Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

martedì 5 novembre 2013

Il Positivismo in Inghilterra

Da "http://culturanuova.net/filosofia/4.contemp/positivismo.inglese.php" :

Dall' Illuminismo al Positivismo

In Inghilterra tale passaggio fu più continuativo che altrove, come esemplifica la figura di Jeremy Bentham, nel quale si congiungono tali due indirizzi culturali.

Bentham (1748/1832)

Sostenne una concezione utilitaristica, secondo cui il criterio etico è fornito non da qualche assoluto (la legge morale, il fine ultimo, il Bene, il dovere) ma dalla utilità, ossia dalla ricerca del piacere e dalla fuga dal dolore. La felicità consiste esaurientemente nella presenza del piacere: Bentham perciò nega l'esistenza di una felicità spirituale (la si chiami beatitudine, se riferita all'eterno, o gioia, letizia, se riferita al presente).
La vita morale allora si riduce a un calcolo (quantitativo: una vera e propria aritmetica morale) dei piaceri: si tratta di calcolare ciò che ci assicurerà il massimo del piacere, non solo e non tanto immediato, però, con minimo del dolore (che potrebbe derivare dalle nostre scelte).
L'ideale politico allora è quello di assicurare il massimo della felicità (nel senso sopra visto) al maggior numero di individui: non esiste bene comune, né alcun assoluto etico-politico, esistono solo gli interessi, le utilità individuali.
Bentham sostenne anche idee molto vicine al Beccaria, come l'importanza della certezza della pena, piuttosto che la sua severità, e l'opportunità di restringere il più possibile l'uso della pena capitale. Fu anche fautore del suffragio femminile e di un certo egualitarismo (riguardo alla successione criticò l'idea di ereditarietà, proponendo consistenti imposte di successione), pur avanzando forti critiche alla Rivoluzione francese, per la sua impostazione totalizzante e il suo rifarsi a un diritto naturale (inesistente per Bentham).

Malthus

limitazione delle nascite

L'esperienza smentisce Malthus: si è visto che la limitazione della procreazione è effetto del benessere, mentre non si è mai visto un caso in cui essa ne fosse causa. Non si può chiedere ai poveri, per i quali i figli sono un aiuto economico, di limitare le nascite, mentre spontaneamente, quanto più si diffonde il benessere, diventando i figli un capitolo di spesa invece che di guadagno, si verifica una diminuzione del tasso di natalità.
Thomas Robert Malthus (1766/1834) è celebre per le sue teorie contro l'incremento demografico, da lui visto come causa di gravi mali. Nell'Essay on the Principles of Population, 1798 sostenne che mentre la popolazione tende a crescere con progressione di tipo geometrico, le risorse alimentari e in genere i mezzi di sussistenza crescono solo con una progressione di tipo aritmetico, più lenta e incapace di tenere il ritmo con la prima.
Ne consegue un crescente aumento della miseria, per l'incapacità delle risorse di fronteggiare i sempre maggiori fabbisogni della popolazione. Il modo migliore per affrontare tale problema allora non è quello di aiutare i poveri, incoraggiandoli così a procreare, ma dissuaderli dal fare (troppi) figli. La limitazione delle nascite dunque sarebbe la soluzione alla miseria.

David Ricardo (1772/1823)

Con Adam Smith è uno dei maggiori economisti “classici” inglesi. In lui affiora la convinzione, che poi sarebbe stata radicalizzata da Marx, che nella società capitalistica vi sia una inevitabile componente di conflitto.
Esso è presente anzitutto tra i fruitori di rendita fondiaria e le altre classi, in quanto i primi riescono, senza lavorare, a guadagnare sempre di più dal semplice possesso di una terra che l'aumento della popolazione rende più preziosa per assicurare l'approvvigionamento alimentare. Per questo Ricardo sostiene le ragioni della borghesia imprenditoriale contro i proprietari terrieri, la cui rendita andrebbe smantellata.
Ma un conflitto è presente anche tra la borghesia e i lavoratori: l'interesse degli uni, il massimo profitto, confligge con l'interesse degli altri, un aumento del salario.
Lo sguardo di Ricardo sulla società è così venato di (cauto) pessimismo.

