Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

mercoledì 6 novembre 2013

Antologia di Testi connessi alla "Quinta passeggiata" di Rousseau

Perdonate gli errori presenti, ma il brano sulla pagina Internet è purtroppo così.
Credo che, per gli appassionati e curiosi, il pensiero di JJR venga comunque fuori.
LexMat

Da "http://www.ilgiardinodeipensieri.eu/storiafil/estratti.htm":

La festa campestre
Da Jean-Jacques Rousseau, Emilio, in Opere I, Sansoni, Firenze 1972, pp. 608-611

Le convenienze, le mode, gli usi che derivano dal lusso e dall'eleganza, rinchiudono il corso della vita nella più seccante uniformità. Il piacere che si vuole avere agli occhi degli altri è perduto per tutti: non si ha né per essi né per sé. Il ridicolo, che l'opinione teme su ogni cosa, è sempre al suo fianco per tiranneggiarla e per punirla. Non si è mai ridicoli se non per via di forme
determinate: colui che sa variare le sue situazioni e i suoi piaceri cancella oggi l'impressione di ieri: è come nullo nello spirito degli uomini; ma egli gode, poiché è tutto intero in ogni ora e in ogni cosa. La mia sola forma costante sarebbe quella, in ogni situazione non mi occuperei di alcun'altra, e prenderei ogni giorno per se stesso, come indipendente dalla vigilia e dall'indomani.
Siccome sarei popolo col popolo, sarei campagnolo tra i campi; e allorché parlassi di agricoltura, il contadino non si burlerebbe di me. Non andrei a farmi costruire una città in campagna, e
a mettere in fondo ad una provincia le Tuileries davanti al mio appartamento. Sul pendio di qualche amena collina bene ombreggiata avrei una piccola casa rustica, una casa bianca con gli sportelli esterni verdi; e sebbene una copertura di stoppia sia, in ogni stagione, la migliore, preferirei magnificamente, non la triste ardesia, ma l'embrice avendo essa l'aspetto più pulito e più
festoso della stoppia, perché non si coprono altrimenti le case nel mio paese e perché questo mi ricorderebbe un poco il tempo felice della mia giovinezza.
Avrei per cortile un pollaio, e per scuderia una stalla con delle mucche, per avere i latticini che mi piacciono molto.
Avrei un orto per giardino, e per parco un bel frutteto simile a quello di cui parlerò fra poco. I frutti, a discrezione dei passeggiatori, non sarebbero né con tati né raccolti dal mio giardiniere; e la mia avara magnificenza non spiegherebbe davanti agli occhi delle spalliere superbe che si osasse appena toccare Ora, questa piccola prodigalità sarebbe poco costosa, poiché io avrei scelto il mio asilo in qualche provincia lontana ove si vedesse poco danaro e molte derrate, e ove regnassero l'abbondanza e la povertà.
Là, adunerei una compagnia, più eletta che numerosa, di amici amanti del piacere e che se ne intendessero, di donne che potessero levarsi dalla loro poltrona e consentire ai giuochi campestri prendere talvolta, invece della spola e delle carte, la lenza, le paniuzze, il rastrello delle seccatrici di fieno, e il paniere delle vendemmiatrici. Colà, tutte le arie della città sarebbero dimenticate, e! diventati campagnuoli nel villaggio, Ci troveremmo in balìa di una quantità di divertimenti diversi, i quali non ci darebbero, ogni sera, che l'imbarazzo della scelta per l'indomani. L'esercizio e la vita attiva ci formerebbero un nuovo stomaco e ci darebbero nuovi gusti. Tutti i nostri pasti sarebbero dei banchetti, in cui l'abbondanza piacerebbe più della delicatezza La festosità, i lavori rustici, i pazzi giuochi sono i primi cuochi del mondo, e i delicati intingoli sono molto ridicoli per gente in esercizio fin dalla levata del sole. Il servizio non avrebbe più ordine che eleganza; la sala da pranzo sarebbe dappertutto, nel giardino, in una barca, sotto un albero; talvolta lontano, vicino ad una sorgente viva, sull'erba verdeggiante e fresca, sotto macchie di ontani e di noccioli; una lunga processione di allegri convitati porterebbe cantando l'occorrente per il festino; si avrebbe la tenera erbetta per tavola e per sedia; gli orli della fonte servirebbero da credenza, e le frutta penderebbero dagli alberi, le vivande sarebbero servlte senza ordine, I'appetito dispenserebbe dalle cerimonie; ognuno, preferendosi apertamente ad ogni altro, troverebbe giusto che ogni altro si preferisse parimente a lui: da questa farniliarità cordiale e moderata nascerebbe, senza grossolanità, senza falsità, senza soggezione, un conflitto faceto cento volte più grazioso della gentilezza e meglio adatto per avvincere i cuori. Nessun cameriere importuno che spiasse i nostri discorsi, che criticasse a bassa voce il nostro contegno, che contasse i nostri bocconi con occhio avido, che si divertisse a farci aspettare da bere e mormorasse contro il desinare troppo lungo. Noi saremmo i nostri servi per essere padroni di nol; ciascuno sarebbe servito da tutti; il tempo passerebbe senza contarlo; il pasto sarebbe il riposo, e durerebbe quanto l'ardore del giorno Se passasse accanto a noi qualche contadino ritornante a] lavoro, con i suoi arnesi sulle spalle, gli rallegrerei il cuore con qualche buon discorso e con qualche bicchiere di vina eccellente, che gli farebbero sopportare più allegramente la sua miseria: ed ic avrei pure il piacere di sentirmi com muovere un po' i visceri e di dire se gretamente fra me: " Sono ancora uo mo "
Se qualche festa campeste riunisse gli abitanti del luogo, io vi interverrei frx i primi con i miei amici, se qualche ma trimonio, più benedetto dal cielo d quelli delle città, si facesse nel mio vi cinato, si saprebbe che mi piace a stare allegro e vi sarei invitato. Porterei E quella buona gente alcuni doni sempli ci come le persone che contribuirebbers alla festa; e vi troverei in cambio de beni d'un valore inestimabile, dei ben così poco conosciuti dai miei eguali: 1. franchezza e il vero piacere. Cenerei al legramente in fondo alla loro lunga ta vola; farei coro al ritornello di una vec chia canzone rustica, e danzerei nel loro granaio più volentieri che al ballo de l'Opéra.
Fin qui tutto va a meraviglia, mi dirà, ma la caccia? Si può stare in can pagna e non andare a caccia? Intende non volevo che una fattoria, ed ave~ torto. Mi suppongo ricco, mi occorror dei piaceri esclusivi, dei piaceri distru tivi: è un'altra faccenda codesta. Mi al bisognano terre, boschi, guardie, cànor onori da padrone, soprattutto incenso acqua benedetta.

