LexMat
Da "http://www.ilgiardinodeipensieri.eu/storiafil/seminario1.html" :
Questo scritto è il testo di una
conferenza tenuta il 4 Dicembre 1996 al teatro Testoni di Bologna nell'ambito del "Seminario
sulla fantasia e l'immaginazione" ideato e diretto dallo scrittore Stefano
Benni.
Nel ciclo di conferenze il tema dell'immaginazione veniva studiato da diversi studiosi da varie angolazioni: letterarie, estetiche, scientifiche, filosofiche, e così via.
Una seconda conferenza dello stesso seminario è Filosofia della libertà: "Omnis determinatio estnegatio".
Nel ciclo di conferenze il tema dell'immaginazione veniva studiato da diversi studiosi da varie angolazioni: letterarie, estetiche, scientifiche, filosofiche, e così via.
Una seconda conferenza dello stesso seminario è Filosofia della libertà: "Omnis determinatio estnegatio".
Il Giardino dei Pensieri
- Studi di storia della Filosofia
Mario Trombino
Le immagini e la filosofia
[Vedi anche le voci: Libertà, Gioco, Pensiero per immagini ]
Le immagini e la filosofia
[Vedi anche le voci: Libertà, Gioco, Pensiero per immagini ]
E' davvero comodo potersi intendere attraverso i concetti. Alla fine di una riunione, l'altra mattina, mi hanno capito tutti quando ho detto: "Adesso devo proprio andare, scusate, non posso restare ancora perché devo passare a prendere mia figlia a scuola". Nessuno dei presenti conosceva mia figlia, ma nessuno aveva bisogna di conoscerla per capire. I concetti sono comodi, non c'è dubbio.
Naturalmente la frase sarebbe
stata perfettamente comprensibile anche se fosse stata falsa e io avessi usato questa
scusa soltanto per liberarmi della noia della riunione. Ma era vera e io sono
effettivamente andato a prendere la bambina. Se uno dei presenti avesse avuto il sospetto
di un falso avrebbe potuto seguirmi di nascosto e, a pochi isolati di distanza, ecco,
avrebbe visto mia figlia. Che non è un concetto, tuttavia, ma una persona.
Tutto chiaro, credo, però è
bene essere precisi. Che cosa in realtà avrebbe visto il nostro sospettoso osservatore?
Davanti ai suoi occhi avrebbe avuto la scena abituale di una scuola elementare nell'ora di
uscita dei bambini: tanti adulti fuori, per lo più donne, un gruppo di bambini tutti
insieme giù dalle scale di un edificio. Non avrebbe avuto difficoltà ad interpretare
quell'edificio come scuola e quelle donne come le mamme di quei bambini, e non avrebbe
certo avuto difficoltà a interpretare come vera la mia frase alla riunione vedendomi
salire in macchina (naturalmente parcheggiata in seconda fila, come tutte le altre) con
una bambina intravista accanto a me dietro uno zaino più grande di lei. Un mondo di
immagini interpretate in maniera corretta.
Dunque tutto è chiaro: quelle
immagini dimostrano che io avevo detto il vero. E tuttavia mia figlia, che non è un
concetto, non è neppure un'immagine.
Generalizzo troppo se dico che il
mondo è fatto di concetti, di immagini, e di tante altre cose, tra cui voi, me e mia
figlia?
Procediamo con ordine. In prima
approssimazione è subito chiara la differenza tra i concetti e le immagini. Il concetto
di figlio o di figlia in linea di principio sembra non avere bisogno di alcuna immagine
precisa per essere compreso. In fondo tutti siamo figli, a qualsiasi età, non bisogna
essere bambini per esserlo. Allora un concetto è tanto più utile quanto più descrive
alcuni precisi caratteri comuni, e solo quelli. Un concetto può sfumare nell'altro, può
sovrapporsi o essere comprensibile solo per progressivi e quasi insensibili slittamenti da
altri concetti. Ma conserva sempre un carattere di astrazione piuttosto forte. Non ci
aspettiamo che i concetti siano veri nel senso in cui è vera una persona: non camminano
per strada sepolti sotto zaini più grandi di loro.
