Martedì 29 Giugno 2010
di
Nell’ambito
del nostro mensile "Nati sotto Saturno", ecco il contributo dello
psichiatra Andrea Piazzi dell’Ospedale di Tivoli che mette in evidenza i
limiti e soprattutto alcune grosse non verità su una legge, la 180/78,
fatta passare come ’rivoluzionaria’ nell’immaginario collettivo e
divenuta con il tempo poco più che un feticcio.
Potete intervenire direttamente sull’articolo, il tema del "mensile", scrivere (in qualunque lingua) le vostre opinioni. Diamo spazio alla discussione.
Potete intervenire direttamente sull’articolo, il tema del "mensile", scrivere (in qualunque lingua) le vostre opinioni. Diamo spazio alla discussione.
Sono trascorsi più di trent’anni dalla approvazione della legge 180
avvenuta in un momento tra i più bui della nostra storia repubblicana,
il rapimento e
l’assassinio di Aldo Moro. Era il 1978 ed eravamo in pieno compromesso
storico con il Governo di solidarietà nazionale diretto dal Dc Giulio
Andreotti, che si oppose, in nome della ’fermezza’, a qualsiasi ipotesi
di
trattativa per liberare Moro. Nonostante il tempo trascorso, i mille
cambiamenti intervenuti, le politiche e i contesti sociali totalmente
mutati, continua a essere proposta una mitologia dei fatti e dei personaggi che parteciparono alla rivoluzione psichiatrica italiana.
Senza nulla togliere al protagonista di quelle battaglie, Franco Basaglia, appare
parziale e scorretto mostrare al pubblico una immagine della storia che poco
corrisponde ai fatti e che non favorisce ne la verità ne la conoscenza. E’
ingiusto verso la persona stessa di Basaglia che non ha ancora acquisito la
sua verità storica, non è onesto per i tanti altri protagonisti che in
quella indispensabile battaglia spesero il loro impegno. Peraltro il
risultato che ne deriva propone una immagine della psichiatria
anti-istituzionale che non corrisponde affatto alla realtà.
Forse allora occorre in prima istanza raccontare i fatti che sono stati sempre taciuti e che danno all’avvenimento la sua giusta collocazione storica.
Forse allora occorre in prima istanza raccontare i fatti che sono stati sempre taciuti e che danno all’avvenimento la sua giusta collocazione storica.
Al termine della seconda guerra mondiale l’Italia devastata, ricostruiva
oltre le sue case e le sue istituzioni, anche una etica delle relazioni
sociali che il fascismo aveva distrutto, tra queste la nuova costituzione
riconosceva tra i diritti di ogni individuo all’articolo 13 la tutela della
libertà personale, all’articolo 24 il diritto ad agire in giudizio per la
tutela dei propri diritti e all’articolo 32 la tutela della salute come
fondamentale diritto dell’individuo e stabiliva che non si può essere
obbligati ad un determinato trattamento sanitario.
Questi diritti riconosciuti per ogni cittadino si fermavano sulla soglia
degli ospedali psichiatrici perché questi erano regolati da una legge
ormai superatissima del 1904 che era stata concepita con l’intenzione di
salvaguardare l’ordine pubblico e molto meno con l’intenzione di curare
i malati.
Armonizzare le regole legislative con la costituzione repubblicana avrebbe
dovuto essere uno dei doveri da affrontare con sollecitudine, ma, come in
diversi altri casi, i legislatori di allora non si diedero molta fretta
lasciando incancrenire il problema in una Italia che rapidamente si
industrializzava, mutava completamente le relazioni sociali, acquisiva
consapevolezza dei propri diritti.
L’ospedale psichiatrico restò per decenni a simbolizzare l’incapacità della classe dirigente democristiana a riconoscere il cambiamento della società.
L’ospedale psichiatrico restò per decenni a simbolizzare l’incapacità della classe dirigente democristiana a riconoscere il cambiamento della società.
Le prime sollecitazioni all’innovazione provenivano dalla stessa classe
medica che non riusciva più a sopportare l’abissale differenza tra la vita
fuori e dentro il manicomio. Basaglia era uno di questi. La sua esperienza
del carcere fascista, sperimentato durante la guerra, lo rendeva sensibile
come tanti altri psichiatri alla disumanità che regnava in molti padiglioni
dei tanti ospedali psichiatrici.
