Da "http://www.emsf.rai.it/dati/interviste/In_78.htm" :
1 Professor Popper, Lei è molto conosciuto per le sue
idee sul metodo scientifico, che sono diametralmente opposte alla concezione,
ancora oggi prevalente, secondo la quale il metodo scientifico consisterebbe nel
metodo induttivo. Può illustrarci le Sue vedute sul metodo della scienza?
Secondo la mia personale concezione del metodo scientifico, non c'è
effettivamente alcun bisogno di ricorrere all'induzione o a cose del genere. Per
illustrare il metodo che io considero il vero metodo che usiamo per indagare la
natura, partirei da Kant, il quale nella seconda edizione della Critica della
ragion pura, più esattamente nella "Prefazione" alla seconda
edizione, dice cose che trovo eccellenti. Cito: "Allorché Galilei fece
rotolare lungo un piano inclinato le sue sfere, il cui peso era stato da lui
stesso prestabilito, e Torricelli fece sopportare all'aria un peso, da lui
precedentemente calcolato pari a quello di una colonna d'acqua nota [...] una
gran luce risplendette per tutti gli indagatori della natura. Si resero allora
conto che la ragione scorge soltanto ciò che essa stessa produce secondo il
proprio disegno, e compresero che essa deve procedere innanzi coi princìpi dei
suoi giudizi secondo leggi stabili, costringendo la natura a rispondere alle
proprie domande, senza lasciarsi guidare da essa, per così dire, colle dande.
In caso diverso le nostre osservazioni casuali, fatte senza un piano preciso,
non trovano connessione in alcuna delle leggi necessarie di cui invece la
ragione va alla ricerca ed ha impellente bisogno" (Critica della ragion
pura, B XII-XIII, tr. it. Torino, UTET, 1967, p. 42).
È una citazione abbastanza lunga, ma importante soprattutto là dove Kant
parla di Galilei e Torricelli e degli esperimenti da loro architettati,
affermando che i filosofi della natura - cioè quelli che noi oggi chiamiamo
fisici - compresero che noi dobbiamo costringere la natura a rispondere alle
nostre domande, liberamente scelte da noi, piuttosto che aggrapparci alle gonne
di madre natura e aspettare che sia lei a guidarci. Osservazioni fatte a
casaccio, senza un piano elaborato in anticipo, non possono essere infatti
connesse da leggi, mentre sono proprio le leggi ciò di cui la ragione va alla
ricerca.
Questa concezione l'ho chiamata "teoria del faro", in quanto siamo
noi a gettare, per così dire, dei fasci di luce sulla natura, ed è del tutto
differente da quella che suppone che sia la natura a darci informazioni secondo
il suo piacere. In breve, il metodo che tale teoria prefigura è il metodo
ipotetico. Non per altro, la mia precedente citazione da Kant dimostra quanto
bene egli avesse compreso che dobbiamo presentarci davanti alla natura armati
delle nostre ipotesi, cercando risposte alle nostre domande, o, meglio ,ai
nostri problemi. Infatti, noi lavoriamo sempre con ipotesi e con problemi. Senza
il loro aiuto, potremmo solo fare osservazioni casuali, fuori da qualsiasi
piano, incapaci pertanto di condurci alla formulazione di una legge naturale. In
altre parole, già Kant vide con estrema chiarezza che la storia della scienza
ha confutato quell'idea del metodo - che è un dogma infondato - stando alla
quale noi dovremmo partire dalle osservazioni e derivare poi da esse le nostre
teorie. In realtà, facciamo qualcos'altro: partiamo da un problema, con l'aiuto
di un'ipotesi. È questo - io credo - il punto decisivo.
2 Ma, se questo è il metodo della ricerca
scientifica, non potremmo spingerci ancor oltre, affermando che tutti coloro che
apprendono qualcosa - anche la gente comune e persino gli animali o i bambini -
di fatto adottano esattamente lo stesso metodo ipotetico che usano gli
scienziati? Possiamo cioè sostenere che esso sia il metodo con cui in generale
si arriva ad apprendere?
È esattamente ciò che penso: cioè che il metodo per tentativi ed errori,
il metodo ipotetico-deduttivo, sia un metodo universale.
