Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

giovedì 28 novembre 2013

Vita di C.S. Lewis

Da "http://carabelta.free.fr/letter/lewis.php" :

di Pietro Schenone


La sua vita


Premessa


La storia della vita e dell'opera di C.S. Lewis è segnata da una duplice esperienza: quella di un desiderio, così profondo da non poter trovare una risposta, che sta nell'anima come il Siège Perilous nel castello di re Artù (sul quale nessuno che non fosse il Predestinato poteva sedersi), e quella della risposta ad esso, impossibile all'uomo eppure certa, perché la natura non fa niente a caso. Più di ogni altro scrittore moderno, Lewis ha avvertito l'universalità di questa esperienza e, forse per questo, l'ha posta al centro di tutti i suoi libri. Alla ricerca di questa risposta John parte per il suo viaggio verso l'Isola, ed avendola trovata fa ritorno a Purilandia; contro questa certezza e la sua incomprensibile ma acuta logica deve combattere e soccombere l'inesperto Malacoda. Per ognuno dei suoi scritti allora valgono le parole di avvertimento delle prime pagine della sua autobiografia: Sorpreso dalla gioia, «il lettore che trova questi tre episodi di nessun interesse può anche fare a meno di andare avanti, perché in un certo senso il nocciolo della mia vita è tutto qui. Per chi è ancora disposto a leggermi, mi Imiterò ad evidenziare quello che tutte e tre le esperienze hanno in comune, e cioè un desiderio inappagabile che è esso stesso più desiderabile di qualsiasi appagamento. Io lo chiamo gioia, che qui è un termine tecnico e va nettamente distinto dalla felicità così come dal piacere. A parte questo, e solo in base alla sua natura, potremmo anche considerarla una infelicità o un dolore di genere particolare».
Clive Staples Lewis nacque a Belfast, nell'Irlanda del Nord, nel novembre del 1898, in una famiglia della borghesia protestante della città. Il padre era avvocato e discendeva da veri gallesi: «sentimentali, passionali e retorici, facili all'ira come all'intenerimento; uomini che ridevano e piangevano molto, e possedevano scarso talento per la felicità». La madre era figlia di un pastore protestante, aveva studiato al Queen's College di Belfast e vi si era laureata in Lettere; gli Hamilton erano, a differenza dei Lewis, dotati di «spirito critico e ironico, possedevano al massimo il dono della felicità» e sapevano trovarla ovunque.
I genitori di Lewis, almeno fino alla malattia ed alla morte della madre, furono molto vicini ai figli ed ebbero una grossa influenza sul loro carattere. Il padre era, tra l'altro, bravissimo a raccontare storie ed aveva un notevole anche se molto personale gusto letterario; la madre, che preparò il giovane Lewis allo studio del latino e del francese, era anch'ella una «divoratrice di buoni romanzi» e gli comunicò la sua stessa passione per la letteratura. La figura che già da questi anni ha però la parte maggiore nella vita di Lewis è quella del fratello maggiore, «alleato per non dire complice». A lui è legata quella prima esperienza estetica, che, come ben sa chi ha letto Le due vie del pellegrino, tanto può determinare l'esistenza di chi l'ha provata.

L'angelo canta

lo non so, non so io,
Quel che gli uomini dicono insieme,
Come gli amanti, gli amanti muoiono
E la giovinezza passa e va.
Comprender non so
L'amor che il mortal porta
Per la terra natia, terra natia
Son lor tutte le terre.
Perché alla tomba s'attristar!
Per una sol voce e un volto,
E non voglion, ricever non voglion
Un altro al posto suo.
lo, là sopra la volta
Che la notte racchiude
Volando, non ho mai conosciuto
Diversa luce,
Dolore è quel ch'essi chiaman
Questa coppa: da cui il mio labbro,
Me misero, giammai per tutti
Gl'infiniti miei dì dovrà sorbire.
«Un giorno, mio "fratello portò nella nostra stanza il coperchio di una scatola di biscotti che aveva ricoperto di muschio e ornato di fiori e ramoscelli per dare l'idea di un giardino o di una foresta giocattolo. Fu la prima cosa bella che abbia visto. Il giardino giocattolo fece quello che il giardino vero non era riuscito a fare. Mi permise di scoprire la natura (...) Al momento non vi feci caso, ma l'effetto che ne ebbi doveva rimanere impresso nella memoria. Finché vivrò, la mia immagine del Paradiso conterrà qualcosa del giardino giocattolo di mio fratello».
L'infanzia di Lewis fu però molto povera, se non priva, di un'esperienza religiosa autentica. La sua famiglia era credente, ma la fede vi si esprimeva solo con l'adesione ad alcune pratiche religiose, senza alcuna connessione con la sostanza della vita. Quando, con la morte della madre, iniziò la sua educazione scolastica in Inghilterra, egli si distaccò via via da una fede di cui non avvertiva il valore e che, «per un semplice sbaglio di tecnica spirituale», aveva trasformato in un «pesante fardello» di doveri da compiere, sino ad arrivare nel 1911 a «smettere di essere cristiano».
Da quel momento — e leggendo la sua autobiografia Sorpreso dalla gioia sembra quasi di seguire il viaggio di John il protagonista de Le due vie del pellegrino — Lewis percorre un lungo cammino  che  lo  porta   dalle  fantasie  occultiste dei primi anni di agnosticismo alla conversione al cristianesimo.
Nel 1913 vinse una borsa di studio in umanistica e dopo un anno di studi al Wyvern College si preparò a sostenere l'esame di ammissione ad Oxford con l'aiuto di un istitutore privato: W.T.Kirkpatrick, già direttore del Lurgan College; «Kirk» o «il Grande Knock» come si era abituato a sentirlo chiamare dal padre e dal fratello. Il Grande Knock si rivelò però, fin dal primo incontro, molto diverso da quello spirito sentimentale e paternalista che i ricordi paterni lasciavano supporre, «se mai un uomo rasentò la pura entità logica, quest'uomo era Kirk. Se fosse nato qualche anno dopo, sarebbe stato un positivista logico. L'idea che un uomo potesse servirsi dei suoi organi vocali diversamente che per comunicare o per scoprire la verità era per lui semplicemente assurda».
Questa qualità non dispiacque però a Lewis che in quegli anni, come scriverà più tardi, poteva interessarsi solo a due tipi di discorso: il quasi puramente fantastico ed il quasi puramente razionale, e se la spietata dialettica dell'istitutore gli , diede allora «nuove munizioni per la difesa di una posizione già conquistata», poiché il suo ateismo ed il suo pessimismo si erano già pienamente formati, molti anni dopo il rigore e la serietà intellettuale che da lui apprese avranno una parte molto importante nella sua conversione.