James Mill (1773/1836)

Si rifece all'utilitarismo di Bentham, di cui fu segretario e collaboratore: la ragione per essere altruisti, atteggiamento indispensabile per la socialità, è l'egoismo, ci conviene infatti fare del bene agli altri, sperandone un ritorno.
A fondamento di tale utilitarismo Mill pose una gnoseologia associazionistica ed empirista: la base in cui si può risolvere tutta la conoscenza umana sono le sensazioni.

reazioni conservatrici

Possiamo ricordare le reazioni antiutilitaristiche e antiassociazionistiche di personaggi come Coleridge e Carlyle.
Samuel Taylor Coleridge (1772/1834), nel suo Constitution of Church and State, 1830, deplorò la crisi di valori che affligge la società moderna per colpa dell'Illuminismo e propose, per superarla, un ritorno ai valori cristiani, quali permeavano la vita nel Medioevo.
Thomas Carlyle (1795/1881), storico e filosofo della storia, nel suo On Heroes, Hero-Worship and Heroic in History, 1841, indicò nel meccanicismo e nell'utilitarismo dei mali della propria epoca, in contrapposizione ai quali esaltò la figura dell'eroe, come individuo eccezionale, portatore dei grandi valori dell'umanità e strumento della provvidenza che guida la storia.

John Stuart Mill

È con Spencer il maggiore esponente del positivismo inglese. Nato a Londra nel 1806 e morto ad Avignone nel 1873. Assimilò dal padre, John, e da Bentham un orientamento utilitaristico e liberal-radicale, anche se lo integrò in una propria concezione, più mitigata.
Si interessò attivamente di politica, nel partito liberale inglese, cercando di favorirvi la convergenza della classe media con i lavoratori salariati. Quando questo suo disegno si rivelò fallimentare, all'inizio degli anni '40, si dedicò interamente alla riflessione filosofica.

opere

  • System of Logic, 1843
  • Principles of political Economy, 1848
  • On Liberty, 1859
  • Considerations on Representative Government, 1861
  • Utilitarianism, 1861/3
  • Three Essays on Religion, postumo 1874

la conoscenza

connotazione/denotazione

Degna di nota è la distinzione tra termini denotativi e termini connotativi, tra denotazione e connotazione: denotativo è un termine che indica un oggetto, un individuo o una classe di individui, connotativo designa invece un termine che esprime una proprietà (una caratteristica secondaria, aggiuntiva); tutti i nomi propri sono denotativi, mentre gli aggettivi e i nomi comuni sono connotativi. La distinzione sarebbe poi stata ripresa da Frege.
Per Mill occorre evitare di scambiare una connotazione per una denotazione, ipostatizzando un aspetto astratto universale; le proprietà universali non hanno esistenza reale, questa è solo degli individui (e delle classi di individui).

la critica al sillogismo

Il sillogismo, che pretende di dedurre un particolare dall'universale, è criticato in quanto inutile e scorretto: in sé è inutile (tranne rare eccezioni) in quanto non aumenta la nostra conoscenza (il caso particolare è già contenuto in quello universale e lo fonda, anziché esserne fondato); scorretto, perché le sue premesse non sono mai davvero universali: non sappiamo che tutti gli uomini sono mortali, ma solo un certo numero.

l'induzione

È l'unica forma di ragionamento valido, una volta scartato il sillogismo deduttivo. Consiste nella generalizzazione di casi particolari, per cui dopo un certo numeri di osservazioni sugli individui di una classe si può supporre che proprietà che compaiono costantemente in loro appariranno in tutti gli individui di quella classe; essa si fonda sul principio di uniformità della natura, per cui essa appare come regolare e in qualche modo prevedibile. Siccome però tale principio è esso stesso ricavato per induzione si è parlato di un circolo vizioso nel pensiero di J.S.Mill.
Mill dettaglia poi quattro momenti del metodo induttivo: quello delle concordanze, quello delle differenze, delle variazioni concomitanti e quello dei residui. I primi tre sono in qualche modo una ripresa delle tabulae di Bacone.

il metodo delle scienze morali

È identico a quello delle scienze naturali. Le azioni umane infatti sono in gran parte prevedibili, e perciò indagabili scientificamente. S.Mill non nega che esista un certo margine di libertà negli esseri umani, che possono cercare di modificare il loro carattere, ma anche ciò egli ritiene avvenga in base a leggi scientificamente conoscibili.
Tuttavia nelle scienze morali, in particolare nell'etologia, non si può pretendere una assoluta unitarietà, che deduca tutto il comportamento umano da un unico tipo di causa; vi sono piuttosto molteplici tipi di causa, che devono essere pazientemente studiate.

etica

Il fine dell'agire umano è il piacere: in ciò Stuart Mill concorda con Bentham, negando l'esistenza di assoluti morali; tuttavia propone di distinguere piaceri inferiori e superiori, che devono essere anteposti ai primi. Il suo perciò non è un edonismo volgare, e il calcolo dei piaceri, da meramente quantitativo come era ancora in Bentham, diventa qualitativo.
Egli ritiene così di valorizzare il meglio della tradizione cristiana, accogliendo la massima di non fare agli altri ciò che non si vorrebbe fosse fatto a sé. In effetti, nei citati Saggi sulla religione, che uscirono postumi, egli ritiene che l'esistenza di Dio, pur non rigorosamente dimostrabile, sia una convinzione utile per la moralità.