Se osserviamo un coleottero alla ricerca di cibo, lo vediamo muovere
tutt'intorno le sue antenne: ogni movimento corrisponde all'ipotesi di poter
trovare cibo, o qualsiasi altra cosa stesse cercando, in una certa direzione;
quando poi muove le sue antenne in un'altra direzione, questa è una nuova
ipotesi, cioè che quanto esso cerca si trovi in quest'altra direzione, che
esplora, come se avvertisse che quella è la via giusta per trovare qualcosa.
Talvolta ho fatto ricorso alla famosa storiella dell'uomo nero che cerca in una
stanza buia un cappello nero che potrebbe non essere lì. Che cosa può fare?
Può solo muovere la mano in una certa direzione e vedere se per caso il
cappello è lì. Oppure muovere l'altra mano in un'altra direzione: ognuna di
queste azioni corrisponde a un'ipotesi: precisamente che il cappello nero si
trovi proprio in un punto o nell'altro. Il coleottero, in altre parole, deve
essere attivo: non può aspettarsi che quel che cerca gli venga incontro o gli
si mostri da solo. Tutto ciò che può fare è cercare attivamente, sfruttando
il movimento. Quest'ultimo, infatti, è estremamente importante: è ancora più
importante della vista. Ad esempio, un cieco, muovendosi, può trovare degli
oggetti. Anche il guardarsi intorno equivale a muovere gli occhi in certe
direzioni, che sono quelle in cui si cerca. La storiella dell'uomo nero
rappresenta dunque bene la situazione in cui si trova chiunque non conosca già,
ma voglia conoscere. La stessa situazione vale per tutti noi quando cerchiamo
qualcosa e, soprattutto, per gli scienziati.
Anche i bambini che imparano la loro lingua madre, si comportano
sostanzialmente nello stesso modo, ovvero per tentativi. Fanno delle congetture
e, quando sbagliano, vengono corretti dalle persone che insegnano loro la
lingua. Da bambini, infatti, tutti abbiamo dovuto imparare la lingua dagli
adulti, in quanto essa esisteva già e non c'era altro da fare che
impadronirsene. Per riuscirvi, bisogna prima di tutto imparare a produrre i
suoni. Solo successivamente - e qui cominciano i primi tentativi e la
conseguente selezione - proviamo a riprodurre precisamente i suoni emessi dai
genitori - o comunque dagli adulti che ci parlano attorno. Nel cercare di
riprodurre questi suoni, commettiamo degli errori che, in parte, correggeremo da
soli, in parte verranno corretti dalle persone con le quali parliamo, che ci
ripetono in forma esatta le parole che stiamo tentando di pronunciare.
Altrettanto vale per l’apprendimento delle regole della grammatica.
Immaginiamo un bambino che stia imparando il participio passato dei verbi. Sa
già che il participio del verbo "sedere" è "seduto" e del
verbo "vendere" è "venduto"; pertanto, dinanzi al verbo
"ledere", dirà "leduto" (invece di "leso") e
dinanzi al verbo "fondere" dirà "fonduto" (invece di
"fuso"). Gli adulti aiutano i piccoli a eliminare questi errori.
Il nostro modo di apprendere mediante tentativi ed errori consiste proprio in
questo, vale a dire nell'eliminare gli errori commessi. I tentativi sono ipotesi
e l'eliminazione degli errori è il modo in cui ci adattiamo, nel nostro
esempio, alla lingua esistente oppure, come avviene in altri casi, all'ambiente
circostante, e così via.
In tutti i casi, si parte sempre proponendo soluzioni ipotetiche e si passa
quindi alla prova di queste ipotesi, al loro controllo attraverso la prova. Non
a caso, l'ho chiamato il metodo per tentativi ed errori, giacché qui l'errore
gioca un ruolo molto importante: è proprio l'errore, infatti, a farci eliminare
determinate ipotesi.
Anche per questo, non è solo un metodo fra tanti, bensì il metodo per
risolvere tutti i problemi in generale: quando si ha un problema, ci si riflette
sopra, si ha un'idea, un'ipotesi che va sottoposta a controllo. Questo può
risultare negativo: in tal caso, dobbiamo proporre una nuova ipotesi e
sottoporla ancora a controllo, che potrà essere a sua volta negativo, e così
via, finché non troviamo un'ipotesi che regga alla prova. Ovviamente, se siamo
fortunati! Ripensiamo al coleottero: l'eventuale insuccesso delle sue ricerche
è puntualmente espresso dal perdurante movimento delle sue antenne. Così pure
nel caso della storiella dell'uomo nero: forse costui troverà davvero un
cappello e, nell'indossarlo, penserà: "questo deve essere il mio cappello
nero". Tuttavia non potrà esserne ancora certo: nel buio di quella stanza
tale potrebbe apparire, infatti, anche un cappello bianco. Pertanto, il metodo
di procedere per congetture, porta in un certo senso solamente ad ipotesi, o,
forse, ad ipotesi migliori.
Il movimento è fondamentale anche nel caso dell'apprendimento della lingua.
Qui i movimenti riguardano la lingua, le labbra e così via. Solo con il tempo
apprendiamo che si tratta di movimenti di un genere diverso da quelli che
facciamo con le mani, sebbene anch'essi costituiscano, comunque, delle ipotesi
conoscitive sull'adeguatezza di quei suoni, in quanto reazioni appropriate a
ciò che i genitori dicono e indicano.
3 Qualcuno però potrebbe sostenere che un metodo del
genere non abbia molto a che vedere con la scienza, che dopotutto è l'oggetto
della nostra conversazione. Esso non sembra affatto una procedura
particolarmente metodica: noi non pensiamo, infatti, a un coleottero, e nemmeno
a un bambino, come ad animali eminentemente razionali, che aggrediscono i loro
problemi mediante un pensiero metodicamente strutturato ed un piano ben
organizzato. Di loro si direbbe, piuttosto, che si affannano sui problemi sino a
ottenere graduali miglioramenti, ma solo se - come ha detto anche lei - sono
fortunati! Cos'è, dunque, che caratterizza in modo specifico la scienza?
Innanzitutto, se siamo scienziati sul serio, i nostri problemi ce li
scegliamo con cura tra quelli che abbiamo ricevuto dalla cosiddetta situazione
problematica della scienza. In altri termini, generalmente partiamo da problemi
già affrontati da altri. A volte, invece, capita la fortuna d’imbattersi in
un problema completamente originale: un'esperienza davvero molto eccitante, che
rappresenta di per sé una specie di scoperta. Vi è dunque qualcosa di
inconscio nel tentativo di formulare, di non mollare od inseguire un problema.
Va detto, naturalmente, che molto spesso il problema da noi affrontato cambia
aspetto proprio mentre ci stiamo lavorando: capita allora di rendersi conto che
non è esattamente il problema che dovremmo indagare, o quello più promettente,
e così via. In realtà, persino nella scelta del problema noi adottiamo il
metodo per tentativi ed errori. A volte, lo ricaviamo dalla nostra esperienza di
insegnamento. Spesso capita poi, come s'è detto, che il problema muti mentre ci
stiamo lavorando sopra: così lo capiamo meglio, sempre procedendo per tentativi
ed errori.
L'altro elemento che, a mio avviso, è realmente decisivo nella scienza - e
molto spesso anche in ambito prescientifico - è l'atteggiamento mentale di
critica consapevole. Il coleottero non ama sbagliare, non ama muovere le proprie
antenne verso il muro che impedisce la sua esplorazione. Il vero metodo critico,
ossia consapevolmente critico, consiste, invece, nel proporsi di stabilire se
un'ipotesi non sia per davvero errata. Abbiamo, dunque, un problema; formuliamo
un'ipotesi e cerchiamo di scoprirne i punti deboli, sempre procedendo per
tentativi ed errori. Così vi riflettiamo su e ipotizziamo certe situazioni in
cui, forse, la nostra ipotesi non funzionerà. Poi tentiamo di realizzare tali
circostanze attraverso esperimenti opportuni. Riusciamo così a scoprire se la
nostra ipotesi non sia, per caso, estremamente debole. Come? Lasciando che
condizioni sperimentali sempre nuove mettano alla prova la nostra ipotesi,
"torturandola" - per così dire - attraverso tentativi ed errori. Ecco
in cosa consiste il metodo critico che esiste, credo, solo a livello umano: nel
mettersi alla ricerca dei propri errori attraverso un severo e consapevole
controllo.