Il desiderio

L'esperienza è quella di un intenso desiderio o brama. Si distingue dagli altri desideri intensi per due cose. !n primo luogo, sebbene il senso del bisogno sia acuto ed anche penoso, tuttavia il mero bisogno si sente come se fosse in qualche modo una gioia. Altri desideri si sentono come piaceri soltanto se se ne attende soddisfazione nel futuro prossimo; la fame è piacevole soltanto quando sappiamo (o crediamo) che presto mangeremo. Ma questo desiderio, anche quando non v'è speranza di una possibile soddisfazione, continua ad essere apprezzato, perfino ad essere preferito a qualsiasi altra cosa al mondo, da parte di coloro che l'hanno sentito una volta. Questa fame è meglio di qualsiasi altra ricchezza.
E così succede che, se il desiderio resta assente per lungo tempo, può venire esso stesso desiderato e tale nuovo desiderare diventa un nuovo esempio del desiderio originale, sebbene colui che ne è soggetto possa non riconoscere s'ubito il fatto e, così, piange la perdita della giovinezza dell'anima sua nello stesso momento in cui ringiovanisce. E' una faccenda che sembra complicata, ma è semplice per chi la vive. «Oh, sentirmi come mi sentivo allora!» ci lamentiamo, senza accorgerci che proprio nel dire queste parole, quello stesso sentimento di cui lamentiamo la perdita sta risorgendo in noi con tutta la sua vecchia sensazione dolceamara. Perché questo dolce desiderio taglia via le distinzioni che ordinariamente facciamo tra il desiderare e l'avere.
Nell'inverno del 1916 sostenne l'esame per l'ammissione ad Oxford e, sebbene fosse stato certo del contrario, ottene un risultato positivo. Tuttavia non frequentò l'Università che per pochi mesi perché si arruolò ed entrò nel Corpo Addestramento Ufficiali Universitari. Completato il corso a Keble, parti per il fronte francese dove giunse il giorno del suo diciannovesimo compleanno, il 29 novembre 1917. Lewis non divenne un eroe ma fu comunque un ottimo soldato tino a che non venne gravemente ferito da una granata a Mont Bernenchon, presso Lillà, nell'aprile del 1918. Durante un periodo di malattia precedente la ferita, lesse per la prima volta un libro di Chesterton. Fu un episodio importante come lo era stato qualche anno prima la lettura di MacDonald, e molti anni dopo scriverà:
«Nel leggere Chesterton, come nel leggere Mac Donald, non sapevo a cosa andassi incontro. Un giovane che desidera rimanere un perfetto ateo non può andare troppo per il sottile nelle sue letture. Ci sono trabocchetti sparsi dappertutto: «Bibbie lasciate aperte, milioni di sorprese», come dice Herbert, «reti sottili e stratagemmi». Dio è, se così possiamo dire, pochissimo scrupoloso».
Nel 1919 venne congedato e ritornò ad Oxford per completarvi gli studi di Filosofia prima, e di Inglese poi. Nel 1924 fu per un anno docente temporaneo in quello stesso College e dal 1924 al 1954 docente al Magdalene College, fino al 1954 anno m cui assunse l'incarico, che non abbandonò fino alla sua morte, di professore di Letteratura inglese medievale e Rinascimentale all'Università di Cambridge. Morì quando mancavano pochi giorni al suo sessantacinquesimo compleanno, il 22 novembre 1963.
Agli ultimi anni di studi ad Oxford ed ai primi di insegnamento è legata l'esperienza della conversione, di cui Lewis ricorda le tappe negli ultimi capitoli di Sorpreso dalla gioia. che difficilmente si possono leggere nella loro logica incalzante, senza avvertire la razionalità della conclusione. Sotto il titolo Scacco matto, sono raccolte le mosse che lo costrinsero alla resa a Dio. Prima di ogni altra q cosa furono i libri «che cominciarono a rivoltarmisi contro». Si accorse che la regola cui aveva sempre dato fiducia lo stava tradendo, autori come George MacDonald e G.K. Chesterton che aveva sempre considerato validi a prescindere dal loro «pallino religioso» davano ai loro libri tutta la «ruvidezza e la densità della vita» che al contrario non traspariva proprio da quegli autori come G.B. Shaw, H.G. Wells o Voltaire che non erano «afflitti dalla religione».