Ormai erano disponibili gli psicofarmaci e sul finire degli anni cinquanta
si stava completamente trasformando la cura dei malati mentali. Erano
possibili dimissioni fino ad allora inconcepibili, era possibile instaurare
un rapporto umano con i pazienti che fino ad allora erano chiusi nel loro
mondo deliranti e allucinatorio, gli psichiatri dovevano acquisire una nuova
professionalità imparando a saper parlare con i pazienti. Occorreva una
formazione non solo medica organica ma anche psicoterapeutica.
Con gli anni sessanta e l’inizio dell’esperienza politica del centrosinistra
emerse finalmente una nuova sensibilità tra gli amministratori pubblici alle
condizioni in cui versavano i malati ricoverati negli ospedali psichiatrici
e un ministro socialista, Luigi Mariotti, ebbe il coraggio di denunciare la
situazione definendo gli ospedali psichiatrici dei veri e propri lager.
Grazie all’impegno del ministro fu possibile un primo passo avanti e venne approvata la legge 431 nel 1968 che finalmente aboliva la vergogna dell’iscrizione al casellario giudiziario dei malati ricoverati, norma introdotta durante il fascismo. Ma non solo, la legge introduceva una serie di disposizioni che furono indispensabili a creare le condizioni per il superamento definitivo degli ospedali psichiatrici. L’ospedale psichiatrico assumeva finalmente una veste veramente ospedaliera, il direttore perdeva finalmente il ruolo di responsabile unico e assoluto, gli si affiancavano primari, assistenti medici, assistenti sociali, psicologi. Ma soprattutto erano istituiti i centri di igiene mentale con il loro personale autonomo e con l’incarico di curare i malati nel loro ambiente di vita, nelle loro case. E ancora i malati potevano chiedere di essere ricoverati senza il timore che il ricovero trasformandosi in definitivo li incarcerasse per sempre tra le mura dell’ospedale.
Grazie all’impegno del ministro fu possibile un primo passo avanti e venne approvata la legge 431 nel 1968 che finalmente aboliva la vergogna dell’iscrizione al casellario giudiziario dei malati ricoverati, norma introdotta durante il fascismo. Ma non solo, la legge introduceva una serie di disposizioni che furono indispensabili a creare le condizioni per il superamento definitivo degli ospedali psichiatrici. L’ospedale psichiatrico assumeva finalmente una veste veramente ospedaliera, il direttore perdeva finalmente il ruolo di responsabile unico e assoluto, gli si affiancavano primari, assistenti medici, assistenti sociali, psicologi. Ma soprattutto erano istituiti i centri di igiene mentale con il loro personale autonomo e con l’incarico di curare i malati nel loro ambiente di vita, nelle loro case. E ancora i malati potevano chiedere di essere ricoverati senza il timore che il ricovero trasformandosi in definitivo li incarcerasse per sempre tra le mura dell’ospedale.
I
dieci anni che passeranno dall’approvazione della legge Mariotti alla
legge 180 sono stati anni di molteplici sperimentazioni psichiatriche.
Le nuove regole legislative hanno consentito che si svolgessero
moltissime esperienze di cambiamento negli ospedali e nell’assistenza
territoriale. Fu possibile l’esperienza basagliana di Trieste, da tutti
conosciuta, ma non fu l’unica. L’esperienza di psichiatria territoriale
di Giovanni Jervis a Reggio Emilia non è stata di minore importanza. Ne
nacque quel «Manuale critico di psichiatria» che ha formato migliaia di
operatori psichiatrici alla prassi dell’assistenza territoriale. Ma sono
innumerevoli le iniziative
nuove, eterogenee, sperimentate in quegli anni. Nessuno ricorda mai che a
Perugia la scelta di intervenire riducendo il ricovero in ospedale
psichiatrico fu deciso dagli amministratori provinciali già nel 1964 e
la
organizzazione di un efficiente servizio psichiatrico territoriale portò
senza molto clamore ad una imponente deospedalizzazione dei malati
riducendo in un decennio a un quarto i ricoverati . E ancora in diversi
ospedali come
quello di Padova si iniziava addirittura agli inizi degli anni sessanta
ad
abbattere i muri. Con maggiore o minore entusiasmo, con più o meno
coraggio, gli amministratori, i medici, il personale degli ospedali
psichiatrici,
iniziarono a constatare che il ruolo di custodi doveva essere superato e
si
dovevano iniziare pratiche nuove di assistenza.