Benissimo. Ma questa terra avrà d vicini gelosi dei loro diritti e desid rosi di usurpare quelli degli altri; le n stre guardie si accapiglieranno, e for anche i padroni: ecco alterchi, querel odi, processi, a dir poco; e ciò non molto piacevole. I miei vassalli non v dranno con piacere sciupare i loro fr menti dalle mie lepri, e le loro fave d miei cinghiali; ognuno, non osando u cidere il nemico che distrugge il s lavoro, vorrà almeno scacciarlo dal sl campo: dopo aver passato il giorno a I vorare le loro terre, bisognerà che px sino la notte a custodirle; avranno d mastini, dei tamburi, delle trombet dei campanelli: con tutto questo f casso turberanno il mio sonno. Pense mio malgrado alla miseria di questa p vera gente, e non potrò fare a mel di rimproverarmene. Se avessi l'ono di essere principe, tutto ciò non ] commuoverebbe affatto; ma io, nuo arrivato, nuovo arricchito, avrò il cuo ancora un po' plebeo.

E non è tutto; I'abbondanza de selvaggina tenterà i cacciatori; avrò b presto dei cacciatori di frodo da pUI re; mi occorreranno prigioni, carcerie birri, galere: tutto questo mi pare abE stanza crudele. Le mogli di quei disg ziati verranno ad assediare la mia pol e ad importunarmi con le loro grida; c pure bisognerà che le faccia scacciar v maltrattare. I poveretti che non avran cacciato di frodo, e che avranno avt il loro raccolto devastato dalla mia s vaggina, verranno a lamentarsi da p te loro: gli uni saranno puniti per a re uccisa la selvaggina, gli altri saran rovinati per averla risparmiata: qu; triste alternativa ! Non vedrò, da ogni parte, che oggetti di miseria, non sentirò che gemiti: ciò deve turbare molto, mi sembra, il piacere di massacrare a belI'agio quantità di pernici e di lepri quasi sotto i propri piedi.
Volete sbarazzare i piaceri dalle loro pene? Fate che non siano esclusivi: quanto più li lascerete comuni agli uomini, tanto più li gusterete sempre puri. Io non farò dunque tutto quello che ho detto testé; ma, senza cambiar gusti seguirò quello che presuppongo di minore spesa. Stabilirò il mio soggiorno campestre in un paese in cui la caccia sia libera a tutti, e nel quale ne possa avere il divertimento senza impicci. La selvaggina sarà più rara; ma vi sarà più abilità a scovarla e più piacere a colpirla. Mi ricorderò dei palpiti che provava mio padre al volo della prima pernice e dell'entusiasmo col quale trovava la lepre che aveva inseguita per tutto il giorno. Sì, affermo che, solo col suo cane, munito del fucile, del suo piccolo carniere, della sua fiaschetta per la polvere, della sua piccola preda, egli ritórnava la sera, spossato dalla fatica e straziato dai rovi, più contento della sua giornata di tutti i vostri cacciatori da viottoli, i quali, su di un buon cavallo, seguiti da venti fucili carichi, non fanno che cambiar l'arma, tirare e uccidere intorno a loro, senza arte, senza gloria e quasi senza esercizio. Il piacere non è dunque minore e l'inconveniente è tolto quando non si ha né terra da custodire né bracconieri da punire, né infelici da tormentare: ecco dunque una solida ragione di preferenza. Checché si faccia, non si molestano inutilmente gli uomini senza che se ne riceva qualche malessere; e le lunghe maledizioni del popolo rendono presto o tardi la selvaggina amara.
