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Da "http://intenzionalita.blogspot.it/2012/01/pietro-abelardo.html" :
Pietro Abelardo (1079 - 1142)
«Non si deve credere in nulla se prima non lo si è capito»
«Nihil credendum nisi prius intellectum»
Fu uno dei più importanti e famosi filosofi e pensatori del medioevo, precursore della Scolastica e fondatore del metodo logico. Per alcune idee fu considerato eretico dalla Chiesa cattolica in base al Concilio Lateranense II del 1139. [...]
Conquistò masse di allievi grazie all'eccezionale abilità nel padroneggiare la logica e la dialettica, e all'acume critico con cui analizzava la Bibbia e i Padri della Chiesa. Ebbe come temibile avversario Bernardo di Chiaravalle, che non gli risparmiò nemmeno le accuse di eresia. Le sue idee religiose, e in particolare le sue opinioni sulla Trinità, si collocavano in effetti al di fuori della Dottrina cattolica, tanto da essere condannate dai concili di Soissons (1121) e di Sens (1140).
Tra i suoi principali allievi vi furono Arnaldo da Brescia, Giovanni di Salisbury, segretario dell'arcivescovoThomas Becket, Ottone di Frisinga, grande letterato e zio di Federico Barbarossa e Rolando Bandinelli, il futuro papa Alessandro III.
Abelardo fu noto anche col soprannome di Golia: durante il Medioevo tale appellativo aveva la valenza di "demoniaco".
Pare che Abelardo fosse particolarmente fiero di questo soprannome,
guadagnato in relazione ai numerosi scandali di cui fu protagonista,
tanto da firmare con esso alcune delle sue lettere. Celebre è la sua storia d'amore con Eloisa, da molti considerato il primo esempio documentato di amore declinato in chiave "moderna", come passione e dedizione assoluta e reciproca. [...] raccontava la vicenda che sarebbe diventata un classico sul tema dell'amore; di come si innamorasse di Eloisa, la giovane nipote di Fulberto, canonico di Notre-Dame presso il quale Abelardo aveva dimora, la quale gli era stata affidata affinché le insegnasse la filosofia;
la descriveva come bella, colta, sensibile e intelligente: «aveva tutto
ciò che più seduce gli amanti». La fama della passione tra Abelardo ed Eloisa ben
presto riuscì ad eguagliare quella del valore intellettuale di
Abelardo, una situazione che non poteva essere tollerata dallo zio di Eloisa, che si vendicò facendo crudelmente evirare Abelardo.
[...] la sua eterodossia, specialmente sulla dottrina trinitaria, fu messa sotto accusa e, nel 1121, gli fu ordinato di comparire davanti ad un concilio, presieduto dal legato pontificio Kuno, vescovo di Preneste, a Soissons.
Mentre non è facile determinare esattamente cosa accadde al Concilio, è
chiaro che non ci fu alcuna condanna formale delle dottrine di
Abelardo, il quale, tuttavia, fu condannato a recitare il Credo Atanasiano e a bruciare il suo libro sulla Trinità (De unitate et trinitate divina).
[...] Come abate di Saint Gildas, Abelardo visse, secondo il suo racconto, un periodo molto travagliato.
I monaci, considerandolo troppo rigoroso, tentarono in vari modi di
sbarazzarsi di lui, osteggiandolo e arrivando persino ad avvelenarlo. Infine riuscirono a scacciarlo dal monastero.
[...] Con Eloisa intrattenne una fitta corrispondenza, in parte pervenutaci, dove i due trasponevano il proprio amore terreno, ormai troncato, in un amore verso Dio.
Nonostante ciò nelle lettere, spesso dotate di una notevole qualità
artistica e di un sincero slancio mistico, trapelano ancora tracce
dell'antica passione.
[...] Bernardo di Chiaravalle attaccarono le sue dottrine. Il monaco di Chiaravalle, l'uomo più potente della chiesa di quei tempi, fu messo in allarme sull'eterodossia degli
insegnamenti di Abelardo e mise in discussione la dottrina trinitaria
contenuta nei suoi scritti. Ci furono ammonizioni da una parte e
mancanze dall'altra; San Bernardo, avendo preventivamente avvisato Abelardo in privato, procedette denunciandolo ai vescovi di Francia;
Abelardo, sottovalutando l'abilità e l'influenza del suo avversario,
richiese un concilio dei vescovi, di fronte al quale Bernardo e lui
avrebbero dovuto discutere i punti disputati. Nel 1141, nella cattedrale di Sens (la sede metropolitana di cui Parigi era allora suffraganea), dinnanzi
ad alti ecclesiastici e allo stesso re di Francia, Bernardo lesse la
lista delle proposizioni che, temendo un diretto confronto dialettico
con Abelardo, aveva fatto precedentemente condannare dai vescovi e gli
chiese di riconoscerle.