La timidezza con cui la legge Mariotti affrontava il problema di fondo
della
psichiatria provocò comunque una grande delusione. L’Associazione
sindacale dei Medici degli Ospedali psichiatrici (AMOPI) lo esplicitava
pubblicamente
denunciando il mantenimento della psichiatria separata dal resto della
sanità pubblica, il rifiuto di attribuire all’assistenza mutualistica la
cura della malattia mentale, la subordinazione dell’assistenza
territoriale
all’assistenza ospedaliera. Il vero problema di questa legge che
modificava
qui e là qualche difficoltà più urgente era però più complesso e esterno
alla psichiatria. L’Italia aveva urgente bisogno di un riordino
complessivo
dell’assistenza sanitaria e il progetto di riforma non riusciva neppure a
essere tracciato a grandi linee.
Ma la più grande delusione della legge Mariotti fu la mancata abolizione di
quella dizione odiosa e violenta che permetteva il ricovero psichiatrico se
si era «pericolosi per sé o per altri» o si dava «pubblico scandalo». Una
norma che lasciava il campo libero agli abusi e alle sopraffazioni di tutori
dell’ordine, amministratori o giudici moralisti e bacchettoni mentre
l’Italia era scossa da una ondata di rinnovamento dei costumi e delle
relazioni interpersonali, generata dal sessantotto.
L’esasperazione di fronte all’inadeguatezza della riforma non poteva che
radicalizzare lo scontro nella psichiatria così come si stava radicalizzando
lo scontro nella società. A fronte di norme stupide e vecchie si rispondeva
con un tutto è possibile che avrebbe condotto a una ideologizzazione della
lotta antimanicomiale. Ebbero allora lo spazio per radicarsi le ideologie
più oltranziste per la psichiatria e l’interpretazione più in voga divenne
la teoria del controllo sociale.
Certo,
la psichiatria era utilizzata anche per questo, ma non era solo questo o
non era per lo più questo. La constatazione che la psichiatria era una
scienza medica, forse per certi aspetti poco scientifica, ancora
grossolana ma pur sempre scienza medica, sfuggiva ai più che invece la
definivano per i suoi aspetti più evidenti e esteriori, la segregazione,
l’abuso, la violenza. Nell’impazzimento ideologico generale si giunse
in quegli anni a gambizzare gli psichiatri che si ritenevano servi del
controllo sociale così come si sparava sui poliziotti, sui magistrati,
sui politici.
Lo stesso Basaglia fu aggredito durante un convegno a Trieste.
Sono così entrati nell’immaginario comune una idea di psichiatria violenta, prevaricatrice, illiberale e, nel contempo, si è resa mitologica l’esperienza anti istituzionale di Franco Basaglia.
Lo stesso Basaglia fu aggredito durante un convegno a Trieste.
Sono così entrati nell’immaginario comune una idea di psichiatria violenta, prevaricatrice, illiberale e, nel contempo, si è resa mitologica l’esperienza anti istituzionale di Franco Basaglia.
Nessuno però ha il coraggio di dire che Franco Basaglia con la legge 180 non
c’entra molto. A onor del vero la legge fu scritta e fermamente voluta da un
meno conosciuto Bruno Orsini, deputato democristiano e psichiatra, che trovò
il modo di evitare un referendum che rischiava di rendere impossibile il
superamento della vecchia legge del 1904.