Mia figlia sì, e tuttavia quel
che il nostro ipotetico osservatore ha visto all'uscita dalla scuola non è ancora mia
figlia, ma la sua immagine. L'immagine non è la cosa, è ancora una astrazione, ma è
molto legata a ciò che rappresenta. Potremmo dire che il concetto astrae i caratteri
comuni a un'intera classe di cose, mentre l'immagine astrae alcuni caratteri da una cosa
individuale e ad essa rimane legata.
Ecco, tutto sarebbe più semplice
se noi potessimo confrontare l'immagine di una cosa con la cosa stessa. Sapremmo subito se
l'immagine è vera in tutto o in parte, se ci stiamo ingannando, se alcuni elementi, che
della cosa sono importanti, nella sua immagine non compaiono (per esempio gli odori in
un'immagine visiva). Una semplice riflessione, tuttavia, ci permetterà di osservare che
il confronto tra una immagine e una cosa non può mai avvenire in modo diretto.
A sorpresa, incontrate per strada
un'amica. La ri-conoscete subito. E' lei. Ma come fate a saperlo? Semplice, in un attimo
avete confrontato la sua immagine presente - quella della persona che avete davanti - con
l'immagine di lei ben fissa nella vostra memoria. Non esattamente uguale forse: adesso si
è tagliata i capelli, o porta un vestito così diverso dai suoi soliti. Ma è lei, non
c'è dubbio. Un'immagine (attuale) è stata confrontata con altre immagini (memorizzate,
quindi virtuali, ricostruite per l'occasione nel vostro spirito). Ma è un po' lontana, vi
sorge un dubbio, forse non è lei. Osservate meglio quella ragazza, cioè ve ne formate
una nuova immagine, un po' più precisa della prima e la confrontate con quella di poco
fa, ormai memorizzata anch'essa, e con le altre richiamate dalla mente. Sì, è proprio
lei, senza alcun dubbio. La salutate senza paura di far brutta figura con un estraneo.
Non so se lo avete notato, ma
nell'esempio il confronto avviene sempre tra un'immagine attuale e altre immagini, di poco
prima o di tanto tempo fa. Mai un'immagine - attuale o memorizzata, e quindi virtuale - è
direttamente confrontata con la persona in carne ed ossa. Dinnanzi ai vostri occhi non
compare alcuna persona in carne ed ossa, ma solo la sua immagine. Da lei proviene - adesso
che le parlate - il gradevole suono della voce di un'amica, riconoscete anche il profuso
che è solita indossare (non si indossano forse i profumi come gli abiti?), sicché
immagini uditive, olfattive, forse tattili se le avete dato la mano, si sommano ad
immagini visive. Immagini su immagini. Lei, la vostra amica, dov'è in questo piacevole e
complesso fiorire di immagini?
E' certo lì davanti a voi -
siamo tutti pronti a scommetterci -, ma voi non lo sapreste se non aveste una particolare
facoltà, che potremmo chiamare facoltà dell'immaginazione, che vi permette di formarvene
delle immagini.
E' davvero il caso di essere
precisi anche in questo caso, per non fare confusione. La facoltà dell'immaginazione a
cui sto facendo riferimento non è esattamente ciò che abitualmente chiamiamo fantasia.
Non fantastico affatto nel riconoscere un'amica che incontro per strada e men che meno
mentre mi fermo a chiacchierare con lei. Sono anzi il più possibile saldamente ancorato
alla realtà. In certi casi mi aggrappo, per così dire, alla realtà, nel senso che
seleziono molto bene certe immagini che mi passano per la testa e non appartengono alla
situazione presente e le evito per concentrarmi sulla persona che ho davanti e sulla sua
realtà.