Ancora una volta, i piaceri esclusivi sono la morte del piacere. I veri divertimenti sono quelli che si dividono col popolo; quelli che si vogliono avere per sé soli, non si hanno più. Se i muri che innalzo intorno al mio parco me ne fanno una triste chiusura, non ho fatto, con molta spesa, che privarmi del picere della passeggiata; eccomi forzat, ad andare a cercarla lontano. Il demon, della proprietà infetta tutto ciò che toc ca. Un ricco vuole essere dappertutto i padrone, e non si trova bene se nol dove non lo è: è costretto a fuggire sem pre. Ctuanto a me farò, a questo riguar do, nella mia ricchezza, quello che hz fatto nella mia povertà. Più ricco or del bene altrui di quello che non sarc mai del mio, m'impadronisco di tutts ciò che mi conviene nel mio vicinato non c'è conquistatore più risoluto d me; usurpo sugli stessi principi- accet to facilmente senza distinzione tutti terreni aperti che mi piacciono- dò lorc dei nomi; fo dell'uno il mio parco, del l'altro la mia terrazza, ed eccomene pa drone; fin d'allora vi passeggio impu nemente; Vi ritorno spesso per mante nere il possesso; consumo quanto mi pare il suolo a forza di camminarvi so pra; e non mi si persuaderà mai che i] titolare del fondo del quale mi appro prio tragga maggior profitto dal danarc che gli produce di quello ch'io ne ritrag ga dal suo terreno. Se poi mi si viene ad importunare per via dei fossi e delle siepi, poco m'importa; prendo il mio parco sulle spalle e vado a posarlo altrove; le aree non mancano nei dintorni, ed avrd lungo tempo da saccheggiare i miei vicini prima di mancar di asilo.
Ecco qualche saggio del vero gusto nella scelta degli ozi gradevoli; ecco in quale spirito si gode: tutto il resto non ! che illusione, sciocca vanità. Chiunaue si allontanerà da queste regole, per auanto ricco possa essere, finirà col rilursi all'estrema miseria, e non conocerà mai il valore della vita.
Mi si obietterà, senza dubbio, che ;iffatti divertimenti sono a portata di utti gli uomini, e che non c'è bisogno li essere ricchi per gustarli. A cia preisamente io volevo arrivare. Si ha del miacere quando se ne vuole avere: è 'opinione sola che rende tutto difficile he scaccia la felicità davanti a noi- ed cento volte più facile essere felici che embrarlo. L'uomo di gusto e veramente roluttuoso non sa che farsene della richezza, gli basta essere libero e padrone di sé. Chiunque gode la salute e non manca del necessario, se strappa suo cuore i beni dell'opinione, è abba stanza ricco: è l 'aurea med iocritas Orazio. Uomini danarosi, cercate dun que qualche altro impiego per la vostra opulenza, poiché, per il piacere t questa non è buona a nulla. Emilio nol saprà tutto ciò meglio di me; ma, avendo il cuore più puro e più sano, lo sen tirà ancora meglio, e tutte le sue osset vazioni nel mondo non faranno che con fermarglielo. t Passando il tempo in tal modo, na cerchiamo sempre Sofia, e non la trc viamo. Era necessario che ella non s trovasse così presto, e noi l'abbiamo in fatti cercata ove io ero ben sicuro ch'ellf non fosse *.
Infine il momento incalza: è temp di cercarla per davvero, per paura ch'eg] se ne faccia una che prenda per lei, conosca troppo tardi il suo errore. Ac dio dunque, Parigi, città celebre, citt
; di rumore, di fumo e di fango, nell quale le donne non credono più all'one re, né gli uomini alla virtù. Addio, Par gi. noi cerchiamo l'amore, la feliciti I'innocenza; non saremo mai abbasta nntano da te.

La danza nella piazza di Saint -Gervais
Da Jean-Jacques Rousseau, Lettera a D'Alembert, in Opere I, Sansoni, Firenze 1972, pp. 274