Un'esperienza  analoga  ebbe  nell'amicizia   con J.R.R. Tolkien, poiché come scrive:  «fin dal mio arrivo in questo mondo mi avevano (tacitamente) avvertito di non fidarmi mai di un papista e (apertamente) al mio arrivo alla Facoltà di inglese, di non fidarmi mai di un filologo» e Tolkien era l'uno e l'altro. Seguono, una dopo l'altra, le mosse dell'Avversario che lo portano a quella che gli apparve sempre una libera scelta.
«Risalivo Headington Hill sull'imperiale di un autobus. Senza parole e (credo) quasi senza immagini, mi si affacciò alla mente un fatto che mi riguardava. Mi resi conto cioè che cercavo di sfuggire o di chiudere fuori qualcosa. Sentii che mi si offriva, in quel momento, una libera scelta. Potevo aprire la porta o tenerla chiusa; togliermi l'armatura o tenerla. Nessuna delle due alternative mi veniva presentata conte un obbligo; nessuna minaccia o promessa le accompagnava per quanto sapessi che aprire la porta o togliermi il corsaletto voleva dire l'incommensurabile. La scelta aveva tutta l'aria di essere determinante, ma era anche stranamente, scevra d'emozione. Non mi agitavano desideri né paure. Decisi di aprire la porta, di togliermi l'armatura, di allentare le "briglie. Ho detto "decisi", eppure non mi parve realmente possibile fare il contrario. D'altro canto non ne avevo i motivi. Qualcuno osserverà che non agivo liberamente, ma io sono incline a pensare che si trattò di un'azione più libera di quante ne avessi mai compiute. La necessità può non essere il contrario della libertà, e forse un uomo è più libero quando, anziché addurre motivi, può solo dire: "Sono ciò che faccio"».
La sua prima conversione fu all'idealismo, ma ben presto Lewis si avvide che se di esso si può parlare è impossibile viverlo, perché è contrario alla ragione che lo «spirito» ignori o accetti passivamente gli approcci di chi gli si rivolge. Tutto non faceva che sospingerlo verso la nuova tappa della quale già intuiva, lucidamente, la conseguenza: ecco che come avviene per le ossa aride nella profezia di Ezechiele, un principio filosofico «si agitava e sollevava e liberava del suo sudario per divenire una presenza viva». Egli che aveva A sempre cercato di mantenersi libero da interferenze, di mantenere il proprio ideale entro lo spazio del «ragionevole», si trovò, improvvisamente al cospetto dell'Infinito.
«Tutto solo in quella stanza di Magdalen, avvertivo su di me, una notte dopo l'altra, ogni qualvolta la mia mente si distraeva anche un attimo dal lavoro, la ferma, inesorabile stretta di Colui che mi rifiutavo ostinatamente di conoscere. Ciò che avevo più temuto si era alla fine impadronito di me. Durante il trimestre della trinità del 1929 mi arresi, ammisi che Dio era Dio e mi inginocchiai per pregare: fui forse, quella sera, il con-vertito più disperato e riluttante d'Inghilterra. Allora non mi avvidi di quello che oggi è così chiaro e lampante: l'umiltà con cui Dio è pronto ad accogliere un convertito anche a queste condizioni».
La conversione per Lewis non fu dunque né immediata né facile perché ogni suo passo, «dall'assoluto» allo «spirito» e dallo «spirito» a «Dio», era stato un passo verso il più completo, il più imminente, il più costrittivo. A ogni passo si aveva meno possibilità di «chiamare propria la propria anima»... così fino all'ultimo: accettare l'Incarnazione, che se ci porta «più vicini a Dio, o vicini in modo diverso», non suscita per questo meno ribellione in chi sente di dover ormai rinunciare a se stesso per riconoscere un'altra persona come legge della propria esistenza.
Prosegui con l'opera di Lewis.

Nessun commento:

Posta un commento

Salve, donatemi un pò dei Vostri Pensieri: