di Francesco Dipalo
A
mio avviso, non c’e poi così tanto da fare, se non essere semplici,
vestirsi, mangiare e trascorrere il tempo senza fare nulla.
Linji, Insegnamento 18
Chi studia il
buddhismo e figlio del maestro Linji, anche se non ne conosce il nome.
Nella tradizione zen, lo spirito del maestro Linji è in qualsiasi cosa
pensiamo o facciamo.
II maestro Linji
visse durante la dinastia Tang in Cina. Nacque nella provincia
occidentale dello Shandong, proprio a sud dello Huang Ho, il fiume
giallo, tra l’810 e l’815. Ancora giovane, lasciò la famiglia e si
diresse verso nord per studiare con il patriarca zen Huangbo nel suo
monastero vicino Hongzhou, nella provincia di Tiangzi, a sud del fiume
Yangzi. La Cina viveva allora un periodo di instabilità politica; il
buddhismo subì una grave repressione da parte del governo che culminò in
un decreto, emesso nell’845 dall’imperatore Tang Wu Zong, che ordinava a
tutti i monaci e a tutte le monache di rinunciare all’abito e di
tornare alla vita laica. Vennero distrutti molti templi e statue, in
particolare nelle città. I monasteri nelle zone periferiche vennero meno
colpiti.
Dopo diversi
anni, il giovane Linji venne mandato dal suo maestro a studiare per un
breve periodo con il monaco eremita Dayu, e dopo qualche tempo torno a
vivere con gli altri monaci presso il tempio del patriarca Huangbo. Più
tardi divenne abate del monastero di Zhengzhou, nella provincia di
Hebei, dove insegnò nel suo stile personale drammatico e diretto. Come
era costume nella Cina di quell’epoca, prese il suo nome, Linji, dal
nome della montagna dove visse e insegnò. Vi rimase sino alla sua morte,
avvenuta nell’867. Non scrisse mai i propri insegnamenti, ma i suoi
discepoli li annotarono e li trascrissero nel libro La raccolta di Linji.
Come giovane monaco, Linji studiò diligentemente e raggiunse una conoscenza profonda ed estesa del Tripitaka, i tre canestri degli insegnamenti buddhisti: i sutra, i commenti e il vinaya (i
precetti monastici). Si accorse che, benché molti monaci studiassero
diligentemente, non raggiungevano per questo alcuna particolare
comprensione e trasformazione. Sembravano perseguire sempre maggiori
conoscenze soltanto per accrescere la loro fama e la loro posizione nel
monastero. Così, il maestro Linji lasciò gli studi e decise di seguire
la vera pratica zen. Molti di noi hanno trascorso la vita studiando,
interrogandosi, alla ricerca di qualcosa. Ma anche sul sentiero
dell’illuminazione, se non facciamo che studiare stiamo sprecando tempo,
il nostro e quello del nostro maestro. Questo non significa che non
dovremmo studiare; lo studio e la pratica si sostengono a vicenda. Ciò
che conta, però, non è la meta che cerchiamo di raggiungere, anche se è
l’illuminazione, ma vivere veramente e pienamente ogni momento della
vita.
Il maestro Linji
aveva una solida conoscenza del canone buddhista, ma il suo metodo si
basava sulla consapevolezza che ogni essere umano ha bisogno soltanto di
risvegliarsi alla sua vera natura e di vivere come una persona
semplice. II maestro Linji non si riteneva un maestro zen, ma un ‘buon
amico spirituale’, in grado di aiutare gli altri sul sentiero. Il
maestro Linji chiamava chi possedeva la visione profonda per insegnare
‘colui che ospita’, e il discepolo che veniva a imparare ‘colui che
viene ospitato’.
Ai tempi del
maestro Linji, alcuni termini buddhisti erano usati così spesso che
avevano perso il loro significato. Parole come ‘liberazione’ o
‘illuminazione’ venivano rimuginate sino a quando perdevano il loro
potere. Oggi è lo stesso. Si usano parole che stancano le orecchie. Alla
televisione o alla radio e sui giornali termini come ‘sicurezza’ e
‘libertà’ ricorrono così spesso da non sortire più alcun effetto su di
noi. Anche la parola più bella può perdere il suo significato, quando se
ne abusa. Ad esempio, la parola ‘amore’ è una parola meravigliosa. Se
ci piace mangiare gli hamburger, diciamo: “amo gli hamburger”. E allora
cosa rimane del significato più profondo della parola ‘amore’?