Ricordo di essere stato colpito nella mi infanzia da uno spettacolo abbastanza semplie e la cui impressione tuttavia è sempre rimast viva in me non ostante il tempo e il mut; mento intervenuto nei miei interessi. Il regg: mento di Saint-Gervais < aveva fatto le manc vre, e s"ondo le usanze, i cittadini avevan cenato in gruppi. La maggior parte di quell che componevano il reggimento si riunirono dc po cena nella piazza di Saint-Gervais e si mi sero a danzare tutti insieme, ufficiali e soldati intorno alla fontana sulla Ni vasca erano sa liti i tamburini, i pifferi e quelli che portava no le torce. Una danza di gente resa allegru da una cena abbondante non sembrerebbe do ver presentare nulla di interessante; tuttavia l'in sieme di cinque o seicento uomini che si ten gono tutti per mano e che formano una lungs fila che ondeggia seguendo il tempo, ordinata mente, con mille movimenti e giravolte, mille tlpi di evoluzioni, la scelta delle musiche che le animavano, il rumore dei tamburi, la luoe delle fiaccole, una certa aria militaresca unita al divertimento, tutte queste cose formavano una sensazione fortissima che riscaldava il sangue. Era tardi e le donne dormivano, ma si alzarono tutte. Subito le finestre si riempirono di spettatrici che davano un nuovo impulso agli attori; ma esse non rimasero a lungo alla finestra, vennero in piazza: le mogli venivano a vedere i propri mariti mentre le serve portavano il vino; anche i bambini, svegliati dal fracasso, vennero mezzo spogliati fra i padri e le madri. La danza venne sospesa e fu tutto un abbracciarsi, un ridere, un salutarsi, un farsi festa. Tutto ciò provocò una grande commozione che non sarei capace di descrivere, ma che risultò abbastanza naturale nella generale allegria, trovandosi tutti in mezzo a ciò che era loro caro. Mio padre, abbracciandomi, fu preso da una emozione che io credo di saper condividere anche oggi, e mi disse: " Jean-Jacques, ama il tuo paese; guarda questi buoni Ginevrini, sono tutti amici, tutti fratili, la felicità e la concordia regnano tra di loro. Tu sei Ginevrino, un giorno vedrai altri popoli, ma quando avral viaggiato come tuo padre ti accorgerai che non esiste nessuno che sia uguale a loro ". Si cercò di ricominciare la danza ma non fu possibile: nessuno sapeva più que; che faceva, tutti erano in preda a un'ebrezza più dolce di quella del vino. Dopo essere rimasti ancora a ridere e chiacchierare sulla piazza, bisognò separarsi, e ciasNno tornò alla propria casa insieme ai familiari; ecco come queste donne, graziose e prudenti al tempo stesso, riportarono a casa i mariti, non turbandone il divertimento, ma condividendolo. Capivo perché questo spettacolo, che tanto mi commosse, possa essere privo di attrattive per molti altri: occorrono occhi fatti per vederlo, un NOre fatto per sentirlo No, l'unica gioia pura è quella pubblica, e i veri sentimenti naturali hanno imperio solo sul popolo. Ah! dignità, figlia dell'orgoglio e madre della noia quando mai i tuoi tristi schiavi hanno conosciuto momenti simili durante la loro vita?

Eleusi
Jacques D'Hondt, Hegel segreto, Guerini e Associati, Milano 1989, pp. 260-265

Questo ideale di vita e di pensiero proposto da Hegel è il frutto di tutta la sua giovinezza, un frutto lungamente matura to. Hegel desidera senza dubbio svelare al suo amico l'afErescc di un awenire. Lo storico, ritrovando questi progetti, vi sco pre il bilancio di un passato. Nelle proclamazioni, nelle indi gnazioni, nelle esaltazioni del giovane filosofo, quasi tutto ri guarda la vita temporale dello spirito, risale alle fonti, si risol ve in storia. Non vi è nulla di legittimamente separabile da] luogo, dal tempo, dalla vita spirituale universale di quell'epo ca e dalla sua vita materiale, cosi come dalla vita di quest'uo mo. Egli stesso lo sente, e determina subito la sua collocazione delineando cosi un intero mondo. La poesia si apre con l'indi cazione di una data e di un nome, con la descrizione di un pae saggio.

Eleusi A Holderlin. Agosto 1796
Attorno a me, in me, abita la pace. Degli uomini indaffarati
dormon le cure incessanti, lasciandomi libertà
ed ozio. Io ti ringrazio
o notte, o mia liberatrice! Con un velo di bianchi vapori
la Luna avvolge gli incerti contorni
delle lontane colline e amichevolmente viene verso di me scintillante
la striscia luminosa del lago.
Dei rumori fastidiosi del giorno s'allontana il ricordo
come se anni lo separassero dal momento presente.

