Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

giovedì 14 novembre 2013

A proposito degli ultimi giorni di Immanuel Kant

Da "http://www.caressa.it/testi/ultimigiornikant.html" :

di Paolo Caressa (2009)

    Was der feinere Theil der Menschen Leben nennt ist ein wunderliches Gewebe von tändelhaften Zerstreuungen langweiligen Zeitkürzungen noch mehreren Plagen - der Eitelkeit und einen gantzen Schwarm alberner Zerstreuungen. Der Verlust derselben wird der tod gemeiniglich aber vor noch viel ärger als der tod gehalten ein Mensch der zu leben weis der den Geschmak dazu verlohren hat ist dem Vergnügen abgestorben.
    
    [Ciò che la parte più raffinata degli uomini chiama vita è uno strano intreccio di distrazioni riprorevoli, di noiosi passatempi e di altre piaghe ancora - di vanità e di tutto uno sciame di stupide distrazioni. Comunemente la loro perdita viene considerata pari alla morte, anzi come molto più grave della morte, infatti un uomo che sa godersi la vita, quando perde il gusto per tutto questo, è morto per i piaceri.]
    
    Immanuel Kant, Bemerkungen in den "Beobachtungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen", 52,5 [Note in margine al "Sentimento del bello e del sublime": trad. it. a cura di Katrin Tenenbaum, Bemerkungen, Meltemi, Roma, 2001].

Immanuel Kant viene riconosciuto come il principale filosofo della sua epoca, e probabilmente dell'età moderna: la sua filosofia ha influenzato tutti gli sviluppi seguenti, fino ai giorni nostri, e le sue idee hanno introdotto una "rivoluzione copernicana", come comunemente viene chiamata, per l'epocale mutamento di prospettiva introdotto nelle questioni metafisiche e nel rapporto fra ragione, scienza e fede. Come tutti i filosofi, di lui non si annoverano soltanto i ponderosi volumi, le lezioni universitarie, le ricerche pubblicate in riviste ecc., ma anche aforismi, frasi, pensieri: quello riportato in calce a questa nota sembra tradire una amarezza più propria di Schopenhauer, pure grande lettore e diretto epigono del filosofo di Königsberg (oggi Kaliningrad), mentre il suo motto illuminista sapere aude [abbi il coraggio di conoscere] sembra essere una delle migliori sintesi del suo pensiero. Eppure la frase che più ci commuove è senz'altro l'ultima che Kant disse nella sua vita, stando alle testimonianze dei suoi contemporanei: Es ist gut, [Così va bene]. Un concetto così elementare, una frase quasi infantile, in bocca a un grande filosofo morente non può non caricarsi di altri significati: c'è ad esempio chi l'ha interpretata come un moto di sollievo all'approssimarsi della morte, come a dire aver vissuto fino a qui è abbastanza.

Personalmente, questa frase mi ricorda moltissimo una delle ultime proferite da mio padre prima di morire: alla richiesta di come si sentisse fatta dai presenti al suo letto d'ospedale, replicò Sto meglio di tutti voi. Nemmeno una settimana dopo la sua morte, fra l'altro avvenuta un 22 aprile (data di nascita di Kant), ho avuto modo di leggere Gli ultimi giorni di Immanuel Kant (Adelphi, 1983) di Thomas de Quincey, ricavandone una forte impressione per ragioni che saranno chiare fra breve.

De Quincey, universalmente noto per le sue Confessioni di un inglese mangiatore d'oppio, libro che annoverava fra i suoi devoti scrittori come Poe, Baudelaire e Borges, fu un fine trattatista oltre che un elegante e ispirato letterato: i suoi saggi spaziano dall'economia alla medicina, in effetti la sua assuefazione all'oppio originò dal tentativo di curarsi la nevralgia, e la sua erudizione lo rendeva in grado di leggere in molte lingue e di confrontare fra loro aspetti diversissimi di uno stesso argomento.

