Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

venerdì 28 febbraio 2014

Michael Dummett, il filosofo che gioca a tarocchi

Da "http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010913.htm" :

di PIERGIORGIO ODIFREDDI

Se un nome e un luogo possono essere associati alla storia della filosofia analitica, sono quelli di Gottlob Frege e dell'Inghilterra. A entrambi è legato Michael Dummett, probabilmente il più rappresentativo esponente vivente di questa tradizione. Dummett è stato infatti professore a Oxford, la città in cui vive, e con molti e fortunati volumi ha contribuito più di ogni altro a rivalutare il ruolo del pensiero di Frege nella filosofia del linguaggio e della matematica.
Dummett è un autore prolifico e piacevole da leggere, come dimostrano gli ultimi suoi libri appena usciti in Italia: Origini della filosofia analitica (Einaudi) e La natura e il futuro della filosofia (Melangolo). Famoso anche per la sua vena polemica, che ha potuto sfogare in molti interventi anche su giornali italiani, non si smentisce neppure in occasione di questa intervista.
Lei considera la filosofia come una disciplina puramente accademica. Questo può suonare strano in Italia, dove imperano i filosofi di corte e di palazzo: da Marcello Pera a Rocco Buttiglione, da Gianni Vattimo a Lucio Colletti.
"Quelle sono eccezioni. La maggioranza dei filosofi, anche in Italia, sta in università. Anzi, io dubito che oggi la filosofia possa fiorire indipendentemente dall'ambiente accademico".
Parlando di baroni, mi viene in mente che lei è diventato baronetto nel 1999. Per quali meriti?
"Per "contributi alla filosofia e alla giustizia razziale". Fin dagli anni Sessanta ho lavorato in comitati per l'integrazione razziale e contro la discriminazione, e sono stato tra i fondatori del Comitato di Assistenza per l'Immigrazione. Bisogna lavorare molto, a livello politico e giornalistico, per alimentare rispetto e simpatia verso rifugiati e immigranti, invece di odio e paura".
Veniamo alla filosofia, che lei identifica con l'analisi del linguaggio. Per quale motivo dovremmo imparare qualcosa dell'uomo in generale, o addirittura del mondo esterno, dall'analisi di specifici linguaggi naturali (indoeuropei)?
"Frege diceva che gli uomini possono concepire soltanto pensieri linguistici, ma non escludeva che per altri esseri questo potesse non essere vero. Secondo me, esagerava: io non credo che una creatura possa concepire un pensiero che non sia in grado di esprimere. In ogni caso, se anche lo studio del linguaggio non fosse l'unico mezzo possibile per l'analisi del pensiero, certamente è uno strumento indispensabile. E poiché è attraverso il pensiero che noi concepiamo la realtà, il suo studio ci chiarifica qualcosa anche del mondo esterno".
Ma non sono piuttosto le filosofie, così come le visioni del mondo, a riflettere i linguaggi in cui sono espresse? Ad esempio, la filosofia analitica l'inglese, quella continentale il tedesco, quella indiana il sanscrito, e così via?
"Frege diceva anche che, se l'espressione dei pensieri fosse l'unico scopo del linguaggio, tutte le lingue avrebbero la stessa grammatica. Ancora una volta, esagerava: in fin dei conti, i testi di filosofia si possono tradurre abbastanza fedelmente. Almeno, lo spero, visto che alcuni dei miei sono tradotti in italiano!".
Le sue citazioni di Frege mostrano che lei è stato molto influenzato dalla logica matematica. Si tratta soltanto di una contingenza personale, oppure di una necessità filosofica?
"Frege ha trovato un simbolismo che permette di esprimere adeguatamente la struttura del pensiero. Non è perfetto, ma è il migliore che abbiamo. Per questo tutti i filosofi analitici, e anche gli altri, dovrebbero conoscere almeno i rudimenti della logica matematica. E non solo di quella classica, ma anche della logica intuizionista e dei suoi motivi per rifiutare il principio del terzo escluso".
Matematici e scienziati sembrano avere poco interesse per la filosofia della matematica e della scienza. Si tratta solo di mancanza di sensibilità? O non è piuttosto la consapevolezza che i filosofi si concentrano su problematiche irrilevanti?
"Gli specialisti che snobbano le analisi filosofiche non sono molto più rispettabili degli ignoranti che snobbano l'attività intellettuale. Le discussioni sui fondamenti della meccanica quantistica mostrano che c'è una bella differenza tra usare una teoria che "funziona", e capire che cosa essa significhi".
A me sembra che molti scienziati abbiano dedotto dalla "beffa Sokal" che la filosofia è indistinguibile dalla propria parodia.
"Credo che la "beffa Sokal" dimostri soltanto che un certo tipo di sociologia è indistinguibile dalla propria parodia. Comunque questa è una bella frase: complimenti!".
A proposito di parodie, Borges diceva che la teologia è una forma di letteratura fantastica. Leggendo il suo ultimo libro, sono rimasto scioccato nel sentire che lei si dichiara cattolico.
"Questa, invece, è un'espressione di trionfalismo antireligioso. Se io rimanessi scioccato nel sentire che lei si dichiara ateo, sarei considerato arrogante. Poiché l'ateo si sente maggioritario, almeno fra gli intellettuali, si permette atteggiamenti di superiorità verso i credenti".
Intendevo dire che sono rimasto molto sorpreso di questa dichiarazione, alla fine di un libro in cui lei attacca duramente la Chiesa sulla limitazione delle nascite e la prevenzione dell'AIDS.
"Le mie critiche sono rivolte alla politica del Vaticano, che è spesso mal concepita e a volte molto sbagliata. Il mio dissenso col Papa sulla pillola riguarda un insegnamento che non ha fondamento né storico né dottrinale".
Come concilia, comunque, le sue idee filosofiche e religiose?
"Lei crede che essere cattolico sia in conflitto con l'essere filosofo?".
Con l'essere un filosofo analitico, si. E anche con l'essere scienziato.
"E perché?".
Anzitutto, perché la religione cattolica si basa su dogmi. E poi perché questi dogmi non hanno né senso né significato, tanto per usare la terminologia di Frege.
"Certo il credente ha problemi che il non credente non ha. Ad esempio, l'Eucarestia, la Resurrezione e l'Immacolata Concezione, su ciascuno dei quali ho scritto un articolo. O l'Assunzione, sulla quale un socialista come Aneurin Bevan poteva solo commentare: "Beh, era il minimo che Cristo potesse fare per sua madre"... Io credo che un filosofo debba seguire i suoi ragionamenti dovunque lo portino, anche contro la sua fede. O contro la sua mancanza di fede. E se arriva a negare qualcosa alla quale non può rinunciare, deve onestamente riconoscere di non essere in grado di accettare le conclusioni. La filosofia sta più nei ragionamenti che nelle conclusioni".
Per finire in maniera più leggera, lei ha scritto vari libri sui tarocchi. Come mai questa passione?
Molti anni fa ero in vacanza in Francia con la mia famiglia. Abbiamo comprato dei tarocchi francesi e ci siamo appassionati. Poi ho scoperto che in Austria c'era un gioco dello stesso genere, ma molto diverso. Mi sono chiesto come si giocasse negli altri paesi, e poiché gli esperti che ho consultato non lo sapevano, ho cominciato a fare ricerche per conto mio. Nel 1980 ho pubblicato in inglese Il gioco dei Tarocchi, che tratta dei vari tipi di gioco. Nel 1993 ho invece pubblicato in italiano Il mondo e l'angelo (Bibliopolis), che tratta dei vari tipi di carte. E sono diventato un giocatore entusiasta, benché non buono".

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