4 Dunque, nella scienza, come in altri ambiti, noi andiamo
alla ricerca della verità attraverso l'eliminazione degli errori. Ma in quale
senso preciso il metodo per tentativi ed errori è legato alla ricerca della
verità?
Noi aspiriamo alla verità, e poiché non possiamo mai essere sicuri di
averla davvero trovata, andiamo alla ricerca dei punti deboli delle nostre
ipotesi, cercando di eliminare i possibili errori, i quali ci mostrano che
quanto abbiamo raggiunto non è la verità, che la nostra ipotesi non è vera,
ma falsa. In altri termini, tentiamo di falsificare le nostre stesse ipotesi,
cioè di dimostrarne la falsità, di confutarle. In questo consiste il metodo
consapevolmente critico. Lo scienziato serio, che è sempre critico, non assume
un'ipotesi sperando che sia vera, ma con la determinazione di controllarla per
stabilire se non sia invece falsa.
5 Ma alcuni potrebbero obiettare che è piuttosto strano
parlare di verità quando si tratta di indovinare per mezzo di ipotesi, perché
tentativi del genere vengono considerati di solito speculativi e non conclusivi,
mai comunque veri.
Se ipotizzo che domani pioverà, questa è ovviamente una congettura incerta.
Può accadere che domani piova, nel qual caso la congettura sarà vera; ma può
anche accadere che domani non piova, e allora la mia ipotesi sarà falsa. Qui
tutto è molto semplice, dall'inizio sino al momento in cui la congettura cessa
di essere tale: domani, infatti, o pioverà o non pioverà, ma, prima di allora,
l'ipotesi resterà incerta. Consideriamo ora un'ipotesi più generale: per
esempio, quella secondo la quale "piove sempre quando io ho qualche giorno
di vacanza". Questa ipotesi, non solo è un'ipotesi più generale, ma
contiene in sé il termine "sempre". È davvero molto difficile che
io, controllandola, possa stabilire che è vera; ma, ciò nonostante, potrebbe
anche darsi che piova davvero ogni qualvolta ho qualche giorno di vacanza. Anche
ammesso che ciò sia vero, l'ipotesi in quanto tale non lo sarà ugualmente,
perché è talmente generale da non potersi confermare come vera dopo un numero
finito qualsiasi di osservazioni (una, due, tre, non importa quante), cessando
di essere una semplice congettura. Esiste, dunque, una differenza tra ipotesi (e
tentativi) che consistono di asserti singolari e altre ipotesi che hanno un
carattere più universale. Ma, per l'appunto, quel che cerchiamo nel fare
scienza sono leggi generali, ipotesi universali.
Nella concezione popperiana del metodo scientificol'induzione
non ha alcun ruolo: il punto di partenza per la ricerca non sono le
osservazioni, ma le ipotesi che le guidano . Il modo di procedere per tentativi
ed errori costituisce il metodo ipotetico-deduttivo, che Popper ritiene
universale, comune tanto al genere umano quanto al mondo animale. L'eliminazione
degli errori svolge la funzione fondamentale di controllo delle ipotesi , che
conferisce al metodo un valore universale . In ambito più strettamente
scientifico, il metodo esige un'attenzione particolare nella scelta dei problemi
ed un costante atteggiamento critico verso le ipotesi assunte . L'ipotesi non va
assunta nella speranza che sia vera, ma per controllarne l'eventuale falsità .
Le ipotesi più generali non possono esaurirsi in una dimostrazione positiva, ma
richiedono sempre una serie di controlli negativi.
Ricordatevi che di qualsiasi scritto, dove nasce da una idea un conflitto,
bisogna coglierne della logica l'essenza, per un sano spunto di partenza.
Se non si è schiavi di una religione, una idea anche se forte,
può far utilizzo della ragione, come del pennello ne fa l'arte.
(LexMat)
Quanto rimane, è un destino dove solo la conclusione è fatale.
Ed a dispetto della morte, tutto è libertà, un mondo di cui l'uomo è il solo padrone.
(Albert Camus)
Presentazione
La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.
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