Questo inizio della poesia, queste parole, questo tono, que sti pensieri, disegnano e definiscono uno stato d'animo. E non basta, a comprenderlo, visitare Tschugg? Fin dall'ingresso del la casa degli Steiger si scorgono infatti i poggi, i colli, e ci si immagina facilmente la nebbia notturna che verrà a offuscarne i contorni.
Ma quelle stesse colline, quelle vallette dolcemente adagiate, quelle foschie, le ha cantate un altro prima di Hegel. Quel lago che si profila in tutta la sua estensione dietro il colle di Jolimont, è il lago di Jean Jacques Rousseau, il lago di Bienne! Persino dalla camera ove scrive, Hegel può scorgere la punta estrema dell'isola di Saint-Pierre! Qui è vissuto il Passeggiatore solitario, qui è stato felice: ma ne è stato ben presto scacciato. Tutta la Svizzera conosce questo ginevrino che l'ha o scandalizzata o affascinata. Non è stato forse maestro di musica, in gioventù, proprio nei pressi d'Erlach, dapprima a Losanna, poi a Neuchatel, prima di andare a cercar fortuna e gloria in Francia? Ma ha dovuto lasciare anche quest'ultimo paese, dove il boia dava alle fiamme il suo Contrat social, ed è ritornato nella sua nativa Svizzera, cercando subito rifugio nella parte estrema del lago di Neuchatel, cui la casa degli Steiger volge le spalle, a Yverdon, a una quarantina di chilometri da Tschugg.
Rifugio precario! Egli è dovuto fuggire di nuovo, fino a Motiers, nella valle di Travers. Là, i contadini infuriati hanno mandato in frantumi i vetri della sua casa. Nuova partenza. Do po aver attraversato, di rifugio in rifugio, tutta la regione, Rousseau venne questa volta a stabilirsi nell'isola di Saint-Pierre, come dire sotto gli occhi degli abitanti di Tschugg. Egli non vi trovò la pace che sperava. I governanti di Berna, sovrani dell'isola di Saint-Pierre, non hanno tollerato che il reprobo si stabilisse in quel luogo deserto e lo hanno fatto sloggiare. :A allora che egli, su invito di Hume, ha preso la via per l'Inghilterra.
Trent'anni sono trascorsi dal soggiorno di Rousseau nell'isola di Saint-Pierre, ma nel momento in cui Hegel scrive Eleusi il ricordo del grande perseguitato è vivo in quell'angolo della Svizzera. L'isola e il lago sono diventati luoghi di pellegrinaggio dove afRuiscono gli innumerevoli ammiratori di Rousseau. In un fragile battello - il cui uso rawiva ancora in loro il ricordo del maestro - essi raggiungono l'isola 5 per visitare S la casa in cui egli era stato amichevolmente accolto, la camera in cui aveva abitato, le spiagge dove aveva sognato; ma anche t per ritrovare quella quiete, quella libertà nella natura, quel sit lenzio, quelle passeggiate, spesso notturne, che l'avevano incantato.
Hegel, precoce ammiratore di Rousseau, gli ha sempre ser0 bato il suo affetto. Molto più tardi, quasi alla fine della sua vita, nel 1827, approfitterà del suo soggiorno a Parigi per compiere, dopo tanti altri a lui noti e come tanti altri da lui amati, il pellegrinaggio a Montmorency ó. Ancora giovane, come avrebbe potuto, abitando a Tschugg, resistere alla tentazione di visl are anche lui la vicinissima isola di Saint-Pierre, proprio dove Rousseau aveva per un istante sognato di finire i suoi giorni?
Quando scrive Eleusi, scorgendo nella notte il lago di Bienne, non può fare a meno di pensare a Rousseau. E tanto meno lo può, in quanto si rivolge a Holderlin, che per Rousseau nutriva un auten iso--culto 7. In questa devozione, Holderlin nonsi distingueva affatto d~FMtri gsóva~n_ spiri~ que~.Staudlin, amico di H&derlin e di Hegel, era andato ugualmente a raccogliersi in mec i_zione sulla tomba e i . tousseau. Nell~o Stift dt Tubinga, " circolavano trenta`esempLari d Rousseau ,?! ^ Hegel aveva già letto a Stoccarda, durante i suoi anni di collegio, la maggior parte delle opere di Jean Jacques, e poteva facilmente ravvivare il ricordo che ne aveva serbato, giacché le ritrovava bene in vista nella biblioteca del suo " Principale ", il capitano Steiger: sia il Discours sur l'inégalité, la Julie e l'ltmile, che le Lettres de la Montagne e il Contrat social; ma anche le Confessions, al pari delle Reveries du promeneur solitaire, nell'edizione apparsa a Losanna nel 1782.
