Thomas Hobbes - Pillole filosofiche XXI
di
La natura ha fatto gli uomini così uguali nelle facoltà del corpo e della mente che, benché talvolta si trovi un uomo palesemente più forte, nel fisico, o di mente più pronta di un altro, tuttavia, tutto sommato, la differenza tra uomo e uomo non è così considerevole al punto che un uomo possa da ciò rivendicare per sé un beneficio cui un altro non possa pretendere tanto quanto lui. Infatti, quanto alla forza corporea, il più debole ne ha a sufficienza per uccidere il più forte, sia ricorrendo a una macchinazione segreta,sia alleandosi con altri che corrono il suo stesso pericolo.
Quanto alle facoltà della
mente (lasciando da parte le arti fondate sulle parole e in particolar
modo quell’abilità di procedere secondo regole generali e infallibili,
che si definisce scienza,e che pochissimi possiedono e solo rispetto a
poche cose, non essendo questa una facoltà naturale e innata, né
acquisita occupandosi di qualcos’altro, come la prudenza), trovo che tra
gli uomini vi sia un’eguaglianza ancora più grande di quella della
forza fisica. Infatti, come la prudenza non è che esperienza la quale,
in tempi uguali, viene dispensata in egual misura a tutti gli uomini per
le cose cui si applicano in egual misura. Ciò che può forse rendere non
credibile una tale uguaglianza non è altro che la vana concezione che
si ha della propria saggezza, che quasi tutti ritengono di possedere a
un livello più alto del volgo, vale a dire di tutti eccetto se stessi e
pochi altri che essi approvano, godendo questi di buona reputazione e
condividendo le loro stesse opinioni. Infatti, tale è la natura degli
uomini che, per quanto questi possano riconoscere in molti altri
maggiore perspicacia, eloquenza o erudizione, tuttavia difficilmente
crederanno che vi siano molti uomini saggi come loro: infatti, essi
vedono la loro propria perspicacia da vicino, quella degli altri da
lontano. Ma ciò prova l’uguaglianza degli uomini su questo punto,
piuttosto che la loro ineguaglianza. Infatti, di solito, non vi è prova
migliore di un’eguale distribuzione di una cosa, qualunque essa sia, del
fatto che ciascuno è appagato da quel che ha.
Da questa uguaglianza di
capacità nasce un’uguaglianza nella speranza di raggiungere i propri
fini. Perciò, se due uomini desiderano la medesima cosa, di cui tuttavia
non possono entrambi fruire, diventano nemici e, nel perseguire il loro
scopo (che è principalmente la propria conservazione e talvolta solo il
proprio piacere) cercano di distruggersi o di sottomettersi l’un
l’altro. Onde accade che, laddove un aggressore non ha che da temere il
potere individuale di un altro uomo, se uno pianta, semina, edifica o
possiede una posizione vantaggiosa, ci si può verosimilmente aspettare
che altri, armati di tutto punto e dopo aver unito le loro forze,
arrivino per deporlo e privarlo, non solo del frutto del suo lavoro, ma
anche della vita o della libertà. Ma il nuovo aggressore corre a sua
volta il rischio di un’altra aggressione.
A causa di questa
diffidenza dell’uno verso l’altro, non esiste per alcun uomo mezzo di
difesa così ragionevole quanto l’agire d’anticipo, vale a dire
l’assoggettare, con la violenza o con l’inganno, la persona di tutti gli
uomini che può, fino a che non vede nessun altro potere abbastanza
grande da metterlo in pericolo; ciò non è niente più di quanto esiga la
conservazione di se stesso, ed è cosa in generale ammessa. E poiché
esistono degli uomini che provano piacere nel contemplare il loro
proprio potere nelle azioni di conquista, che essi praticano più di
quanto non richieda la loro sicurezza, se gli altri, che in altre
circostanze sarebbero lieti di vivere tranquilli entro modesti limiti,
non accrescessero il loro potere con l’aggressione, non sarebbero in
grado, stando solo sulla difensiva, di sopravvivere a lungo. Di
conseguenza, un tale accrescimento del dominio sugli uomini, essendo
necessario alla conservazione di un uomo, deve essergli consentito.
