Ciascuno di noi è quindi un complemento d’uomo [...]"
Su "http://lafilosofiasecondobabyp.blogspot.it/2012/12/tuttoparladivoi-miti-platonici-gli.html" un Post molto carino e dolce sul tema.
Invece da "http://marteau7927.wordpress.com/2011/11/01/platone-simposio-il-discorso-di-aristofane/" il discorso da cui tutto si dipana:
Platone, “Simposio”, il discorso di Aristofane
Gli
uomini non comprendono per nulla la potenza dell’amore, il più amico, il
protettore degli uomini, il medico di quei mali la cui guarigione
sarebbe la più gran felicità per il genere umano. Vi spiegherò in che
consiste la potenza dell’amore, ma per prima cosa bisogna parlare
dell’iniziale natura umana e delle modificazioni che ha subito.
Originariamente la
nostra natura era diversa rispetto all’attuale. I generi dell’umanità
erano tre, e non due come ora (il maschio e la femmina): c’era un terzo
genere, ora scomparso, comune ad entrambi per aspetto e per
denominazione, di cui è rimasto il nome. Questo genere era l’androgino.
La forma di ciascun uomo era completamente rotonda, con la schiena e i
fianchi disposti in cerchio, ognuno aveva quattro mani, quattro gambe e
due volti del tutto simili sopra un collo rotondo, c’era poi un’unica
testa per entrambi i volti, ai lati opposti, e quattro orecchi, due
organi genitali, e tutto il resto come ci si può immaginare partendo da
tutto ciò. Potevano anche camminare in posizione eretta, come ora, nella
direzione che volevano; oppure, quando cominciavano a correre
velocemente, simili ad acrobati, appoggiandosi sulle gambe, che erano
otto, si muovevano rapidamente in cerchio. E i generi erano tre e così
creati per la seguente ragione: il maschio discendeva dal sole, la
femmina dalla terra, e l’androgino dalla luna, poiché anche la luna
partecipa del sole e della terra; erano sferici e procedevano in modo
circolare, per la somiglianza con i loro genitori. Erano tremendi per il
vigore e la forza, nutrivano delle intenzioni arroganti, e tentarono di
attaccare gli dèi, e gli altri dèi si riunirono per decidere cosa si
dovesse fare, ma erano in difficoltà: non sapevano stabilire se
ucciderli e farne scomparire la razza, fulminandoli come i Giganti –
così sarebbero scomparsi gli onori e i sacrifici che potevano giungere
nei loro confronti da parte degli uomini – o se lasciarli imperversare.
Dopo faticose riflessioni, Zeus disse: « Credo di avere un mezzo per
il quale gli uomini possano esistere e lasciare la loro sregolatezza,
diventando più deboli. Allora, adesso taglierò ciascuno di loro in due
ed essi saranno più deboli e insieme saranno più utili a noi per il
fatto d’essere più numerosi; e cammineranno eretti, su due gambe. Ma se
ancora avranno l’intenzione d’accanirsi e non vorranno rimanere
tranquilli, li taglierò in due una seconda volta, di modo che
cammineranno su una gamba sola, saltellando ». Ciò detto, tagliò gli
uomini in due e man mano che ne tagliava uno ordinava ad Apollo di
rovesciare il volto e la metà del collo verso il lato del taglio,
affinché l’uomo, osservando il taglio, fosse più moderato, e comandava
di risanare tutto il resto. E Apollo rovesciava il volto, e
raccogliendo e tirando da ogni parte la pelle su quello che oggi si
chiama ventre manteneva una sola apertura e la legava con forza nel
mezzo del ventre, ed è appunto quello che oggi si chiama ombelico. E
stendeva quasi tutte le numerose rugosità, e sistemava le varie parti
del petto; tuttavia ne lasciò alcune, quelle intorno al ventre e
all’ombelico, a futura memoria dell’antico evento. Una volta divisa in
due la natura umana, ciascuna metà, desiderando la sua metà perduta, la
raggiungeva; e abbracciandola forte e intrecciandosi l’una con
l’altra, per il desiderio d’essere tutt’uno, si lasciava morire di fame e
d’apatia, perché non voleva fare niente separatamente. E ogni volta che
una delle due metà periva, mentre l’altra restava in vita, la
superstite cercava un’altra metà e con lei s’intrecciava, sia che
incontrasse la metà di una donna tutta intera – la metà che ora si
chiama donna – sia che incontrasse quella di un uomo. E così morivano
gli esseri umani. Ma Zeus, impietosito, preparò un altro accorgimento, e
spostò davanti i loro genitali – infatti, sino allora avevano anche i
genitali sul lato esterno, e procreavano e partorivano non fra loro, ma
sulla terra, come le cicale – spostò dunque in questo modo i loro
genitali sul davanti, e attraverso questi stabilì la generazione tra di
loro, attraverso il maschio nella femmina, affinché, nell’abbraccio, se
un uomo incontrava una donna, generassero e si riproducessero, e
insieme se un maschio incontrava invece un maschio, sorgesse almeno la
sazietà di quella congiunzione, e vi ponessero termine, si volgessero ad
altra attività e si curassero del resto della vita. L’amore degli uni
per gli altri da tempo è innato negli uomini, riunisce la natura
antica, e si sforza di fare, di due, uno, e di guarire la natura umana.