Non deve dunque sorprendere che Hegel, all'inizio di Eleusi, si abbandoni per un istante ai pensieri di un sognatore solitario e lasci vagabondare il suo spirito nella natura t°. Quella solitudine e quella tranquillità che la lontananza spaziale suscitava in Rousseau, egli le riceve grazie alla lontananza temporale, grazie all'ora tarda che fa abbandonare gli altri uomini nel sonno.
Pace e silenzio, Rousseau li aveva trovati sulle rive del lago di Bienne.
Questo paese - scrive egli - interessa ai contemplativi solitari, i quali amano inebriarsi a loro agio degli incanti della natura, raccogliersi in un silenzio che non turba altra voce se non il grido delle aquile, il gorgheggio interrotto di qualche uccello o lo scroscio dei torrenti che precipitano dalla montagna ll
Qui è cominciato il destino di un'espressione famosa: " Le rive del lago di Bienne sono più selvagge e romantiche di quelle del lago di Ginevra... " Non si ritrovano forse, nei primi versi di Eleusi - presentati, è vero, in modo piuttosto asciutto -, tutti i temi cari al nascente romanticismo? La solitudine, la natura, il silenzio, il disgusto per la società, la notte, la nebbia, la luna, il lago, il ricordo nostalgico! Hegel può confrontarli, nella sua mente, con le analoghe immagini foggiate da Goethe nel suo Werther e da Holderlin nel suo Hyperion.
:E romantico il prodamato disgusto per i rapporti umanil Rousseau, rompendo con gli uomini, si propone nella Prima passeggiata di cercare soltanto in se stesso " la consolazione, la speranza e la pace ". Alla spiacevole compagnia degli uomini, la cui attività egli mostra di disprezzare, Hegel oppone un fiducioso scampo nella natura. In alcuni di quei versi possiamo scoprire tanto più sicuramente l'infiuenza diretta di Rousseau, in quanto essi esprimono un atteggiamento che in Hegel non fu né molto spontaneo, né molto profondo, né troppo duraturo. Un siffatto atteggiamento viene suggerito soltanto dalle circostanze accidentali, dalla quasi-presenza di Jean Jacques in quei luoghi. Non è in questo campo dle Hegel segue Rousseau più volentieri. Egli, in fondo, non ama né l'isolamento né la semplice natura. Holderlin, il quale da parte sua prova molto di più il bisogno di silenzio e di solitudine, gli scrive non a caso nel 1794: " Tu ami molto essere circondato dal rumore " '3.
Più tardi, in una lettara a Nanette Endel, Hegel riconoscerà dle gli è costato molto il dover rinunciare alla vita cittadina per risiedere in campagna. i! certamente pensando a Tsdhugg che egli le confiderà:
"Devo confessare che ho avuto bisogno di un certo tempo prima di potermi purificare un po' dalle scorie che la società, la vita cittadina, la smania di distrazione che ne deriva introducono in noi, prima di potermi purificare dal desiderio di queste cose, che si manifesta con la noia. E il ricordo di quei giorni vissuti in campagna mi spinge ora a uscire sempre da Francoforte; e come là, in braccio alla natura, mi riconciliavo sempre con me stesso e con gli uomini, così qui spesso mi rifugio presso questa madre fedele, al fine di separarmi, vicino ad essa, nuovamente dagli uomini con i quali vivo in pace, di preservarmi sotto la sua egida dalla loro influenza e di impeWirmi di stringere un'alleanza con loro".
In un'altra lettera egli dichiarerà che invidia Nanette Endel perché ha la fortuna di vivere piacevolmente in campagna: ma non è piuttosto per consolarla del suo esilio e di un modo di vita che egli considera spiacevole?