La prima versione del saggio di de Quincey su Kant apparve sotto forma di articolo sul Blackwood's Magazine nel 1827, a ventitré anni dalla morte del filosofo, per poi essere riedito nel quarto volume delle sue opere (1854), in una versione assai rielaborata: in essa l'erudito inglese ci descrive gli ultimi anni della vita del grande filosofo, mostrandoci il suo penoso declino intellettuale e umano. L'artificio retorico che de Quincey utilizza per coinvolgere il lettore nella lettura del suo saggio è quello di simulare il diario personale di una delle persone che stavano in stretto contatto con Kant durante gli ultimi anni della sua vita, precisamente Christoph Wasianski, un suo allievo, del quale de Quincey utilizza in realtà lo scritto Immanuel Kant in seinen letzten Lebensjahren (1804), non trascrivendolo ma parafrasandolo nel suo stile incomparabilmente più elegante e coinvolgente, e corredandolo di note. Ma in verità, trascinato dalla sua passione per la medicina, de Quincey rispetto a Wasianski sembra più attento al quadro clinico del male che colpì Kant negli ultimi anni della sua vita, una forma di demenza senile in cui possiamo facilmente riconoscere, come argomenterò più oltre, una variante della sindrome di Alzheimer, descritta per la prima volta nella letteratura medica ottanta anni appresso, ma che non sarebbe scorretto chiamare sindrome di de Quincey per l'esattezza scientifica della descrizione dello scrittore inglese.

Poiché si tratta dello stesso morbo che ha afflitto gli ultimi anni della vita di mio padre, non ho potuto non riconoscere nelle parole di de Quincey le stesse sensazioni ed esperienze che ho avuto purtroppo modo di provare negli ultimi anni a proposito di mio padre e del suo stato: la lettura del saggio dello scrittore inglese è stata quindi dal mio punto di vista una coinvolgente e a tratti sofferta lettura "clinica" che mi ha permesso di far combaciare sintomi e vedere analogie fra due situazioni verificatesi a distanza di più di due secoli, e sono le riflessioni di questa lettura che voglio riportare qui: non parlerò della vicenda di mio padre, mi limiterò a riferire quelle relative a Kant, riportando proprio gli episodi comuni a entrambi i casi, che si sovrappongono in maniera impressionante, seguendo il saggio di de Quincey, integrando talora con informazioni attinte da altre fonti biografiche.

Alois Alzheimer ha descritto nel 1901 il primo caso accertato della malattia che reca il suo nome, e che costituisce un morbo degenerativo che colpisce prevalentemente gli anziani (e di riflesso le loro famiglie, circostanza non trascurabile): le cause possono sfumare in una molteplicità di fattori, nel caso di mio padre si trattava ad esempio della presenza di corpi di Lewy nel cervello, cioè di formazioni proteiche che pregiudicano, fino a compromettere del tutto, la funzionalità delle cellule nervose e delle connessioni neurologiche principalmente nell'area corticale: qualcuno ha suggestivamente affermato che si tratta di "un secondo cervello" che va ad invadere il primo. Nel caso dell'Alzheimer queste proteine, le amiloidi beta, presenti normalmente nel cervello, proliferano inspiegabilmente, formano delle placche che vanno a danneggiare il tessuto cerebrale: la ricerca clinica è attualmente focalizzata anche su tecniche di immunoterapia per arrestare la formazione di queste placche, ma la biochimica di questa malattia è infinitamente più complessa di quanto queste poche righe non possano far intendere.

Il risultato è che il malato perde gradualmente le sue capacità cognitive e motorie, fino a una completa perdita della personalità: la malattia può infatti protrarsi per anche dieci anni prima che intervenga la morte del paziente a interromperne il lento e inarrestabile progredire. Per chi ha la sventura di sperimentarla, questa sindrome si presenta come una lenta e inesorabile discesa nel Maelstrom, per parafrasare un'opera di Poe. Infatti ho avuto la costante impressione che questo morbo consistesse nello scendere una scala a spirale nelle viscere del terreno, ad ogni gradino della quale alcune facoltà sono irrimediabilmente perdute, sempre più in profondità e sempre più nel buio, fino, letteralmente, alla tomba.