Abelardo, informato, così sembra, del procedimento della sera
precedente, rifiutò di difendersi, dichiarando che si sarebbe appellato
a Roma.[1] Di conseguenza, le proposizioni vennero condannate, ma Abelardo conservò la sua libertà. Bernardo, con una lettera alla Curia Romana, sollecitò la ratifica papale della condanna di Abelardo. Il decreto di Papa Innocenzo II, con la conferma della condanna di Sens, lo raggiunse mentre era in viaggio per Roma, ma era giunto solamente a Cluny.
[...] Per Abelardo, come per Aristotele, la sostanza (ousia) era
l'esistenza nella forma di cosa, di animale o di persona, dunque era un
soggetto: «Come certi nomi sono dai grammatici detti comuni e altri
propri, così dai dialettici certi termini sono detti universali e altri
singolari; l'universale è un vocabolo capace di essere predicato
singolarmente di molti, come per esempio, il termine uomo si può unire a
tutti gli uomini mentre singolare è il nome predicato di uno solo, per
esempio Socrate. Dicendo che Socrate è uomo, Platone è uomo, Aristotele è
uomo, uso una parola, uomo, predicato di molti individui: uomo è dunque
una parola universale. Quando diciamo che questo o quell'individuo
conviene nello stato di uomo... diciamo che è un uomo sebbene lo stato
di uomo non sia una cosa, una realtà, ma è la causa comune per cui ai
singoli viene dato il nome uomo».
In questo modo l'universale non è né una realtà, come voleva Guglielmo
di Champeaux, né un puro suono, come sosteneva Roscellino. L'universale
non può essere una cosa, poiché una cosa è un'entità individuale e in
quanto tale non può essere predicato di un'altra cosa: e allora
l'universale non è realtà. Ma non è neanche un puro suono, perché anche
un suono è un'entità individuale e perciò non può essere predicato di
altro suono.
«Quando ascolto la parola uomo mi sorge nell'animo un modello comune a
tutti gli uomini ma "proprio" di nessuno; quando ascolto la parola
Socrate mi sorge un’immagine che esprime una "particolare" persona...
come si può dipingere una figura comune, si può concepire una figura
comune: l'universale è questa immagine comune, l'immagine di una cosa
concepita come comune.»
[...]
La logica
Compito della logica è stabilire
la verità o falsità di un discorso e solo la libera ricerca razionale
può condurre alla verità. Nell'opera Sic et non (Sì e no), raccoglieva un centinaio di proposizioni, tratte dai diciassette libri del Decretum di Yves di Chartres, attraverso le quali indicava il corretto metodo per affrontare le controversie teologiche: distingueva i testi della Bibbia,
ai quali bisognava credere necessariamente, dai testi patristici, che
potevano essere liberamente analizzati. Occorreva accertare se le
espressioni usate dagli autori non fossero state da loro successivamente
corrette, se non fossero state riprese da altri, occorreva accertare il
reale significato dei singoli termini dati dai diversi autori: in caso
di contrasto avrebbe dovuto preferita la tesi più e meglio argomentata.
La teologia
«Composi il trattato De unitate et trinitate divina per i miei
studenti che […] chiedevano ragioni adatte a soddisfare l'intelligenza
[...] non si può credere a una affermazione senza averla capita ed è
ridicolo predicare agli altri quel che né noi né gli altri comprendono.»
Nonostante questa affermazione, Abelardo poneva, comunque, la fede alla
base di ogni ricerca teologica, cercando di giustificarla attraverso
analogie razionali. Cercò di spiegare la Trinità utilizzando argomentazioni tratte dal Timeo platonico: lo Spirito Santo procederebbe dal Padre e dal Figlio perché in Platone l'Anima del mondo,
assimilata da Abelardo allo Spirito Santo, contempla nell'Intelletto
divino (il Figlio) le Idee del Padre e in questo modo «per mezzo della
ragione universale governa le opere di Dio traducendo nella realtà le
concezioni del suo Intelletto».
