.
(p. 56)
Einstein era profondamente convinto dell'armonia della natura e lo scopo che si propose con maggiore impegno nel corso di tutta la sua attività scientifica fu quello di trovare una fondazione unificata della fisica.
(p. 73)
Questa realtà, chiamata Brahman, è il concetto unificante che dà all'Induismo il suo carattere essenzialmente monistico nonostante l'adorazione di un gran numero di dèi e di dee.
(p. 103)
Maya, perciò, non significa che il mondo è un'illusione, come spesso viene erroneamente affermato. L'illusione, semplicemente, si trova nel nostro punto di vista, se pensiamo che le forme e le strutture, le cose e gli eventi attorno a noi siano realtà della natura, invece di comprendere che sono concetti della nostra mente la quale misura e classifica.
Māyā è l'illusione che deriva dallo scambiare questi concetti per realtà, dal confondere la mappa con il territorio.
(p. 105)
I Taoisti interpretarono tutti i mutamenti della natura come manifestazioni dell'interazione dinamica tra i poli opposti yin e yang, e giunsero quindi a ritenere che ogni coppia di opposti costituisce una relazione polare in cui ciascuno dei due poli è legato dinamicamente all'altro.
Per la mente occidentale, questa idea dell'implicita unità di tutti gli opposti è estremamente difficile da accettare.
(p. 133)
A livello atomico, quindi, gli oggetti materiali solidi della fisica classica si dissolvono in distribuzioni di probabilità che non rappresentano probabilità di cose, ma piuttosto probabilità di interconnessioni.
La meccanica quantistica ci costringe a vedere l'universo non come una collezione di oggetti fisici separati, bensì come una complicata rete di relazioni tra le varie parti di un tutto unificato.
Questo, peraltro, è anche il tipo di esperienza che i mistici orientali hanno del mondo, e alcuni di essi hanno espresso tale esperienza con parole che sono quasi identiche a quelle usate dai fisici atomici.
(p. 157)
Nella fisica moderna, esempi di unificazione di concetti opposti si possono trovare a livello subatomico, dove le particelle sono sia distruttibili sia indistruttibili, dove la materia è sia continua sia discontinua e dove forza e materia sono soltanto aspetti diversi dello stesso fenomeno.
(p. 171)
Niels Bohr fu ben consapevole della corrispondenza tra il suo concetto di complementarità e il pensiero cinese.
Durante una sua visita in Cina, nel 1937, quando la sua interpretazione della meccanica quantistica era già stata completamente elaborata, egli fu profondamente colpito dall'antica idea cinese di opposti polari, e da allora conservò un profondo interesse per la cultura orientale.
Dieci anni più tardi Bohr fu fatto nobile in riconoscimento dei suoi notevoli risultati scientifici e per gli importanti contributi alla vita culturale danese; e quando gli fu chiesto di scegliere un soggetto adatto al suo stemma, la sua scelta cadde sul simbolo cinese del T'ai Chi che rappresenta la relazione di complementarità degli archetipi opposti yin e yang.
Scegliendo questo simbolo per il suo stemma assieme al motto "contraria sunt complementa" (gli opposti sono complementari), Niels Bohr riconobbe una profonda armonia tra l'antica saggezza orientale e la scienza occidentale moderna.
(p. 184-185)
La fisica moderna, quindi, rappresenta la materia non come passiva e inerte, bensì in una danza e in uno stato di vibrazione continui, le cui figure ritmiche sono determinate dalle strutture molecolari, atomiche e nucleari.
Questo è anche il modo in cui i mistici orientali vedono il mondo materiale.
Essi sottolineano tutti che l'universo deve essere afferrato nella sua dinamicità, mentre si muove, vibra e danza; che la natura non è in equilibrio statico ma dinamico.
(pp. 225-226)
Materia e spazio vuoto, il pieno e il vuoto, furono i due concetti, fondamentalmente distinti, sui quali si basò l'atomismo di Democrito e di Newton.
Nella relatività generale, questi due concetti non possono più rimanere separati.
Ovunque è presente una massa, sarà presente anche un campo gravitazionale, e questo campo si manifesterà come una curvatura dello spazio che circonda quella massa.
Non dobbiamo pensare, tuttavia, che il campo riempia la spazio e lo "incurvi".
Il campo e lo spazio non possono essere distinti: il campo è lo spazio curvo!
(p. 241)
Il vuoto è ben lungi dall'essere vuoto.
