Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

lunedì 12 agosto 2013

Max Stirner

Da "http://www.treccani.it/scuola/tesine/nichilismo/andolfi.html" :

"Max Stirner: il nichilismo come affermazione del singolo"
di Ferruccio Andolfi *

“Io ho fondato la mia causa su nulla”, proclama Max Stirner (1806-1856) nel prologo di "Der Einzige und sein Eigentum" (1844, "L’unico e la sua proprietà", 1979).
Sembrerebbe il manifesto del più radicale nichilismo.
È in effetti una professione di sfiducia in tutti i valori tradizionalmente riconosciuti: Dio, l’umanità, la libertà, la giustizia.
Tuttavia esiste un punto fermo a cui in questa critica radicale Stirner si arresta, ed è la realtà unica e incomparabile dei singoli individui, finora soggiogati da quegli "universali".

Dall’uomo all’io

Se il senso complessivo della critica della religione svolta fino ad allora dagli esponenti della sinistra hegeliana mirava al riscatto dell’essenza umana dall’alienazione religiosa, "L’unico" mette in questione la stessa essenza umana.
La critica della religione si amplia in una più ampia critica di ogni valore o istituzione che a qualsiasi titolo siano considerati ‘sacri’ e impediscano ai singoli di affermarsi.
All’umanesimo si può muovere la stessa obiezione che Feuerbach aveva rivolto alla fede cristiana in Dio: di subordinare l’individuo empirico come inessenziale a una vera essenza, umana anziché divina ("L’unico", p. 44 s.).

Nominalismo

Il genere, per Stirner, che in questo si professa ‘nominalista’, è solo qualcosa di pensato, e nulla per se stesso.
L’"unico" si costituisce nell’elevarsi oltre se stesso e non nell’adempiere un qualsivoglia ideale.
In questo senso differisce dall’individuo, che è un semplice esemplare del genere e aspira a realizzarlo.
Di lui non si può dare una definizione, che esprimerebbe solo che cosa egli sia, e non chi sia.
"Il giudizio 'tu sei unico' non significa altro che 'tu sei tu'".
A rigore quindi esso è "impensabile e indicibile" ("I recensori di Stirner", in "Scritti minori", Bologna, Pàtron, 1983, p. 107 s.).
Sotto il profilo morale di conseguenza l’io, privo di ogni "missione", è a se stesso il proprio genere e la propria norma ("L’unico", p. 192 s.).

L’egoismo cosciente

L’egoismo cosciente che Stirner predica non è una condizione originaria, ma il risultato di un processo di formazione, che porta a superare quella cultura dell’abnegazione che ha governato le coscienze per molti secoli.
Il legame originario da cui l’essere umano progressivamente si districa è la società, la quale costituisce il suo "stato di natura".
Lo sviluppo dell’uomo segna un graduale distacco da ogni sentimento di debito.
"L’uomo adulto rinuncia con realismo a ogni idealità giovanile, a una sterile contrapposizione alla realtà esistente in nome di ideali, per riferire tutto a se stesso e al proprio interesse" (p. 23).
Provocato dai suoi critici, che lamentavano il carattere ristretto e puramente utilitaristico di una simile prospettiva, Stirner chiarì che il proprio concetto di interesse includeva "ciò che è interessante" per il soggetto e persino momenti di "dimenticanza di se stessi" ("I recensori di Stirner", p. 113).
Anche nell’abnegazione disinteressata l’io cerca comunque la propria realizzazione e soddisfazione: all’opposizione tradizionale tra egoismo e altruismo va sostituita la distinzione, interna all’egoismo, tra ricchezza e povertà di temperamento (ivi, p. 130).

Libertà e individualità

L’unicismo di Stirner presenta qualche punto di contatto con l’individualismo liberale, ma sarebbe errato considerarlo, come fecero i critici socialisti recensendo l’opera, una sorta di proiezione ideologica dei comportamenti "egoisti" e competitivi della società borghese.
Il passaggio dal dominio personale al dominio impersonale della ragione, che si è compiuto nella stagione dell’illuminismo e nei movimenti di liberazione della prima metà dell’Ottocento, rappresenta agli occhi di Stirner un indubbio progresso, ma ripristina una nuova forma di soggezione, da parte appunto della ragione identificata con la legge.
Nel dominio interiore, la stessa moralità kantiana, autonoma e autodeterminata, appartiene a questo mondo ideale, in cui i rapporti di dipendenza non sono aboliti ma solo trasformati ("L’unico", p. 60).
Per chiarire la differenza tra il liberalismo e il proprio unicismo Stirner ricorre alle due categorie di "libertà" (Freiheit) e "individualità" (Eigenheit).
I movimenti di liberazione non riguardano il singolo, hanno per soggetto entità collettive, quali il popolo e la nazione.
Essi mirano a sbarazzarsi progressivamente di limiti.
Ma questo processo è necessariamente senza fine, sul piano della lotta per la libertà ci si deve adattare per forza a risultati parziali.
Qualche limitazione della libertà è inevitabile in ogni forma associativa, anche in quelle forme di ‘unioni’ volontarie che Stirner contrappone alle comunità di tipo costrittivo.
Ciò che in esse può trovare invece sempre esplicazione è la individualità propria.

Questa è descritta da Stirner attraverso la metafora dell’andare per la propria strada, mantenendo sempre un atteggiamento "ribelle" rispetto all’ordine esistente.
La "ribellione" (Empörung) è la parola d’ordine che Stirner oppone alla pretesa della "rivoluzione" di trasformare le istituzioni, con risultati spesso precari.
Una trasformazione effettiva della realtà esterna può essere conseguenza del mantenimento di questa tensione ribelle.

La società come strumento ovvero l’unione

La società comunista è presentata come una società del lavoro o di lavoratori che trovano nelle prestazioni utili alla collettività la base della loro dignità e uguaglianza (p. 129).
L’affermazione del principio del lavoro rappresenta senza dubbio un progresso rispetto all’insicurezza del regime della concorrenza.
E tuttavia l’attribuzione agli uomini della qualifica essenziale di lavoratori fa sì che essi non possano raggiungere una coscienza di sé, o della propria singolarità, e siano sottomessi a una nuova autorità che subentra allo Stato: quella appunto di una società di lavoratori.
Proprio quest’immagine della società fornisce a Stirner lo spunto per formularne un diverso concetto, di tipo utilitaristico, che esclude ogni richiesta sacrificale ai suoi membri: "La società non è un io che possa dare, ma uno strumento da cui possiamo trarre vantaggio" (p. 143).
Un’autentica socialità suppone una relazione tra gli unici che si rapportano l’un l’altro per quello che sono.
La Verein (lega, unione) è la forma sociale contrattuale, di tipo volontario e non costrittivo, capace di salvaguardare l’indipendenza dei soggetti "unici" che la costituiscono, pronti a riprendersi, quando gli obiettivi comuni siano stati raggiunti, la propria libertà d’azione.


* Insegna Filosofia della storia nell’Università di Parma, dirige il quadrimestrale "La società degli individui"; su Stirner ha pubblicato "Il non uomo non è un mostro" (Guida, 2009).

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