Una caratteristica del morbo di Alzheimer è che sembra completamente scorrelato dalle condizioni fisiche generali: i pazienti, nelle fasi iniziali della malattia, possono trovarsi o meno in buone condizioni fisiche, e questo sembra contare poco; ovviamente condizioni fisiche precarie rendono più penoso e più accentuato il male, e possono fare la differenza negli stadi più avanzati, tuttavia una persona apparentemente in buona salute può essere colpita dall'Alzheimer esattamente come le altre. Il caso di Kant è emblematico: sebbene avesse sofferto di varie malattie in gioventù, come la febbre malarica, si era portato in buona salute alle soglie della terza età, e la sua celeberrima regolarità nello stile di vita pareva dovergli garantire una serena vecchiaia. Chi lo conobbe bene riferì della maniacale condotta di vita che osservava: si svegliava e coricava sempre alla stessa ora, dedicava allo studio sempre gli stessi intervalli orari della giornata, il suo (unico) pasto di mezzogiorno era consumato con calma e dopo una conversazione con gli immancabili ospiti si dedicava a una passeggiata per le vie di Königsberg, sempre negli stessi orari, tanto che si dice che molti sistemassero gli orologi in base all'ora in cui il filosofo usciva per la sua camminata: solo per qualche giorno nel periodo della lettura dell'Emile di Rousseau, cui era devoto, e più avanti in seguito alla sua malattia, violò questa regola che si era imposto.

C'è da dire che Kant era estremamente interessato agli sviluppi della medicina e si interrogò anche sul concetto di salute, dedicandovi alcune profonde riflessioni nella sua ultima opera compiuta, Il conflitto delle facoltà (1798): in realtà il filosofo aveva ricevuto dal re Federico Guglielmo (figlio di Federico il Grande, ma non altrettanto grande come patrono della filosofia e della scienza) il divieto di scrivere su questioni religiose, per il fastidio che la sua La religione entro i limiti della sola ragione (1793) aveva suscitato nelle bigotte autorità prussiane, ma evidentemente, morto il re nel 1797, Kant dovette sentirsi sciolto da quell'odioso vincolo. Come che fosse, nel suo Il conflitto delle facoltà, sostiene che la definizione di salute è problematica, in quanto è la malattia a essere percepita, mentre la buona salute è difficilmente discernibile dallo stato di normalità: in altri termini, non si è in grado di "misurare" il benessere, si è solo in grado di distinguere la malattia da uno stato di salute normale. Secondo l'interpretazione di Georges Canguilhelm (nel terzo dei suoi Écrits sur la médecine, Seuil, Paris, 2000), queste osservazioni vogliono dire che la salute non può essere oggetto immediato di conoscenza, ergo che non può esistere una scienza esatta della salute.

Kant doveva di lì a poco sperimentare in prima persona quanto poco fosse in grado di stabilire di essere in buona salute, almeno per uno della sua età. Infatti, poiché la sindrome di Alzheimer tende a manifestarsi nell'ultima fase della vita dei pazienti (con alcune dolorosissime eccezioni di malati anche a quarant'anni), i suoi sintomi subdolamente si nascondono fra gli acciacchi normalmente attribuiti all'età senile e al declino psico-fisico che sembra fisiologico e proprio della terza (e ormai quarta) età. La perdita della memoria, specie di quella a breve termine, ne è un esempio lampante: lo stereotipo della persona anziana ci presenta gli ultrasettantenni, e a maggior ragione gli ultraottantenni, come più lenti non solo nel percepire ma anche nel connettere ed esprimersi: le dimenticanze e le distrazioni sono quindi considerate "normali".

E infatti, come ci informa de Quincey, uno dei primi segni del declino intellettuale di Kant fu la perdita della memoria a breve, come nel ripetere, nell'arco della giornata, una stessa storia alle stesse persone: per rimediare a questo suo crescente difetto di memoria, Kant prese l'abitudine di scrivere prima su dei foglietti, poi su un taccuino una specie di "ordine del giorno" per le sue conversazioni, in modo da essere sicuro di non ripetere argomenti già toccati. D'altra parte la memoria a lungo termine pareva invece persistere, ed egli era in grado di citare a memoria interi brani dell'Eneide in latino, o ricordare distintamente eventi remoti della sua esistenza (personalmente ricordo che mio padre, quando già la malattia si era manifestata e gli impediva di articolare discorsi lunghi senza confondersi, riusciva tuttavia a recitare a memoria brani della Divina Commedia). In queste fasi eventi accaduti molti anni prima riaffiorano spontaneamente alla memoria, e talvolta il paziente non ricorda che alcune persone sono morte, e ne parla come se fossero ancora vive, e come se i passati eventi che le riguardano fossero in realtà recenti.