politica

Centrale, nella proposta di S.Mill è l'individuo e la sua libertà, come egli sottolinea in On Liberty; essa si articola in tre fondamentali significati:
  • libertà di pensiero, coscienza e parola,
  • libertà dei gusti (relativa al modo di cercare la felicità),
  • libertà di associazione.
L'unica limitazione alla libertà del singolo è quella di evitare di danneggiare gli altri.
Il liberalismo di Mill si accompagnò a una certa dimensione egualitaria. Pur difendendo la proprietà privata, infatti ritenne giusto muoversi nel senso di una più equa distribuzione della ricchezza. Sostenne in effetti che mentre le leggi della produzione dei beni siano immutabili, quelle della loro distribuzione, divergendo in ciò da Malthus, possano essere modificate, e lo possano appunto nel senso di una maggiore giustizia. In concreto tale modifica migliorativa sarebbe dovuta passare non, ovviamente, attraverso una rivoluzione, ma con una collaborazione tra le classi, ispirata al principio utilitaristico della massima felicità per il massimo numero di individui, nella convinzione della convenienza (egoistica) di una certa componente di altruismo.
In ambito istituzionale Mill propugnò una democrazia rappresentativa, in cui il voto fosse esteso anche alle donne e in cui le minoranze fossero tutelate; il che non gli impedì di ritenere giusto che gli elettori più significativi, per istruzione o per censo, godessero di un maggior peso nei criteri di rappresentanza.

l'evoluzionismo e Spencer

L'altro grande filosofo positivista inglese, Spencer, richiede di essere collocato all'interno del nascente pensiero evoluzionistico, di cui perciò dobbiamo accennare.
Per moltissimo tempo il pensiero aveva creduto all'immutabilità delle specie viventi (fissismo): lo esprime bene la celebre frase di Linneo: species tot numeramus quae in principio creavit infinitum ens.
Nel '700 affiorano invece idee evoluzionistiche, con Mapertuis e con Buffon. Ma il primo a dare forma compiuta all'evoluzionismo fu Lamarck.
Jean-Baptiste Monet de Lamarck (1744/1829) sostenne nella Philosophie zoologique, 1809, che le specie non sono fisse ma evolvono, per adattamento a variazioni ambientali: gli organi si modificano nell'individuo, appunto per meglio adattarsi all'ambiente ed essendo la trasformazione migliorativa essa viene trasmessa ereditariamente.
Contro le teorie di Lamarck sorse però la teoria catastrofista di Georges Cuvier (1769/1832), il quale non contestava che fossero comparse, dall'origine della terra, nuove specie viventi e altre se ne fossero estinte, ma riteneva che ciò fosse avvenuto in modo non evolutivo, bensì come scomparsa di alcune specie e nascita, ex novo, di altre. Tale sua convinzione era motivata dalla supposta presenza appunto di catastrofi geologiche che avrebbero interrotto una possibile evoluzione graduale.
Alle tesi di Cuvier si contrapposero, difendendo l'evoluzionismo, il biologo Étienne Geoffroy Saint-Hilaire (1772/1844) e il geologo Charles Lyell (1797/1875); quest'ultimo sostenne, contro il catastrofismo di Cuvier, una concezione uniformitarista, che vedeva, nell'evoluzione della superficie terreste un prevalere della continuità sulla discontinuità.

Darwin

Un apporto decisivo all'evoluzionismo venne dato, com'è noto, da Charles Darwin (1809/82). Egli si convinse della verità dell'evoluzionismo grazie alle osservazioni che potè compiere nel suo giro del mondo sul veliero Beagle, dal '31 al '36. La spiegazione che diede di tale fenomeno si scosta da quella di Lamarck nei seguenti punti:
  • la comparsa di nuovi tratti negli organi di un vivente non è dettata (finalisticamente) dal bisogno di adattamento all'ambiente, ma è casuale;
  • la sua trasmissione alle generazioni successive avviene mediante la selezione naturale, concetto legato a quello di lotta per la vita.
Si può perciò dire che le tesi di Darwin, pur essendo formulate come tesi scientifiche, segnano, dal punto di vista filosofico, un allontanamento dalla concezione religiosa: il concetto di caso, di comparsa casuale di nuove caratteristiche mal si concilia col finalismo che accompagna una visione religiosa, così come l'idea di una lotta senza quartiere tra i viventi introduce un fattore di disarmonia mal conciliabile con i valori di ordine e unità del reale.
La incompatibilità delle teorie darwiniane con la religione raggiunse il culmine quando egli applicò l'evoluzionismo anche all'uomo, la cui origine era collocata in uno sviluppo delle scimmie antropomorfe. Vi furono reazioni negative da parte degli ambienti ecclesiastci, ma lo stesso Darwin perdette la fede, ritenendola inconciliabile con le sue tesi.
Convinto della conciliabilità dell'evoluzionismo con la religione fu invece il filosofo Herbert Spencer (così come lo sarebbe stato, un secolo più tardi, Pierre Teilhard de Chardin).