Il cerchio magico dell'io
Peter Quennell, La ricerca della felicità, Il Mulino, Bologna 1992, pp. 39-44

Anche la felicità era un tema sul quale Rousseau e Johnson dissentivano inevitabilmente. Per Johnson, era un ~ no passeggero; per Rousseau, un diritto umano naturaleJAnche se guardò sempre agli anni passati con madame de Warens come alla sua "terra della felicità perduta"—avrebbe voluto erigere una grata d'oro intorno al luogo in cui l'aveva conosciuta5—e, due anni dopo le visite di Boswell, dichiarò che tutta la sua vita di adulto non era stata altro che un intreccio di "preoccupazioni, angoscia e dolore", non abbandonò mai la ricerca della felicità, e alla fine, nel 1765, proprio quando le sue sofferenze si acuirono, su un'isoletta in mezzo alle montagne svizzere sentì di aver raggiunto il suo scopo senza possibilità di dubbio. Tuttavia cominciò a parlare di quella conquista memorabile solo undici anni dopo; si era ormai ritirato a Parigi, dove il suo ultimo discepolo, Bernardin de Saint-Pierre, futuro autore del bizzarro romanzo tropicale Paul et Virginie, che all'epoca si proponeva di rappresentare "una società che doveva la felicità unicamente alle leggi della natura e della virtù", gli fece molte lunghe visite.
Nel 1772, l'appartamento in affitto di Rousseau in rue Platrière era senz'altro adatto a un filosofo. Era al quarto piano; e la camera da letto, che fungeva anche da studio, conteneva solo due lettini, coperti di tela di cotone a strisce bianche e blu, un cassettone, un tavolo e alcune sedie. Alle pareti erano appesi una carta della foresta di Montmorency, dove Rousseau aveva vissuto e di cui aveva ricordi felici, e un ritratto del re Giorgio III, che durante la disastrosa spedizione in Inghilterra di Rousseau sotto la protezione di David Hume gli aveva offerto una pensione di 100 sterline l'anno e che, sebbene avesse risolutamente rifiutato la proposta, Rousseau considerava ancora suo benefattore. Mademoiselle Le Vasseur, designata ormai come "madame Rousseau" in seguito a una cerimonia eterodossa organizzata da lui stesso, sedeva placidamente vicino a lui rammendando biancheria; un canarino cantava nella gabbia; i passeri beccavano briciole sui davanzali delle finestre; e Bernardin notò una grande quantità di vasi e scatole riempiti di piante e fiori selvatici. Accanto a Rousseau—allora sessantaquattrenne, un anziano dagli occhi vivaci e dall'espressione a volte profondamente triste, a volte allegra e animata—c'era una spinetta, simbolo dei suoi interessi musicali, su cui ogni tanto provava un'aria.
Rousseau cambiò alloggio per l'ultima volta all'inizio dell'estate del 1778. Rue Platrière stava diventando troppo costosa, e il marchese de Girardin, fervente ammiratore della Nouselle Héloise, si offrì di costruirgli una casetta dal tetto di paglia a Ermenonville, presso Senlis, e per il momento gli mise a disposizione un villino di fronte al suo castello. Fu là che Rousseau morì, il 14 luglio 1778, stringendo la mano di Thérèse, senza, come disse la donna ai discepoli, "pronunciare una sola parola"ó; e là scrisse le sezioni conclusive delle ReAveries du promeneur solitaire, iniziate nell'appartamento parigino, opera straordinaria in cui da un lato ricorda la prima giovinezza, quando era il protetto di madame de Warens, dall'altro descrive e analizza il periodo di suprema felicità che aveva vissuto dodici anni prima sul lago di Bienne. Le sue opere più importanti risalivano a molti anni prima—Julie ou la Nouselle Héloise, pubblicato nel 1761, romanzo epistolare sentimentale che "poteva avere un effetto nocivo", come ammise lo stesso Boswell, ma che diventò immediatamente una guida al regno dei sentimenti e delle emozioni diffusissima tra gli innamorati del Settecento7; Emile, trattato sui metodi educativi; e Il contratto sociale, studio sul particolare rapporto tra individuo e società, che come Emile era stato pubblicato e messo ufficialmente al bando nel 1762.
Queste opere avevano dato a Rousseau il posto che meritava accanto all'antico awersario Voltaire, il quale l'aveva osservato a lungo da una distanza prudente, come rivoluzionario innovatore della mentalità europea. Ma in vecchiaia Rousseau si interessò meno alla condizione generale dell'umanità e a come poteva liberarsi dalle catene, che al problema della propria esistenza. La felicità continuava ad assorbirlo; adesso riteneva che potesse essere raggiunta solo mediante una sorta di amor proprio sublimato8. "Le moi est haissable,>, aveva dichiarato Pascal; Rousseau confuta questa cupa sentenza. Lungi dall'abbandonare e dall'odiare l'io, era necessario coltivare un appassionato amore di sé. "Il faut eAtre t soi,>. La Natura era il modello principale della Virtù; e, come l'Uomo Naturale, per essere felici si doveva fare affidamento sul semplice senso dell'esistenza.
Rousseau riteneva di avere veramente raggiunto la felicità due volte; si ricordò della prima occasione nell'aprile del 1778, quando il suono delle campane che annunciavano la Domenica delle Palme gli rammentò che erano "esattamente cinquanta anni da quando ho conosciuto Madame de Warens... Quell'incontro ha determinato il corso di tutta la mia vita". "Non passa giorno", scrisse nel suo ultimo manoscritto, "in cui io non ricordi con tenera gioia quel breve e straordinario periodo della mia vita in cui fui me stesso completamente, senza falsità o impedimenti, e durante il quale posso veramente dire di aver vissuto...". La seconda esperienza, molto più transitoria, è rievocata nelle ReAveries, ma non produsse nessun seguito proficuo, e aveva avuto un preludio tormentato e fastidioso.