I fatti sono noti: nel 1978 I radicali avevano raccolto le firme per un referendum abrogativo della legge
del 1904, era molto probabile che in caso di effettivo ricorso alle urne il
quesito referendario sarebbe stato respinto. Diventava allora impossibile
inserire la psichiatria nel nuovo servizio sanitario nazionale che era in
fase di approvazione in parlamento. Il rischio era tale che nonostante la
situazione di emergenza nazionale determinata dal rapimento di Moro, si
ricorse ad una rapidissima approvazione di quei pochi articoli di legge che
costituivano la legge 180.
Sei mesi dopo la legge 180 scompariva per essere inclusa nella «legge di Riforma sanitaria». La psichiatria entrava di diritto nel servizio sanitario al pari di ogni altra specialistica medica e per conseguenza il cittadino malato mentale acquisiva gli stessi diritti di ogni altro cittadino malato. Sembra paradossale ma a trenta e passa anni dalla legge di riforma sanitaria si continua a parlare di 180 come se fosse una legge ancora vigente e a rischio di essere abrogata. E si continua a parlare di esclusione e potere psichiatrico.
Sei mesi dopo la legge 180 scompariva per essere inclusa nella «legge di Riforma sanitaria». La psichiatria entrava di diritto nel servizio sanitario al pari di ogni altra specialistica medica e per conseguenza il cittadino malato mentale acquisiva gli stessi diritti di ogni altro cittadino malato. Sembra paradossale ma a trenta e passa anni dalla legge di riforma sanitaria si continua a parlare di 180 come se fosse una legge ancora vigente e a rischio di essere abrogata. E si continua a parlare di esclusione e potere psichiatrico.
E’ di uso comune tra i difensori della legge Basaglia continuare a
utilizzare una terminologia sociologico-filosofica mutuata dalle ideologie
del 68 e allarmarsi ad ogni iniziativa che si proponga di intervenire sulle
regole che organizzano l’assistenza psichiatrica.
Sembra
che il vetero sessantottinismo si sia concentrato attorno alla materia
psichiatrica come fosse l’ultimo baluardo prima della definitiva
sconfitta. Si tenta di difendere qualcosa che non è più la riforma
dell’assistenza psichiatrica ma qualcosa di più radicale e
significativo.
Dobbiamo allora pensare che il significato della 180 non è stato solo
una
riappropriazione di dignità sociale da parte dei malati e un
riconoscimento
di diritti ma il significato abbia travalicato l’ambito psichiatrico per
rappresentare simbolicamente una conquista più generale della società.
La 180 è stato il simbolo delle lotte libertarie degli anni successivi al
68. Assieme alla legge sull’aborto, alla vittoria nel referendum abrogativo
del divorzio, la 180 personifica un periodo di conquiste di libertà
individuali che ha trasformato profondamente la nostra società. Ma se il
divorzio e l’aborto sono leggi che riconoscono reali libertà individuali,
esigenze di vita concreta, alla legge 180 si attribuisce un significato più
ideologico che reale. La legge 180 è divenuta il simbolo di una rivoluzione
libertaria in cui i malati psichici per il solo fatto di uscire dalle mura
del manicomio, per incanto divenivano esseri umani normali. Coloro che hanno
acriticamente sposato le tesi delle lotte anti-istituzionali hanno
divinizzato la parola libertà non rendendosi conto o non avendo
sufficientemente studiato e parlato con i malati per capire che la malattia
mentale toglie la libertà personale, impedisce di decidere, obbliga a
decidere in un solo modo, delirantemente.
Hanno creduto in un procedimento catartico che di un colpo risolveva
l’irrisolvibile, la malattia mentale. Sparivano le centinaia di anni passati
a cercare di capire cosa fosse la malattia mentale e quale potesse essere la
sua cura. Si trovava la soluzione in un banale prendersi cura
che avrebbe sciolto ogni difficoltà diagnostica e terapeutica.