Spencer (1820/1903)

Herbert Spencer accolse l'evoluzionismo facendone un principio generale di spiegazione di tutta la realtà, senza contrapporlo però alla religione.

l'Inconoscibile

Tra scienza e religione per Spencer, a differenza di molti altri positivisti, vi è compatibilità, hanno infatti due oggetti diversi: la scienza si occupa del conoscibile, la religione si riferisce invece all'Inconoscibile.
Tutto ciò che è conoscibile, lo è scientificamente, l'Assoluto invece è inconoscibile, ed è oggetto di fede religiosa (che viene così privata del carattere di vera conoscenza). Trattandosi di due sfere che non si intersecano l'ambito della scienza e quello della religione non hanno contatti, né possono venire a contrasto. Per quanto la scienza avanzi essa non sottrarrà mai terreno alla religione, non potrà spiegare ciò a cui si riferisce la religione, perché questo ambito le è sottratto, non è soltanto sconosciuto, ma appunto inconoscibile.
Si è visto nell'Inconoscibile spenceriano una ripresa del concetto kantiano di noumeno, e in parte è così (per espressa ammissione dello stesso Spencer); tuttavia il noumeno kantiano, che si estende non solo all'Assoluto ma anche al mondo e all'anima umana, ha qualche legame col fenomeno, mentre tra conoscibile e Inconoscibile vi è un solco profondo di alterità.

scienze e filosofia

In piena sintonia col positivismo Spencer nega alla filosofia un accesso diretto alla realtà: suo oggetto non è la realtà, ma i risultati delle scienze; la filosofia è riflessione sui dati scientifici; se le scienze sono una parziale unificazione dell'esperienza, mediante una certa unificazione del dato, la filosofia è completa unificazione dell'esperienza, mediante l'unificazione, la massima generalizzazione dei risultati scientifici, di cui essa è sintesi.

l'evoluzione

La legge suprema della realtà, quale risulta dalle scienze è proprio l'evoluzione. Essa infatti non riguarda solo le specie viventi, come pensava Darwin, ma tutta la realtà, quella cosmica, che precede la comparsa della vita, e quella storica, che la segue.
E l'evoluzione ha tre caratteristiche generali: è passaggio
  • dall'omogeneo all'eterogeneo,
  • dall'indeterminato al determinato,
  • dall'incoerente al coerente.
Ad esempio il cosmo si è evoluto da una nebulosa primitiva, omogenea e indeterminata a una serie di sistemi stellari eterogenei e determinati e al contempo più coerenti, perché ogni parte è funzionale ad ogni altra parte, la differenziazione cioè non crea caos e disunione, ma al contrario vede un aumento dell'organizzazione, in cui ogni parte è funzionale al tutto.
Analogamente gli organismi viventi sono partiti da strutture molto semplici e indifferenziate, e si sono sempre più complessificati, al tempo stesso meglio organizzandosi internamente.
Da notare che l'evoluzione non va intesa come esplicitazione di qualcosa di già contenuto negli antecedenti, ma come comparsa di qualcosa di nuovo.

la conoscenza

L'uomo si evolve e nel suo cammino evolutivo acquisisce nuove conoscenze, che si trasmettono poi ereditariamente alle nuove generazioni: così Spencer rivisita un altro concetto kantiano, quello di a-priori. Esistono sì degli a-priori, ma solo per l'individuo, che nasce ricco delle acquisizioni fatte dalle generazioni che lo hanno preceduto; ciò che è a-priori per l'individuo è a-posteriori per la specie.

etica

La felicità è il piacere che si prova nel completo adattamento al proprio ambiente. Per conseguire tale fine l'uomo deve seguire i principi etici innati nella sua coscienza, che gli sono trasmessi dalla specie per ottenere il migliore adattamento possibile. La storia in effetti vede un progressivo sviluppo morale, espressione dell'evoluzione. Al suo culmine tale progresso comporterà una inclinazione spontanea a quei comportamenti che meglio favoriscono l'adattamento all'ambiente.

politica

La società evolve, progredendo. Si verifica, in particolare un passaggio da un tipo di società militare alla società industriale (in pratica, dal feudalesimo al capitalismo). In questo passaggio si attua, come in ogni fase dell'evoluzione, un aumento della differenziazione e della coerenza.
Decisivo, per il liberalismo di Spencer, è l'individuo e la sua libertà, che non deve essere sopraffatta dallo Stato, che deve limitare al massimo le sue prerogative.

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