Nel cristianesimo, secondo Abelardo, sostanza del Padre è la potenza,
del Figlio è la sapienza e dello Spirito Santo è la carità. Dovendo
costituire un'unità, le persone divine devono derivare l'una dall'altra:
il Padre genera il Figlio che è della stessa sostanza del Padre, perché
la sapienza è una forma di potenza divina, mentre lo Spirito Santo
procede dal Padre e dal Figlio, altrimenti la carità senza potenza
sarebbe inefficace e senza la sapienza non avrebbe razionalità.
Questa concezione trinitaria fu attaccata da Norberto di Magdeburgo, fondatore dell'ordine dei Canonici Premonstratensi, da Bernardo di Chiaravalle e da Guglielmo di Saint-Thierry, perché considerata affetta da eresia modalista – il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, anziché tre persone, non sarebbero altro che tre manifestazioni o modi attraverso i quali si manifesta l'unico Dio.
Nel Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano, l'ultimo scritto, rimasto incompiuto, di Abelardo, i tre personaggi dell'opera credono tutti in Dio, ma due seguono le Sacre Scritture,
mentre il filosofo segue la ragione. Il filosofo, nel dialogo col
giudeo, conclude di non poter accettare una religione fondata
esclusivamente sull'Antico Testamento,
e non condivide le prove della razionalità della fede cristiana. Egli
sostiene la necessità di valutare criticamente le scelte religiose in
quanto ritiene che si aderisca alla fede di una religione positiva solo
seguendo le proprie tradizioni familiari, tanto che, quando due persone
di fede diversa si sposano, uno di essi si converte abitualmente alla
fede dell'altro.
L'eredità di Abelardo
Abelardo è stata una delle figure fondamentali non solo del XII secolo,
ma della storia del pensiero occidentale in generale. Con le sue opere,
in particolare il Sic et Non, si può dire che ha fondato la logica occidentale,
dimostrando come la ragione umana possa arrivare a importanti risultati
senza bisogno di appoggiarsi pedissequamente alle Sacre Scritture. Egli
ha elaborato i principi di identità e di non-contraddizione che furono
alla base della filosofia scolastica nel secolo successivo.
Sebbene condannato dalla maggior parte della Chiesa più tradizionalista,
il suo metodo venne ripreso con successo dal monaco giurista Graziano, che redasse una raccolta completa di diritto canonico (il Decretum),
servendosi proprio della logica abelardiana. Dopo di lui il pensiero
scolastico ebbe grandi esponenti che mediarono le innovazioni di
Abelardo, tra i quali Alberto Magno, Tommaso d'Aquino e Duns Scoto.
Essi applicarono il metodo logico-scientifico allo studio della
teologia, che divenne una vera e propria scienza, quindi indagabile con i
metodi della ragione umana. Questi studiosi si poterono avvalere anche
delle traduzioni in latino di un altro grande pensatore, Averroè, che rese possibile la conoscenza diAristotele e dei filosofi arabi in Occidente.
La Goliardia moderna
Al soprannome di Pietro Golia Abelardo si deve il termine Goliardia.
Il termine stesso venne adottato dagli studenti universitari bolognesi
sul finire del XIX secolo, quando il movimento venne fondato sotto
l'impulso di Giosuè Carducci,
allora insegnante presso la locale facoltà di lettere, che aveva
assistito in Germania a manifestazioni studentesche simili a quello che
sarebbe stato poi il modus operandi dei Goliardi. Gli studenti tedeschi erano effettivamente eredi (considerando le evoluzioni storiche del caso) di quei clerici vagantes tanto
osteggiati dalla chiesa durante il XII secolo, e che avevano eletto
Pietro Abelardo a proprio vessillo nella lotta – spesso più dozzinale
che dottrinale – alle imposizioni ideologiche del Papa.
EVOLUZIONE DEL RAPPORTO FEDE-RAGIONE
[…] Radicalmente opposto al
"credo ut intelligam" di Anselmo d'Aosta troviamo "intelligo ut credam" di
Abelardo. Non si può credere se non a ciò
che si conosce e si deve in ogni caso discutere se si debba o no avere fede.
Si deve credere all'autorità fintanto che non si è compreso la dimostrazione di
ciò che essa vuole insegnare, ma la fede stessa diventa inutile nel momento in cui la
ragione ha la possibilità di accertare in modo autonomo la verità.
Se non si dovesse discutere
nemmeno di ciò che si deve o non si deve credere, non avrebbe differenza
credere il vero o credere il falso. A differenza di Anselmo in cui la maggiori
implicazioni partivano dalla prova ontologica, in questo pensatore è proprio la
nuova prospettiva del rapporto fede ragione che ha le più rilevanti
conseguenze. La ricerca di Abelardo è infatti impiantata su nuove basi, si
rileva infatti come egli vuole mostrare la necessità di adoperare la ragione
per risolvere i contrasti e trovare la soluzione.