Non sono state poche le accuse che in questi anni sono state rivolte ai medici che opponendosi a questa stupida equazione hanno continuato a percorre la strada della ricerca della cura. Nessuno, giornalisti, politici, amministratori, si è accorto che dietro questa ubriacatura collettiva si perdeva l’occasione di occuparsi realmente dei malati. Nessuno ha voluto accorgersi che in realtà la liberazione dei matti non aveva altro risultato che mantenerli per sempre nella loro malattia. Lo dimostra il dibattito attuale nella psichiatria italiana che è sempre più consapevole del problema della nuova cronicità: giovani che all’esordio della loro malattia non trovano altra risposta dai servizi che una lenta presa in carico per una assistenza lungo tutta la loro vita e nessuna cura per la guarigione. Ma la guarigione è per i parabolani della 180 una parola esecrabile, indicibile come lo è la parola cura se non è preceduta dalla parola prendersi. Hanno creduto di essere i rivoluzionari degli anni settanta e si ritrovano ad essere i reazionari del 2010.
Non sono state poche le accuse che in questi anni sono state rivolte ai medici che opponendosi a questa stupida equazione hanno continuato a percorre la strada della ricerca della cura. Nessuno, giornalisti, politici, amministratori, si è accorto che dietro questa ubriacatura collettiva si perdeva l’occasione di occuparsi realmente dei malati. Nessuno ha voluto accorgersi che in realtà la liberazione dei matti non aveva altro risultato che mantenerli per sempre nella loro malattia. Lo dimostra il dibattito attuale nella psichiatria italiana che è sempre più consapevole del problema della nuova cronicità: giovani che all’esordio della loro malattia non trovano altra risposta dai servizi che una lenta presa in carico per una assistenza lungo tutta la loro vita e nessuna cura per la guarigione. Ma la guarigione è per i parabolani della 180 una parola esecrabile, indicibile come lo è la parola cura se non è preceduta dalla parola prendersi. Hanno creduto di essere i rivoluzionari degli anni settanta e si ritrovano ad essere i reazionari del 2010.
Il risultato che ne è derivato, è che ancora adesso la popolazione non sa
come affrontare la malattia mentale, perché gli hanno detto che non esiste.
Si sono chiusi piu’ di 100 manicomi e si sono aperte centinaia di case di
cura e cliniche gestite in gran parte da ordini religiosi, divenute di fatto
piccoli manicomi per ricchi e sono stati lasciati per strada non meno di 60
mila malati. Le famiglie, su cui grava oggi tutto il peso e l’onere, non si
rivolgono ai servizi perché gli viene risposto che i malati devono essere
liberi di chiedere l’assistenza e intanto la malattia si cronicizza. I
servizi psichiatrici sono sottodimensionati perché il loro compito
istituzionale è stato ridotto all’assistenza più sociale che sanitaria visto
che la malattia non è malattia ma solo una disabilità. La cura è limitata
alla somministrazione di psicofarmaci e la psicoterapia non trova che spazi ridottissimi.
E di fronte a questa situazione ci si continua a pavoneggiare in
dibattiti,
conferenze, esercizi intellettuali con la convinzione che chi si nasce
sotto
Saturno, è solo diverso, è nato così, e lo si condanna alla sofferenza
per
tutta la vita. Ottusamente non si vuole indagare se è proprio vero che
siamo tutti nati matti, o invece è questo modo di pensare che fa
diventare matti.
Andrea Piazzi
Psichiatra, Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, Ospedale di Tivoli, ASL RM G.
Psichiatra, Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, Ospedale di Tivoli, ASL RM G.