Lo stesso vale
per le parole buddhiste. Qualcuno può essere capace di parlare
egregiamente di compassione, saggezza e non-se, ma ciò non aiuta
necessariamente gli altri. E chi parla potrebbe avere ancora un grande
sé e trattare male gli altri. II suo discorso eloquente potrebbe
consistere solo di parole vuote. Potremmo stancarci di tutte queste
parole, anche della parola ‘Buddha’. Allora il maestro Linji, per
risvegliare la gente, inventò nuovi termini e nuovi modi di esprimersi
più adatti alle esigenze del suo tempo.
Ad esempio,
inventò il termine ‘persona senza impegni’, una persona che non ha né
cose da fare né luoghi da raggiungere. Era il suo esempio ideale di come
una persona può essere. Nel buddhismo theravada, la persona ideale era I’arhat, qualcuno che praticava per ottenere l’illuminazione. Nel buddhismo mahayana, la persona ideale era il bodhisattva, un essere compassionevole che aiutava gli altri sul sentiero dell’illuminazione.
Secondo il
maestro Linji, la persona senza impegni è quella che non corre più
dietro all’illuminazione e non si aggrappa più a nulla, neanche al
Buddha in persona. Una persona simile si è semplicemente fermata, non
viene più vincolata da nulla, nemmeno da teorie o insegnamenti. La
persona senza impegni è la vera persona in ciascuno di noi. Questo è
l’insegnamento essenziale del maestro Linji.
Quando impariamo
a fermarci e a essere veramente vivi nel momento presente, siamo in
contatto con ciò che accade in noi e intorno a noi. Non siamo trascinati
via dal passato, dal futuro, da pensieri, idee, emozioni e progetti.
Spesso pensiamo che le nostre idee sulle cose siano la realtà. La nostra
nozione di Buddha potrebbe essere soltanto un’idea, lontana dal vero.
II Buddha al di fuori di noi era un essere umano che è nato, è vissuto
ed è morto. Cercare quel Buddha è come andare in cerca di un’ombra, del
fantasma del Buddha. A un certo punto la nostra idea del Buddha potrebbe
diventare addirittura un ostacolo.
Il maestro Linji
diceva che quando incontriamo il fantasma del Buddha dovremmo
tagliargli la testa. Sia che guardiamo dentro, sia che guardiamo fuori
di noi, dobbiamo tagliare la testa a tutto ciò che mi incontriamo e
abbandonare i punti di vista e le idee sulle cose, comprese quelle sul
buddhismo e sugli insegnamenti buddhisti. Gli insegnamenti buddhisti non
sono parole elevate e scritture che esistono fuori di noi, riposte su
un alto ripiano del tempio, ma sono medicine per le malattie. Gli
insegnamenti buddhisti sono mezzi capaci di curare l’ignoranza,
l’avidità e la rabbia, come l’abitudine a cercare fuori di noi e a non
avere fiducia in noi stessi.
La visione
profonda non può essere trovata nei sutra, nei commenti o nei discorsi
di Dharma. Non è dedicandoci allo studio delle scritture buddhiste che
possiamo trovare la liberazione e la comprensione risvegliata. Sarebbe
come cercare acqua fresca in ossa inaridite. Ritornando al momento
presente con mente chiara, che esiste qui e ora, possiamo entrare in
contatto con la liberazione e l’illuminazione, e anche con il Buddha
stesso e tutti i suoi discepoli come realtà viventi proprio in questo
momento.
La persona che
non ha impegni è padrona di se stessa, non ha bisogno di darsi delle
arie o di lasciare tracce dietro di sé. La persona vera partecipa
attivamente e si impegna nel suo ambiente senza esserne oppressa.
Sebbene tutti i fenomeni passino attraverso le varie apparenze di
nascita, permanenza, cambiamento e morte, la vera persona non è vittima
di tristezza, felicità, amore o odio. Che sia in piedi, cammini, sia
sdraiata o seduta, vive consapevolmente come una persona semplice. Non
recita nessuna parte, neppure quella del grande maestro zen. Questo
intendeva il maestro Linji quando diceva: “sii padrone di te stesso,
ovunque tu sia, e fa di quel luogo la sede del tuo risveglio”.
Ci potremmo
chiedere: “Se la vera persona non ha nessuna direzione, non anela a
realizzare un ideale, non ha alcuno scopo nella vita, allora chi aiuterà
gli esseri viventi a raggiungere la liberazione, chi salverà coloro che
stanno annegando nell’oceano della sofferenza?”. Un Buddha è una
persona che non ha più impegni e che non cerca nulla. Nel non fare
niente, nel semplice fermarci, possiamo vivere liberamente, fedeli a noi
stessi, e la nostra liberazione contribuirà alla liberazione di tutti
gli esseri.
[Fonte: Thich Nhat Hanh, Nulla da cercare. Un commento alla raccolta di Linji]
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