Questa nuova metodologia di
indagine consiste nell'enunciare argomenti che si adducano prò e contro la
risposta positiva e quella negativa, e infine nello scegliere una della due
soluzioni, confutando quindi l'altra. Ciò è il concetto principale dei una
delle sue opere maggiori, il "Sic et non". Successivamente questo
metodo sarà proprio di tutti gli scolastici e si manterrà fino alla fine della
scolastica stessa, proprio dopo Guglielmo di Ockham.
La natura e la ragione
[...] Colui che espresse meglio degli
altri l'ansia di rinnovamento degli studi, l'insofferenza per l'accettazione
passiva delle auctoritates, l'esigenza di una libera ricerca razionale, fu
Abelardo (1079-1142), nato a Nantes da una nobile famiglia ed educato ad una
cultura elevata e raffinata. Spinto dalla passione per la dialettica, Abelardo
compí molti viaggi per ascoltare i piú celebri maestri dell'epoca; giunto a
Parigi, frequentò la scuola di Guglielmo di Champeaux, ma ben presto entrò in
aspra polemica col maestro. Dopo altre peregrinazioni, durante le quali insegnò
in varie località aprendo egli stesso delle scuole, ritornò a Parigi, dove,
ancora in polemica con Guglielmo, insegnò dialettica e teologia. In questo
periodo incontrò Eloisa, dalla quale ebbe un figlio e che sposò segretamente;
ma fu un amore sventurato: i parenti della sposa fecero evirare Abelardo, che
si ritirò nel convento di S. Dionigi, mentre anche Eloisa prendeva i voti.
Tornato ben presto all'insegnamento pubblico, a Parigi, Abelardo vide
condannate da un concilio le sue tesi sulla Trinità e fu costretto a bruciare
di sua mano l'opera in cui le sosteneva; entrato poi in accesa polemica con
Bernardo da Chiaravalle (vedi al paragrafo successivo), questi ottenne la
condanna ufficiale di Abelardo dal Sinodo di Sens nel 1140. Costretto a
ritrattare molte delle sue tesi, Abelardo si ritirò negli ultimi anni della sua
vita nell'abbazia di St. Marcel. Le sue opere piú importanti sono una
Dialectica, le Glossae alle opere logiche di Aristotele e di Porfirio, il Sic
et Non (una raccolta di opinioni contrastanti dei Padri sui diversi argomenti),
l'Ethica seu Scito te ipsum, le Epistulue ad Eloisa, cui premise come
introduzione una lettera autobiografica, la Historia calamitatum.
Abelardo afferma chiaramente che
bisogna scrivere di teologia per coloro che cercano le ragioni umane e
filosofiche e pretendono piú le cose che si possono capire che quelle che si
possono dire, [poiché è] superfluo pronunciare parole che non possono essere
seguite dalla comprensione, e non si può credere qualche cosa se prima non la
si è capita, ed è ridicolo che qualcuno predichi agli altri ciò che non può
essere capito. (Historia calamitatum IX)
Questa rivendicazione del valore
della ragione non significa però per Abelardo un'opposizione tra ragione e
fede: la vera opposizione non è tra ragione e fede, quanto tra ragione e
autorità:
Tutti sappiamo che non è
necessario il giudizio dell'autorità in quelle cose che possono essere discusse
con la ragione. (Theologia cristiana III)
La ragione, dunque, sia pure
nella fede e per la fede, ha una netta superiorità sulla autorità, cioè sulla
tradizione, ma non per questo la stessa autorità è inutile; essa ha la funzione
di portare alla fede coloro che non sono in grado di avvicinarlesi facendo uso
della propria ragione:
Ma intanto, finché la ragione
rimane nascosta, basti l'autorità, e si mantenga l'importantissimo e notissimo
principio della forza dell'autorità tramandata dai filosofi nello stesso corpo
della scienza. (Theol crist.III)
Abelardo non è quindi l'eroe del
libero pensiero o il paladino di una ricerca assolutamente libera della
ragione; la sua polemica con l'autorità e la sua difesa della priorità della
ragione su di essa è rivolta anche contro coloro che, possedendo una fede non
sorretta dalla ragione, sono propensi ad accettare passivamente qualsiasi
credenza religiosa. E infatti alla fede non conduce tanto la
testimonianza dell'autorità divina quanto costringe l'argomento della ragione
umana. Non si crede perché Dio lo ha detto, ma si accetta perché si è convinti
che è cosí. (Introductio ad theologiam Il, 3)
Comunque, per il momento storico
e l'ambiente culturale in cui veniva fatta, la rivendicazione di Abelardo
