Quello che vedete qui sopra è l'incipit di Tristano e Isotta di Richard Wagner,
rappresentato per la prima volta nel 1865 a Monaco. Si tratta del
cosiddetto "accordo di Tristano", che secondo alcuni teorici avrebbe
sancito la fine dell'evoluzione musicale occidentale. Perché?
Sentito
oggi, questo dramma musicale dall'enigmatica atmosfera suona certamente
molto moderno, ma non tanto sconvolgente quanto venne avvertito
all'epoca della sua prima esecuzione. Eppure si tratta della prima opera
che fa coscientemente a meno di quasi tutti i "pilastri" della
struttura musicale classica, prediligendo l'armonia alla melodia, il cromatismo
alle scale tonali, e via dicendo: il preludio si apre su questi
grovigli di note discordanti che sembrano stranamente completarsi fra
loro, senza però un vero e proprio motivo che le accompagni,
inframezzate da lunghe e misteriose pause. Questo tipo di linguaggio
ormai suona familiare alle nostre orecchie perché il cinema ne ha fatto
un uso pressoché sistematico nella composizione di colonne originali, ma
all'epoca ci si aspettava di regola che la musica si reggesse su una
melodia - un'aria distintiva, riconoscibile, memorabile.
Per
questo, dicevamo, l'accordo di Tristano è visto come un punto di non
ritorno: è come se quel pugno di note mandasse in pensione la melodia
occidentale una volta per tutte, e per tutti i tradizionalisti si tratta
di un vero e proprio funerale. Quindi, dove dirigersi?
Intrigato dalla questione, il cantautore e polistrumentista Angelo Branduardi
a metà degli anni '70 decise che per affrontare il futuro avrebbe
guardato al passato remoto, e iniziò uno studio rigoroso della musica
antica (cantigas, madrigali, musica popolare, barocca, etnica)
per riproporla in chiave moderna: iniziò così una carriera dai risultati
non sempre costanti, ma sicuramente coerente e omogenea. Il suo brano
che vi proponiamo è il Ballo in Fa Diesis minore.
Il testo della canzone sembra rifarsi ad una celebre danza macabra raffigurata sull'esterno della chiesa di San Vigilio a Pinzolo, piccolo paesino nel Trentino: l'affresco, realizzato da Simone Baschenis di Averara nel 1539, è accompagnato da un poema che viene "recitato" dagli scheletri danzanti:
Io sont la morte che porto corona
Sonte signora de ognia persona
Et cossi son fiera forte et dura
Che trapaso le porte et ultra le mura
Et son quela che fa tremare el mondo
Revolgendo mia falze atondo atondo
O vero l'archo col mio strale
Sapienza beleza forteza niente vale
Non e Signor madona ne vassallo
Bisogna che lor entri in questo ballo
Mia figura o peccator contemplerai
Simile a mi tu vegnirai
No offendere a Dio per tal sorte
Che al transire no temi la morte
Che più oltre no me impazo in be ne male
Che l'anima lasso al judicio eternale
E come tu averai lavorato
Cossi bene sarai pagato
.....
Sonte signora de ognia persona
Et cossi son fiera forte et dura
Che trapaso le porte et ultra le mura
Et son quela che fa tremare el mondo
Revolgendo mia falze atondo atondo
O vero l'archo col mio strale
Sapienza beleza forteza niente vale
Non e Signor madona ne vassallo
Bisogna che lor entri in questo ballo
Mia figura o peccator contemplerai
Simile a mi tu vegnirai
No offendere a Dio per tal sorte
Che al transire no temi la morte
Che più oltre no me impazo in be ne male
Che l'anima lasso al judicio eternale
E come tu averai lavorato
Cossi bene sarai pagato
.....
Com'è
noto, la danza macabra è una grottesca messa in scena della Morte che
non fa distinzioni fra principi e villani, fra vescovi e pezzenti, ma li
prende tutti per mano in una infinita teoria-girotondo che si avvia
verso il camposanto e il Giudizio Universale. Il poema rafforza
quest'idea della Morte personificata, armata di falce, che nessun muro
può contenere e contro la quale nessuna virtù è utile ("Sapienza beleza forteza niente vale").
Il
testo di Branduardi, però, opera una modifica interessante e innovativa
rispetto al poema originale. Se le prime due strofe, che danno voce al
personaggio della Morte, sono fedeli all'idea antica, è la terza strofa
che introduce la variazione: qui prendono la parola gli Uomini, e
rispondono alla Morte invitandola al ballo che hanno organizzato
appositamente in suo onore.
E'
un capovolgimento vero e proprio. Questa volta è la Morte ad essere
chiamata ad una danza - che non è più macabra né funebre, ma al
contrario vitale - tanto che, prendendo parte alla festa, ella posa per
un attimo la falce per ballare "tondo a tondo" (ricordiamo che nel poema
originale era proprio la falce a venire roteata "atondo atondo"). Trasportata dalla musica e dal ritmo del ballo, la Morte di colpo non è più "signora e padrona" del tempo.
A prima vista potrebbe sembrare un'astuzia simile a quelle con cui, nelle storie popolari medievali, veniva imbrogliato il Diavolo stesso.
A prima vista potrebbe sembrare un'astuzia simile a quelle con cui, nelle storie popolari medievali, veniva imbrogliato il Diavolo stesso.
Ma in
realtà l'allegoria che costruisce Branduardi è molto più delicata e
sottile: siamo davvero impotenti di fronte alla Morte, spesso "crudele",
"forte" e "dura"; soltanto la musica (con la sua qualità estatica,
trascendentale) può farci uscire dal tempo e, dunque, sottrarci
al suo dominio.
Ed ecco che la danza macabra si scopre essere non
soltanto un tragico simbolo del problema esistenziale, ma anche una
possibile soluzione al problema stesso.
Certo, la morte ci costringe a
volteggiare con lei, e questo ci spaventa: ma quando infine siamo noi a
prendere l'iniziativa, e volontariamente la invitiamo a ballare, ecco
che il suo potere tutto d'un tratto svanisce.
L'unico modo che abbiamo per liberarci dalla paura, sembra quindi suggerire la canzone, è vivere con piede leggero, in una continua, gioiosa danza.
L'unico modo che abbiamo per liberarci dalla paura, sembra quindi suggerire la canzone, è vivere con piede leggero, in una continua, gioiosa danza.
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