Ciascuno di noi è quindi un complemento d’uomo, poiché è stato
tagliato – come le sogliole – in due: ciascuno, dunque, cerca sempre il
proprio complemento. Gli uomini che sono come la parte tagliata dal
genere comune, che allora si chiamava appunto androgino, desiderano le
donne, e la maggior parte degli adulteri deriva da questo genere, e
anche le donne che sono amanti degli uomini e le adultere discendono
tutte da questo genere. Le donne che derivano dal taglio di una donna,
non prestano per nulla attenzione agli uomini, ma si rivolgono
piuttosto alle donne. Tutti quelli, infine, che derivano dal taglio di
un maschio, ricercano i maschi, e finché sono fanciulli, essendo
frammenti del maschio, amano gli uomini e godono di giacere assieme
agli uomini, abbracciati strettamente ad essi; e tra i fanciulli e gli
adolescenti, questi sono i migliori, in quanto sono per natura i più
coraggiosi. Alcuni affermano invece che questi sono degli svergognati,
ma dicono il falso: infatti, si comportano così non per spudoratezza, ma
per ardimento, coraggio e virilità, affezionati a ciò che è simile a
loro. E di questo c’è una conferma: giunti alla maturità, infatti,
soltanto gli uomini di tale natura si dimostrano adatti alla politica.
Quando sono diventati uomini amano i ragazzi, e volgono la mente al
matrimonio e alla procreazione dei figli non per la loro natura, ma
perché costretti dalla legge: a loro basta, piuttosto, passare la vita
assieme, senza nozze. Un tale individuo, dunque, diventa in tutti i
modi sia amante dei fanciulli, sia innamorato degli amanti, aspirando
sempre a ciò che gli è congeniale. E quando l’amante dei ragazzi, o
qualsiasi altro, incontra quella che è la sua metà, allora è sopraffatto
in modo straordinario dall’affetto, dall’intimità e dall’amore; e non
vuole, se così si può dire, separarsi dall’altro, neppure per breve
tempo. E quelli che passano assieme tutta la vita sono individui che non
saprebbero neppure dire cosa vogliono ottenere l’uno dall’altro. A
nessuno potrà sembrare che si tratti solo della comunanza dei piaceri
amorosi, come se solo per questo l’uno avesse piacere a stare vicino
all’altro e con uno slancio cosi grande: è chiaro, al contrario, che è
l’anima di entrambi a volere qualcos’altro, che non è capace di
esprimere; di ciò che vuole, piuttosto, essa ha un preveggenza, e parla
per enigmi. E se, mentre stanno distesi vicini, Efesto apparisse
davanti a loro, con i suoi strumenti, e domandasse: « Che cos’è,
uomini, quello che volete ottenere l’uno dall’altro? », e se, di fronte
al loro imbarazzo, di nuovo li interrogasse: «Forse è questo che
desiderate, avvicinarvi quanto più è possibile l’uno all’altro, così da
non rimanere staccati, né di notte né di giorno? Se desiderate questo,
voglio fondervi e saldarvi in qualcosa d’unico, in modo che, da due che
siete, diventiate uno, e finché rimarrete in vita, viviate entrambi in
unione, come un essere solo, e quando sarete morti, ancora laggiù, nella
dimora di Ade, siate uno in luogo di due, in unione anche da morti;
guardate dunque, se l’oggetto della vostra passione è di questa specie, e
se vi basta ottenere questo»: noi sappiamo che nemmeno uno di loro,
sentendo questo, rifiuterebbe, o rivelerebbe di volere qualcos’altro;
ciascuno, piuttosto, crederebbe senz’altro di aver udito proprio quello
che da molto tempo desiderava: diventare – congiungendosi e
confondendosi con l’amato – da due uno. La ragione è che la nostra
natura antica era fatta così, e noi eravamo interi: il nome di amore è
dato al desiderio e alla ricerca dell’unità. E prima, come ho detto,
eravamo un’unità, mentre adesso, per avere agito male, siamo stati
disseminati dal dio. Dobbiamo dunque temere, se non ci comportiamo bene
verso gli dei, di essere tagliati in due ancora una volta. Proprio per
questo bisogna sollecitare ogni uomo ad agire con rispetto riguardo
agli dèi, in tutti i punti, al fine, da, un lato, di sfuggire a
qualcosa, e, d’altro lato, di cogliere qualcosa, secondo che ci guida e
ci comanda Eros. Nessuno agisca contro di lui – contro di lui, peraltro,
agisce chiunque si renda odioso agli dei – poiché, se diventiamo amici
del dio e ci riconciliamo con lui, scopriremo e incontreremo proprio i
nostri fanciulli, il che accade a pochi degli uomini di oggi. Se
vogliamo dunque celebrare un dio che sia la causa di ciò, sarà giusto
celebrare Eros, che nel tempo presente ci procura i più grandi benefici,
dirigendoci verso ciò che ci è proprio, e nel tempo avvenire offre le
speranze più grandi.
Traduzione di Marco Vignolo Gargini da Platone, Simposio, a cura di Giovanni Reale, Rusconi Libri, Milano, 1993, pp. 88-92.
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