La cosa forse più penosa per un uomo di pensiero, e questa definizione è perfetta per Kant, è il declino della capacità di articolare discorsi complessi, si badi, non di concepire concetti complessi ma di esprimerli: spesso il malato ci vuole comunicare qualcosa, sembra che abbia chiaro cosa, ma non sa più dirlo, gli mancano le parole, o ne usa di improprie, e quando si rende conto di questo muro di incomunicabilità può cadere in uno stato di prostrazione o di rabbia. La vicinanza e il contatto con una cerchia di persone care o amiche è in questi casi fondamentale: Kant poteva contare sui suoi sodali di simposi, che ogni giorno pranzavano con lui, oltre che sul suo domestico e negli ultimi mesi sulla sorella, che come si dice ora era per lui il caregiver, il personaggio principale cui il malato si affida e dalla cui presenza dipende man mano che la malattia degenera. Certo è che, in linea con quanto ho poco più sopra scritto, Kant si rendeva conto del suo stato di decadenza intellettuale: già nel 1799, secondo Wasianski, ebbe a dire agli amici Meine Herren, ich bin alt und schwach, Sie müssen mich wie ein Kind betrachten [Amici miei, sono vecchio e puerile, dovete trattarmi come fossi un bambino]. Sotto quest'ombra di ironia traspare l'amara consapevolezza della propria condizione: inoltre, come pure riportato da de Quincey, Wasianski nota come le teorie e le spiegazioni che dava per ogni sorta di fenomeni, un tempo brillanti e ragionevoli, divenissero insostenibili, in particolare la sua idea di spiegare ogni cosa con i fenomeni elettrici. C'è anche da aggiungere, come risulta da altri resoconti biografici, che Kant aveva già avvertito dal 1794 un calo nelle sue energie mentali, in particolare nella capacità di concentrarsi su un argomento per più di due ore di seguito, attribuendolo all'appressarsi della vecchiaia ed impedendogli di portare a termine una serie di progetti per i quali stava da tempo raccogliendo idee e materiale.

A tutto questo, e in questo caso possiamo parlare di una sintomatologia decisamente aliena al normale decorso senile, si aggiunse la sua perdita della nozione del tempo, drammatica per un uomo che aveva eretto la regolarità e la puntualità a norma di vita: de Quincey ci parla del tempo a breve termine, ma personalmente ho sperimentato come anche il computo dei mesi e degli anni divenga confuso fino a perdersi del tutto: anche se il malato rammenta il suo anno di nascita, non riesce a dire quanti anni ha, o sbaglia completamente nel dirlo. A questo è collegata, sempre secondo la mia esperienza, la perdita delle "facoltà aritmetiche", cioè la capacità di far di conto, anche questa persa in modo graduale, a partire da divisione e sottrazione, per poi comprendere anche moltiplicazione e addizione.

Nel caso di Kant le sue abitudini leggendarie, in particolare le sue "passeggiate filosofiche", dovevano subire un arresto anche a causa del declino delle capacità motorie: un altro sintomo che potrebbe confondersi con una fisiologica perdita di tono muscolare e robustezza ossea, ma che invece è tipico di queste malattie, è l'insorgere di difficoltà nel camminare. Il malato modifica la sua andatura, i passi si accorciano, il corpo tende a sporgere in avanti, come se tendesse a dimenticare la normale postura eretta, e sempre più spesso tende a cadere. Una caduta, dalla quale non riuscì a rialzarsi da solo, convinse Kant a rinunciare alle sue ormai brevi passeggiate, ma il fenomeno si ripeté anche negli spostamenti fra le mura domestiche, e le cadute tendono ad essere sempre più rovinose. In breve Kant non riuscì più ad essere autonomo né negli spostamenti né nei gesti quotidiani, come coricarsi e lavarsi.