Inoltre, gli uomini non
provano il piacere dello stare in compagnia (ma al contrario molta
afflizione) laddove non esiste un potere capace di incutere a tutti
soggezione. Infatti, ciascuno bada a che il suo compagno nutra per lui
la stessa stima che egli nutre per se stesso e ad ogni segno di
disprezzo o di sottovalutazione per natura si sforza, per quanto può, di
estorcere da quelli che lo disprezzano una stima più grande arrecando
loro danno, e da tutti gli altri attraverso un siffatto esempio (il che è
ampiamente sufficiente, tra coloro che non hanno un potere comune a
tenerli in pace, a portarli a distruggersi reciprocamente).
Cosicché, troviamo nella
natura umana tre cause principali di contesa: in primo luogo la
rivalità; in secondo luogo la diffidenza; in terzo luogo l’orgoglio.
La prima porta gli uomini
ad aggredire per trarne un vantaggio; la seconda per la loro sicurezza;
la terza per la loro reputazione. Nel primo caso ricorrono alla violenza
per rendersi padroni della persona di altri uomini, delle loro donne,
dei loro figli e del loro bestiame; nel secondo caso per difenderli. Nel
terzo caso, per delle inezie, ad esempio per una parola, un sorriso,
una divergenza di opinioni, e qualsiasi altro segno di disistima,
direttamente rivolto alla loro persona o a questa di riflesso, essendo
indirizzato ai loro familiari, ai loro amici, alla loro nazione, alla
loro professione o al loro nome.
Da ciò, appare chiaramente
che quando gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti
in soggezione, essi si trovano in quella condizione chiamata guerra:
guerra che è quella di ogni uomo contro ogni altro uomo. La GUERRA,
infatti, non consiste solo nella battaglia o nell’atto di combattere, ma
in uno spazio di tempo in cui la volontà di affrontarsi in battaglia è
sufficientemente dichiarata: la nozione di tempo va dunque considerata
nella natura della guerra, come lo è nella natura delle condizioni
atmosferiche. Infatti, come la natura del cattivo tempo non risiede in
due acquazzoni, bensì nella tendenza verso questo tipo di situazione,
per molti giorni consecutivi, allo stesso modo la natura della guerra
non consiste nel combattimento in sé, ma nella disposizione dichiarata
verso questo tipo di situazione, in cui per tutto il tempo in cui
sussiste non vi è assicurazione del contrario. Ogni altro tempo è PACE.
Perciò, tutte le
conseguenze di un tempo di guerra, in cui ciascuno è nemico di ciascuno,
sono le stesse del tempo in cui gli uomini vivono senz’altra sicurezza
che quella di cui li doterà la loro propria forza o la loro propria
ingegnosità. In tali condizioni, non vi è posto per l’operosità
ingegnosa, essendone incerto il frutto: e di conseguenza, non vi è né
coltivazione della terra, né navigazione, né uso dei prodotti che si
possono importare via mare, né costruzioni adeguate, né strumenti per
spostare e rimuovere le cose che richiedono molta forza, né conoscenza
della superficie terrestre, né misurazione del tempo, né arti, né
lettere, né società; e, ciò che è peggio, v’è il continuo timore e
pericolo di una morte violenta; e la vita dell’uomo è solitaria, misera,
ostile, animalesca e breve.
Può
sembrare strano a chi non abbia ben soppesato tali cose, che la natura
possa dividere gli uomini in questo modo e renderli inclini ad
aggredirsi e a distruggersi l’un l’altro; è dunque forse probabile che,
non fidandosi di questa inferenza tratta dalle passioni, egli desideri
vederla confermata dall’esperienza. Rifletta dunque tra sé sul fatto che
quando intraprende un viaggio si arma e cerca di andare ben
accompagnato; che quando va a dormire sbarra le porte, che addirittura
quando è nella sua casa chiude a chiave i suoi forzieri; e tutto ciò
sapendo che vi sono leggi, e funzionari pubblici armati, per vendicare
tutte le offese che dovessero essergli fatte. Quale opinione ha dei suoi
con sudditi quando cavalca armato? Dei suoi c concittadini quando
sbarra le sue porte? Dei suoi figli e dei suoi servitori quando chiude a
chiave i suoi forzieri? Non accusa egli l’umanità con le sue azioni,
come faccio io con le mie parole? Ma, con ciò, né io né lui accusiamo
la natura umana. I desideri e le altre passioni dell’uomo non sono in sé
peccato. E neppure lo sono le azioni che procedono da quelle passioni,
sino a quando non si conosce una legge che le vieti; e non si possono
conoscere le leggi sino a che non vengono fatte; e nessuna legge può
essere fatta sino a che non ci si è accordati sulla persona che la deve
fare.