Nel 1765 i suoi persecutori pubblici, sia francesi che svizzeri, parvero superare in numero gli alleati devoti; e le tendenze paranoiche di Rousseau, che drammatizzava qualsiasi contrattempo e vedeva "congiure" inesistenti, si manifestarono in modo allarmante. In qualche caso però i suoi guai erano autentici. Si era aspettato pace e libertà sul suolo svizzero; quell'autunno tuttavia i gretti abitanti di Motiers si schierarono inaspettatamente con il nemico. Il pastore locale, che un tempo era stato suo ammiratore, ma che negli ultimi tempi, come aveva notato Rousseau, aveva assunto uno sguardo "cupo" e "sinistro", decise di denunciarlo dal pulpito. Fu insultato mentre camminava per strada; e una volta rincasato, subì una "lapidazione"; misteriosi aggressori tirarono pietre sul suo alloggio.
Cercò un nuovo rifugio da quelle sgradevoli esperienze sulla piccola Ile Saint-Pierre, circondata dal lago di Bienne dove il guardiano dell'unica casa dignitosa dell'isola aveva accettato cortesemente di ospitarlo a patto che non desse disturbo. Rousseau, come Shelley, amava l'acqua; e in particolare le isole, che associava al suo romanzo preferito, Robinson Crusoe. Lui e il suo ultimo amico Bernardin erano "robinsoniani" ferventi; e l'Ile Saint-Pierre era un'isola quasi perfetta nel genere, attrezzata quasi come lo stato in miniatura creato da Defoe per il suo industrioso naufrago. In parte selvaggia, in parte coltivata con cura, conteneva colline e valli, campi, vigne, boschi, frutteti e prati ombrosi; e Rousseau propose al suo ospite di fondare una colonia di conigli su un'isola contigua e molto più piccola. L'installazione della colonia, che indubbiamente avrebbe prosperato e si sarebbe moltiplicata se i suoi fondatori si fossero ricordati che gli inverni svizzeri sono spesso rigidissimi, fu celebrata con semplice allegria. "Il pilota degli Argonauti", scrisse Rousseau, "non avrebbe potuto essere più orgoglioso di me", mentre trasportava i conigli-coloni nella loro nuova casa.
L'Ile Saint-Pierre era anche un paradiso botanico; e la botanica, da quando aveva acquistato una copia del Systema naturae di Linneo, era all'epoca una delle passioni maggiori del Solitario. Niente, scrisse, avrebbe potuto dargli tanto piacere, addirittura tanta esaltazione, quanto tutte le scoperte che faceva sulla struttura e l'organizzazione del mondo vegetale, e sul ruolo svolto dagli organi generativi nella fruttificazione di una specíe. Ogni singolo particolare rallegrava la sua vista e aggiungeva nuovi colori alla sua visione di un x universo organizzato in modo bello e armonioso. Gli era sempre piaciuto passeggiare, preferibilmente da solo; e la prossimità del lago di Bienne rendeva le sue escursioni solitarie intorno all'isola doppiamente piacevoli e rilassanti. A volte si fermava sulla riva; ma, se il tempo era mite, remava verso il centro del lago e, con lo sguardo rivolto al cielo, lasciava andare la barca alla deriva tranquillamente e senza meta, spinta da una leggera corrente.
Così, durante quella breve vacanza, dal settembre all'ottobre del 1765, trascorsa sul lago di Bienne o nei dintorni, Rousseau terminò la sua seconda esperienza di felicità quasi incontrastata; e mentre la prima era sorta da un intenso rapporto personale, la seconda fu un'estasi solitaria. Quando iniziò a scrivere la Première Promenade era ancora molto abbattuto; e si era lasciato andare una volta di più all'autocommiserazione paranoica. "E così eccomi solo sulla terra, privo ormai di un fratello, di un prossimo, di un amico, di qualunque compagnia eccetto me stesso. Il più socievole e affettuoso degli uomini è stato proscritto all'unanimità. Nel loro odio efferato, hanno escogitato la tortura più crudele per la mia anima sensibile; e hanno spezzato violentemente tutti i vincoli che mi legavano a loro. Avrei amato gli uomini loro malgrado".
Poi, a poco a poco, dalle pene della situazione attuale simile a un brutto sogno, la memoria tornò all'isola amata in cui, molti anni prima, aveva goduto di una pace transitoria. Piu di ogni altra cosa era stato il rumore dell'acqua a placare la sua disperazione. Al crepuscolo passeggiva verso il lago; e il flusso e il riflusso ritmico delle piccole onde che si infrangevano costantemente sulla riva scacciavano la sua agitazione e, senza obbligarlo a pensare, gli procuravano una consapevolezza-vivida e gioiosa della sua esistenza solitaria. Aveva gia osservato più volte che i piaceri intensi e gli affetti appassionati erano quelli che ricordava con minor precisione. Erano molto più duraturi i rari momenti in cui l'anima scopriva un luogo di riposo abbastanza stabile—une assiette assez solide —da darle il sostegno che richiedeva; in cui il passato e il futuro sembravano ugualmente irreali; in cui l'idea del Tempo perdeva completamente il suo potere; e si provava una felicità totale e perfetta—"un bonbeur parfait et pleiia>—che soddisfaceva qualsiasi bisogno interiore. Finché dura quello stato d'animo, "on se suffit à soi-meme comme Dieu": l'uomo felice basta a se stesso come il suo \ creatore.
La scoperta da parte di Rousseau della vera felicità come individuazione estatica e realizzazione dell'io segna il punto in cui, afferma, "dissi addio al mio secolo e ai miei contemporanei", e in cui, come è noto, cominciò a prefigurare il movimento romantico. In precedenza, avendo insegnato ai suoi simili che dovevano amare e venerare la Natura, e in particolare adorare le Alpi, Rousseau aveva spiegato che non avrebbe mai potuto passare tanti giorni "a osservare questi splendidi paesaggi, se non avessi tratto un piacere ancora maggiore dalla conversazione degli abitanti". Ma da quando aveva voltato le spalle a un mondo malvagio che a suo parere aveva finito per rifiutarlo, tutto ciò che chiedeva alla vita era una solitudine indisturbata. La vera felicità risiedeva unicamente nel cerchio magico dell'io.

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