Un cambiamento interessante che de Quincey riporta è l'improvvisa voglia di viaggiare, di uscire, di muoversi, lui che era rimasto tutta la vita a Königsberg (per capirci Kant non ha mai visto né una montagna, né il mare): una giornata di sole bastava per fargli venire la voglia di uscire ma, una volta approntata la carrozza e percorsa poca strada, la stanchezza lo vinceva e voleva tornare a casa. Questo comportamento, che potrebbe ricordare un capriccio infantile, si ripeteva anche quando le sue condizioni fisiche facevano sì che una mezz'ora fuori da casa lo affaticasse tanto da prostrarlo: a proposito delle sempre più brevi escursioni di Kant all'aria aperta voglio esplicitamente riportare una curiosità, di carattere certamente non clinico nel senso che non è possibile supporre si tratti di una caratteristica indotta dalla malattia, ma che mi ha profondamente colpito perché la stessa cosa accadeva a mio padre, vale a dire l'episodio in cui Kant, in una sua gita in campagna, si sofferma ad ascoltare il canto degli uccelli, riconoscendo le specie in base al loro canto: una simile se si vuole infantile ma certo tenera attrattiva la subiva anche mio padre nei suoi ultimi anni, ovunque ci fossero passerotti che cinguettavano questi attiravano subito la sua attenzione e cercava di imitarne il cinguettìo.

L'ultimo anno di vita di Kant, dal febbraio 1803 al febbraio 1804, fu funestato da un accavallarsi di malesseri fisici e da un generale e conseguente degrado delle sue condizioni: dolori allo stomaco, attacchi di panico notturno, la perdita della vista e, nell'ottobre 1803, una perdita di conoscenza che gli fece scendere un ulteriore gradino nella scala in discesa della consapevolezza e della "presenza di spirito": nel frattempo aveva perduto irrimediabilmente la facoltà di leggere e scrivere, per meglio dire aveva dimenticato a farlo, e c'è da credere che anche le sempre più frequenti permanenze a letto avessero avuto l'effetto di fargli "dimenticare" le funzionalità motorie di base. La complessità dell'atto del camminare, così come di molte altre funzioni che normalmente espletiamo senza bisogno di sforzo o concentrazione, si apprezza solo quando il fisico e la mente ne perdono il controllo e alla fine il possesso: la combinazione di movimenti muscolari, meccanica ossea, controllo neurologico che permettono un gesto così naturale diviene troppo complessa per essere mantenuta. De Quincey registra anche una sorta di frenesia, di movimenti caotici del suo corpo (aprassia) nelle ultime fasi, una smania o forse la fine del controllo dei centri nervosi sui muscoli: ma nel generale ed esponenziale decadimento delle sue condizioni fisiche e delle ormai minime facoltà intellettuali queste caratteristiche non sorpresero le persone che assistettero agli ultimi momenti del grande filosofo.

Il 12 ottobre 1804, alle ore undici, Kant spirava, probabilmente per l'aggravarsi dei malesseri al sistema digestivo che da qualche mese lo affliggevano: senza il suo crollo fisico degli ultimi mesi non c'è dubbio che le sue condizioni mentali avrebbero continuato a scemare, rendendo ancora più penosa l'ultima fase della sua esistenza. Possiamo solo immaginare, senza gli ausili medici odierni, le sofferenze che a quell'epoca una malattia come l'Alzheimer poteva generare sia nel malato che nel suo contesto familiare: nel caso di Immanuel Kant la presenza di amici, domestici e sodali ha fornito l'ambiente "familiare" fondamentale per lenire per quanto possibile il suo disagio oltre che il suo male, e tuttavia rispetto alla consapevolezza che oggi abbiamo sia su questo tipo di malattie sia sui modi di rallentarne il decorso e alleviarne le sofferenze, è assai penoso figurarsi quello che potevano passare malati meno famosi e meno fortunati: di questi ignoti pazienti nessun de Quincey ci ha consegnato la lucida e sofferta descrizione degli ultimi anni della loro vita.


Riferimenti

Georges Canguilhelm, Écrits sur la médecine, Paris, Seuil, 2000.

Thomas De Quincey, Gli ultimi giorni di Immanuel Kant, Adelphi, Milano, 1983.

John H.W. Stuckenberg, The life of Immanuel Kant, Macmillan, London, 1882.

Christoph E.A. Wasianski, Immanuel Kant in seinen letzten Lebensjahren, bei F. Nicolovius, Königsberg, 1804, tr. it. di Ervinio Pocar in L. E. Borowski, La vita di Immanuel Kant narrata da tre contemporanei / L. E. Borowski, R. B. Jachmann, E. A. Ch. Wasianski, Laterza, Bari, 1969.

http://www.alzheimer.it/ Il sito Web dell'Associazione Italiana Alzheimer contiene molte informazioni utili in proposito.

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