Al contrario, esso contiene un numero illimitato di particelle che vengono generate e scompaiono in un processo senza fine.
In questo aspetto della fisica moderna c'è dunque la più stretta corrispondenza con il Vuoto del misticismo orientale.
Analogamente al Vuoto dei mistici orientali, di "vuoto fisico", come è chiamato nella teoria dei campi, non è uno stato di semplice non-essere, ma contiene la potenzialità di tutte le forme del mondo delle particelle.
Queste forme, a loro volta, non sono entità fisiche indipendenti, ma soltanto manifestazioni transitorie del Vuoto soggiacente ad esse.
Come dice il sutra, "la forma è vuoto, e il vuoto in realtà è forma".
(p. 258)
Per i fisici moderni, quindi, la danza di Śiva è la danza della materia subatomica.
Come nella mitologia indù, essa è una danza incessante di creazione e distruzione che coinvolge l'intero cosmo; è la base di tutta l'esistenza e di tutti i fenomeni naturali.
Centinaia di anni or sono, gli artisti indiani crearono immagini visive della danza di Śiva in una meravigliosa serie di sculture in bronzo.
Ai giorni nostri, i fisici hanno usato la tecnologia più avanzata per ritrarre le forme della danza cosmica.
Le fotografie delle particelle interagenti ottenute con la camera a bolle, che testimoniano il continuo ritmo di creazione e distruzione dell'universo, sono immagini visive della danza di Śiva che eguagliano quelle degli artisti indiani in bellezza e in profondità di significato.
La metafora della danza cosmica unifica quindi l'antica mitologia, l'arte religiosa e la fisica moderna.
(pp. 283-284)
Anche nell'I King, i mutamenti danno luogo a strutture: i trigrammi e gli esagrammi.
Come i canali delle reazioni tra particelle, questi sono rappresentazioni simboliche delle configurazioni di mutamento.
E come l'energia fluisce attraverso i canali di reazione, così i "mutamenti" fluiscono attraverso le linee degli esagrammi: […].
(p. 326)
Una immagine analoga compare nella filosofia di Leibniz, il quale considerava il mondo come costituito da sostanze fondamentali chiamate «monadi», ciascuna delle quali rispecchiava l'intero universo.
Ciò lo portò a una concezione della materia che presenta analogie con quella del buddhismo Mahāyāna e con la teoria bootstrap degli adroni (teoria nella quale non esisterebbero costituenti fondamentali dell'universo, che come mattoncini aggregandosi creano la complessità, ma ogni singola parte è in connessione con tutte le altre ed è la coerenza di tutte le connessioni reciproche a creare la complessità).
(p. 345)
Io credo che la concezione del mondo implicita nella fisica moderna sia incompatibile con la nostra attuale società, la quale non riflette l'armonioso interrelarsi delle cose che osserviamo in natura.
Per raggiungere un tale stato di equilibrio dinamico sarà necessaria una struttura economica e sociale radicalmente differente: una rivoluzione culturale nel vero senso della parola.
La sopravvivenza della nostra intera civiltà può dipendere dalla nostra capacità di effettuare un simile cambiamento.
Essa dipenderà, in definitiva, dalla nostra capacità di assumere alcuni degli atteggiamenti yin del misticismo orientale, per esperire la globalità della natura e attingere l'arte di vivere in armonia con essa.
Il Velo di Maya
Māyā (in devanāgarī माया), termine sanscrito per indicare un concetto filosofico-religioso dal significato ambiguo: creazione, illusione.
Ciò che sembra una pluralità non è altro che una serie di aspetti differenti della stessa cosa, prodotta da un'illusione (il maya indiano).
(Erwin Schrödinger)
La dottrina della maya, dell'illusione, non implica di per sé la totale irrealtà di questo mondo, il quale, piuttosto, è simile a un gioco d'ombre, a un riflesso.
(Jean Campbell Cooper)
Māyā, perciò, non significa che il mondo è un'illusione, come spesso viene erroneamente affermato.
L'illusione, semplicemente, si trova nel nostro punto di vista, se pensiamo che le forme e le strutture, le cose e gli eventi attorno a noi siano realtà della natura, invece di comprendere che sono concetti della nostra mente la quale misura e classifica.
Māyā è l'illusione che deriva dallo scambiare questi concetti per realtà, dal confondere la mappa con il territorio.
(Fritjof Capra)
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