Si può forse pensare che
non vi sia mai stato un tempo e uno stato di guerra come questo, ed io
credo che nel mondo non sia mai stato così in generale; ma vi sono molti
luoghi ove attualmente si vive in tal modo. Infatti, in molti luoghi
d’America, i selvaggi, se si esclude il governo di piccole famiglie la
cui concordia dipende dalla concupiscenza naturale,non hanno affatto un
governo e vivono attualmente in quella maniera animalesca di cui ho
prima parlato. Ad ogni modo, si può intuire quale genere di vita ci
sarebbe se non ci fosse un potere comune da temere, dal genere di vita
in cui, durante una guerra civile, precipitano abitualmente gli uomini
che fino a quel momento sono vissuti sotto un governo pacifico.
Ma qualora non fosse mai
esistito un tempo in cui gli uomini isolati fossero in uno stato di
guerra gli uni contro gli altri, tuttavia in tutti i tempi,i re e le
persone dotate di autorità sovrana sono, a causa della loro
indipendenza, in una situazione di continua rivalità e nella situazione e
nella postura propria dei gladiatori, le armi puntate e gli occhi fissi
gli uni sugli altri: vale a dire fortezze, guarnigioni e cannoni alle
frontiere dei loro regni e spie che controllano incessantemente i Paesi
vicini; questo è un atteggiamento di guerra. Ma poiché essi sostengono
con ciò l’operosità ingegnosa dei loro sudditi, non ne consegue quella
miseria che accompagna la libertà degli uomini isolati.
Da questa guerra di ogni
uomo contro ogni altro uomo consegue anche che niente può essere
ingiusto. Le nozioni di diritto e torto di giustizia e di ingiustizia
non vi hanno luogo. Laddove non esiste un potere comune, non esiste
legge; dove non vi è legge non vi è ingiustizia. Violenza e frode sono
in tempo di guerra le due virtù cardinali. Giustizia e in giustizia non
sono facoltà né del corpo né della mente. Se lo fossero, potrebbero
trovarsi in un uomo che fosse solo al mondo, allo stesso modo delle sue
sensazioni e delle sue passioni. Sono qualità relative all’uomo che vive
in società e non in solitudine. A questa medesima condizione consegue
anche che non esiste proprietà, né dominio, né distinzione tra “mio” e
“tuo”, ma appartiene ad ogni uomo tutto ciò che riesce a prendersi e per
tutto il tempo che riesce a tenerselo. E ciò basti per descrivere la
triste condizione in cui l’uomo è realmente posto dalla nuda natura,
benché abbia la possibilità di uscirne, possibilità che risiede in parte
nelle passioni e in parte nella sua ragione.
Le passioni che inducono
gli uomini alla pace sono la paura della morte, il desiderio di quelle
cose che sono necessarie a una vita piacevole e la speranza di ottenerle
con la propria operosità ingegnosa. E la ragione suggerisce opportune
clausole di pace sulle quali si possono portare gli uomini a un accordo.
Thomas Hobbes, LEVIATANO O LA MATERIA, LA FORMA E IL POTERE DI UNO STATO ECCLESIASTICO E CIVILE,
PRIMA PARTE, L’uomo. Capitolo tredicesimo, LA «CONDIZIONE NATURALE»
DELL’UMANITÀ RIGUARDO ALLA SUA FELICITÀ E ALLA SUA MISERIA, a cura di
Arrigo Pacchi con la collaborazione di Agostino Lupoli. Editori Laterza,
Roma-Bari prima edizione1989.
Traduzione di Agostino Lupoli, Maria Vittoria Predaval, Riccarda Rebecchi.
Traduzione di Agostino Lupoli, Maria Vittoria Predaval, Riccarda Rebecchi.
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