conserva intatta il suo valore: se è vero che non si può pretendere di
conoscere con la ragione il contenuto della fede, perché si distruggerebbe cosí
la fede stessa, ciò significa che bisogna distinguere, per Abelardo, il
comprendere, che è "la valutazione delle cose che non appaiono", che
la ragione opera nel dominio della fede, dal conoscere, che è
"l''esperienza delle cose stesse attraverso la loro stessa presenza"
e che rimane il campo esclusivo e incontrastato della ragione umana. Del resto,
anche nell'applicazione della ragione alla "comprensione" delle
verità rivelate, si finiva per fare di un argomento teologico un oggetto di
riflessione filosofica, come accadde di fare ad Abelardo sul concetto di
Trinità, strada che era ancora pericoloso imboccare, come egli stesso dovette
sperimentare direttamente. Le tre persone della Trinità si riducono infatti per
Abelardo a tre diverse proprietà della stessa sostanza:
A questo modo, come nelle cose
singole, mentre permane una sola sostanza, si possono assegnare derterminazioni
innumerevoli, secondo proprietà reciprocamente differenti, che c'è di strano
se, permanendo una sola essenza divina, sono diverse le proprietà che sono in
essa, secondo le quali si possono distinguere tre persone? (Introd. ad theolog.
II,12)
Una posizione originale Abelardo
sostenne nella disputa sugli universali: rifiutata sia la soluzione del
nominalismo (che non sa distinguere la differenza tra i termini linguistici
come oggetto della grammatica e i termini come indicazioni di concetti), che
quella del realismo (che finisce per annullare ogni distinzione tra gli
individui), Abelardo ritiene che l'universale sia sermo, discorso, cioè
l'attività significante del nome, per la quale esso può venir predicato di piú
cose. L'universale è anche lo status delle cose in quanto esse sono distinte le
une dalle altre ma hanno proprietà e aspetti simili.
Noi diciamo che lo stato di uomo
è lo stesso uomo, che non è una cosa, e diciamo anche che è la causa comune
dell'imposizione del nome ai singoli, in base alla quale essi convengono
reciprocamente. (Glossae a Porfirio, 20,8-9)
In tal modo Abelardo da un lato
liberava i concetti dalla loro supposta esistenza metafisica, dall'altro lato
assicurava loro la qualità di strumenti logici indispensabili alla conoscenza e
non arbitrari o soggettivi: la logica diveniva cosí scientia sermocinalis e con
la dialettica, suo fondamentale supporto, assicurava la reale conoscenza del
mondo.
Un'altra posizione originale
Abelardo assunse nel campo dell'etica, distinguendo tra vizio, che è una
naturale inclinazione alla colpa, e peccato, che è il consenso dato dalla
volontà a quest'inclinazione:
Il vizio è pertanto ciò da cui
siamo resi inclini al peccato, ...ma il consenso è quello che propriamente
chiamiamo peccato. (Ethica III)
Naturalmente anche questa
posizione era poco ortodossa, poiché metteva in discussione la trasmissione del
peccato originale nei discendenti di Adamo, e negava che gli infedeli
peccassero, dal momento che, non conoscendo la verità cristiana, manca in essi
un consenso intenzionale a trasgredire i comandamenti divini.
Fino ad ora l'evoluzione del
rapporto fede ragione non si è considerata nella sua totalità. E' un complesso
ed articolato processo che, nel caso specifico di Abelardo, si integra anche in
un contesto ben più ampio che è la disputa sugli universali.
(UNIVERSALE: sono universali quei
concetti che per la loro generalità sono predicabili di più entità individuali:
p.e. è universale il concetto di "uomo", perché è predicabile di
singoli individui. Nel corso del XII sec. si accese una disputa intorno alla
reale natura di questi concetti: alcuni (Anselmo, Guglielmo di Champeaux)
ritengono che agli universali corrisponda una reale struttura ontologica, che
trascende il mondo sensibile e gli fa da modello (Realismo); altri (Roscellino)
sostengono invece che non hanno alcuna realtà, ma sono puri nomi, segni convenzionali,
e hanno la loro esistenza solo nella voce che li pronuncia (Nominalismo); a
queste tesi si oppose Abelardo, sostenendo che gli universali non sono né
entità trascendenti, né puri nomi, ma semplici significati logici.)
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