Forum
Franco Basaglia e la rivoluzione psichiatrica italiana
30 giugno 2010, di CRISTINA
"L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI"
SONO MADRE DI UN RAGAZZO CHE ALL’ETA’ DI 19 ANNI,DOPO LA MATURITA’ E’ LETTERALMENTE IMPAZZITO:SENTIVA LE VOCI E DICEVA COSE SENZA SENSO. LO ABBIAMO PORTATO AL CENTRO DI IGIENE MENTALE E L’UNICA COSA CHE GLI HANNO FATTO E’ STATA QUELLA DI DARGLI GLI PSICOFARMACI.DI PSICOTERAPIA NON SE NE PARLA PROPRIO, AL MASSIMO DEI COLLOQUI SUPERFICIALI CHE NON AFFRONTANO LA PATOLOGIA DEL PENSIERO LATENTE NON COSCIENTE.INFATTI LA MALATTIA NON STA NEL PENSIERO RAZIONALE MA IN QUELLO NON COSCIENTE CHE SI MANIFESTA NEI SOGNI, E QUINDI SENZA L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI NON CI PUO’ ESSERE CURA.E CHI LA SA FARE L’NTERPRETAZIONE DEI SOGNI? DALLE RICERCHE CHE HO FATTO HO CAPITO CHE MASSIMO FAGIOLI CON LA SCOPERTA DELLA PULSIONE DI ANNULLAMENTO HA TROVATO LA VERA CAUSA DELLA MALATTIA MENTALE E CHE CON L’ANALISI COLLETTIVA HA CURATO MIGLIAIA DI PERSONE INTERPRETANDO LORO I SOGNI.SCRIVENDO A MASINI IL DIRETTORE DELLA RIVISTA "LE ALI DELLA FARFALLA" MI HA RISPOSTO CHE GLI PSICOFARMACI DEVE CONTINUARE A PRENDERLI E CHE MI POTEVA DARE GLI INDIRIZZI DI ALCUNI PSICHIATRI A ROMA A PAGAMENTO. SICCOME,ABITANDO LONTANO DA ROMA, NON MI POSSO PERMETTERE NE’ LA SPESA X IL VIAGGIO NE’ QUELLA X LO PSICHIATRA,VORREI SAPERE COME POSSO FARE.
SONO MADRE DI UN RAGAZZO CHE ALL’ETA’ DI 19 ANNI,DOPO LA MATURITA’ E’ LETTERALMENTE IMPAZZITO:SENTIVA LE VOCI E DICEVA COSE SENZA SENSO. LO ABBIAMO PORTATO AL CENTRO DI IGIENE MENTALE E L’UNICA COSA CHE GLI HANNO FATTO E’ STATA QUELLA DI DARGLI GLI PSICOFARMACI.DI PSICOTERAPIA NON SE NE PARLA PROPRIO, AL MASSIMO DEI COLLOQUI SUPERFICIALI CHE NON AFFRONTANO LA PATOLOGIA DEL PENSIERO LATENTE NON COSCIENTE.INFATTI LA MALATTIA NON STA NEL PENSIERO RAZIONALE MA IN QUELLO NON COSCIENTE CHE SI MANIFESTA NEI SOGNI, E QUINDI SENZA L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI NON CI PUO’ ESSERE CURA.E CHI LA SA FARE L’NTERPRETAZIONE DEI SOGNI? DALLE RICERCHE CHE HO FATTO HO CAPITO CHE MASSIMO FAGIOLI CON LA SCOPERTA DELLA PULSIONE DI ANNULLAMENTO HA TROVATO LA VERA CAUSA DELLA MALATTIA MENTALE E CHE CON L’ANALISI COLLETTIVA HA CURATO MIGLIAIA DI PERSONE INTERPRETANDO LORO I SOGNI.SCRIVENDO A MASINI IL DIRETTORE DELLA RIVISTA "LE ALI DELLA FARFALLA" MI HA RISPOSTO CHE GLI PSICOFARMACI DEVE CONTINUARE A PRENDERLI E CHE MI POTEVA DARE GLI INDIRIZZI DI ALCUNI PSICHIATRI A ROMA A PAGAMENTO. SICCOME,ABITANDO LONTANO DA ROMA, NON MI POSSO PERMETTERE NE’ LA SPESA X IL VIAGGIO NE’ QUELLA X LO PSICHIATRA,VORREI SAPERE COME POSSO FARE.
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risposta a "l’interpretazione dei sogni"4 agosto 2010, di nicolettaFra pochissimi mesi sarò una psicologa. Passando per questo sito mi ha colpito molto la richiesta di aiuto di questa madre, ma ciò che ancor di più mi sconforta è che non sembra aver ricevuto alcuna risposta. Io non sarò certo in grado di darle grandi consigli, e spero che di questo se ne occupino ad esempio quegli stessi psichiatri che con tanto ardore scirvono grandi articoli su grandi riviste o pubblicano i loro saggi su siti dedicati.Non mi stupisce purtroppo che l’unico approccio che suo figlio ha conosciuto in un CSM sia quello farmacologico. Ed inorridisco al pensiero che l’unica soluzione possa essere quella di pagare più soldi per avere un servizio migliore, come si trattasse di una prestazione qualunque, tuttavia questa è spesso la cruda realtà dell’assistenza sanitaria, e quindi anche psichiatrica, nel nostro paese e non solo. Nell’approccio alla malattia mentale, purtroppo o per fortuna,non c’è una soluzione unica per tutti i tipi di pazienti. L’analisi del contenuto inconscio dei sogni, individuale o di gruppo, è solo una delle possibili vie di accesso alla sofferenza dell’individuo. Premetto che quanto le dirò è solo ed esclusivamente nell’intento di portarle un minimo di conforto, e che non si tratta affatto di un parere professionale, per evidenti motivi tecnici, e perchè non è pensabile che lo sia una semplice risposta su un sito internet, che riguardi un essere umano. Non importa in quale particolare metodo psicoterapeutico è specializzato il sanitario che prenderà in cura suo figlio (naturalmente si intende che debba trattarsi pur sempre di pratiche approvate dalla comunità scintifica internazionale e certificate), ma le consiglio di rivolgersi, ad uno psicologo-psicoterapeuta (che anche privatamente le costerà comunque meno di uno psichiatra), che si occuperà di ascoltare i problemi di suo figlio, mentre parallelamente continuerà ad essere seguito dallo psichiatra del CSM. Se non altro le ho dato ascolto. I miei auguri più sinceri. Nicoletta
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risposta a "l’interpretazione dei sogni"4 agosto 2010, di AltritalianiGrazie Nicoletta da parte della squadra di Altritaliani per queste righe. Avevamo inoltrato ovviamente il messaggio di questa madre che ci ha commosso al dottore Andrea Piazzi. Purtroppo non ha risposto e ne eravamo dispiaciuti. Lei lo sa tuttavia quanto è difficile su internet dare consigli personali, cosi importanti per un ragazzo, una famiglia, senza essere superficiali. Noi, non eravamo in grado di farlo. Grazie ancora.
risposta a "l’interpretazione dei sogni"
4 settembre 2012, di farenheit-451
Nel web sono presenti alcuni forum di critica a Massimo Fagioli e ai suoi terapeuti. Il più importante è sicuramente quello di Antonello Armando: www.antonelloarmando.it o anche www.nicolalalli.it
E’ stato anche scritto un libro da questo forum di discussione: Il paese degli smeraldi a cura di Armando e Seta Edizioni Mimesis.
Ad ogni modo, ripeto: NON ANDATE DA PSICOTERAPEUTI CHE SEGUONO MASSIMO FAGIOLI! E’ UNA SETTA DI PERSONE MALATE DI MENTE CHE DISTRUGGERANNO LA VOSTRA VITA E LA VOSTRA INDIVIDUALITA’. DOVREBBERO ESSERE MESSI IN GALERA LORO E MASSIMO FAGIOLI. FANNO DI TUTTO PER SEDURRE E CIRCUIRE PERSONE CHE SI TROVANO IN UN MOMENTO DI DIFFICOLTA’ PER AUMENTARE GLI AFFILIATI ALLA SETTA E OVVIAMENTE SPILLARE LORO UNA QUOTA NOTEVOLE DI DENARO.
Se non siete convinti voglio farvi leggere la recensione a un bel libro che mette in luce i meccanismi delle psicoterapie dannose, le cosidette psicoterapie folli: Psicoterapie «Folli». Conosc Psicoterapie «Folli». Conoscerle e difendersi di Thaler Singer Margaret; Lalich Janja, 1998, Centro Studi Erickson.
La recensione potete trovarla al link: http://xenu.com-it.net/txt/folli.htm
Sono molti gli elementi in comune con la psicoterapia fagioliana.
Sarei curioso di sapere cosa ha da dire in merito il dottor Piazzi, anch’egli fagioliano. Soprattutto se a parte le belle parole dell’articolo su Basaglia, non è costretto poi a pensare, come vuole il Maestro Fagioli, che il grande psichiatra fenomenologo scomparso:"è un poveretto, un delirante e infatti gli è anche venuto il tumore al frontale".
Non fatevi ingannare dalle sirene!
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