L'immaginazione non è quindi
l'arte di immaginar qualcosa che non c'è o che non so - qualcosa che posso "soltanto
immaginare" - ma più semplicemente l'arte di produrre immagini, siano esse immagini
della realtà presente, o passata (conservate presenti in modo virtuale nella memoria), o
immagini create dalla nostra mente con l'intervento più o meno chiaro della memoria (per
esempio quando, vedendo un armadio ben chiuso, proviamo a immaginarne il contenuto o a
indovinarne il colore delle pareti interne).
Ora, ciò che qui è importante
sottolineare non è l'ovvia differenza tra tutte quelle forme dell'immaginazione,
veramente difficile di precisare in termini scientificamente corretti, ma la loro unità:
un atto dello spirito che prende direzioni diverse, ma alla radice è sempre ciò che è,
un atto di immaginazione.
Prendete il caso così ben
descritto da Jean-Jacques Rousseau nella quinta delle sue Passeggiate solitarie. E'
la tarda estate del 1762 e Rousseau è in forzata vacanza sull'isola di Saint-Pierre sul
lago di Neuchatel, in Svizzera. Poche settimane più tardi sarà costretto alla fuga in
Inghilterra ed è già dovuto fuggire prima da Parigi poi anche da Ginevra, per via di
quanto ha scritto nell'Emilio, a proposito delle Confessioni di un Vicario
savoiardo. Ma intanto è libero di godersi la pace dell'isola e del lago, in compagnia
della moglie e di amici fidati che lo ospitano. Così passa lunghi pomeriggi in barca, da
solo a fantasticare, senza meta la barca, senza meta i suoi pensieri.
Cosa pensiamo quando ci
abbandoniamo alla fantasticheria? Chissà, la mente va da sola. Un mondo di immagini, un
flusso - stavo per dire bergsoniano - ci percorre su un piano diverso da quello della
realtà, mischiandosi per insensibili passaggi col mondo di immagini presente, fatto di
placide acque appena increspate, di azzurro e verde, di serenità interiore, del lento
ondeggiare della barca. Se avete occasione di leggere il testo di Rousseau, provate a
farlo lasciando libera la vostra immaginazione: provate a "vedere" il lago, le
acque, le rive; a "sentire" il calore del sole, il vento estivo, il ritmo delle
onde, gli odori delle piante aromatiche. Accorgersi del proprio pensiero senza parole.
Ecco, forse la fantasia come atto
del fantasticare non è inventar qualcosa, è piuttosto semplicemente una sorta di
"illusione prospettica". Provate a seguire le immagini (tattili, uditive,
visive, olfattive, emotive, ecc.) che attraversano la vostra mente mentre leggete. Provate
a non cacciarle via, a non cercare di concentrarvi. Se le descrivete tutte, con i loro
legami, chi vi ascolta avrà l'impressione della più sfrenata fantasia. Ma voi non state
inventando nulla né nulla creando: state solo descrivendo le immagini che vi attraversano
senza selezionarle.
Ecco allora una possibile
interpretazione dell'immaginazione: non una facoltà creativa in senso proprio, ma un
continuo lavorio della mente che acquisisce informazioni dal mondo esterno e le rielabora
nel mondo interno. Un continuo scambio tra immagini presenti, attuali, e immagini
virtuali, memorizzate, un continuo flusso avanti e indietro tra la realtà vissuta momento
per momento e la sua traccia virtuale nella memoria, che tuttavia è anch'essa vissuta nel
presente, non certo nel passato, in una sorta di mondo parallelo, vivo e presente come
l'altro, ma appartenente solo alla nostra coscienza, legato - forse "confinato"
nel senso dei quarks - alla nostra soggettività individuale, qualunque cosa sia questa
misteriosa individualità che fa dire a ciascuno di noi "io" e "tu".
Ecco, il fantasticare è il
lasciare libero il flusso delle immagini, anche se certo sarà guidato dalle immagini
presenti, come il ritmo delle onde nel lago di Saint-Pierre in un pomeriggio di fine
estate.
Converrete allora che la vita
concreta, attiva, pratica, la vita reale contrapposta al fantasticare non è altra in se
stessa: diverso non è l'atto dello spirito, ma l'impronta che ad esso diamo. Di fronte
alle esigenze della vita - quanto sale nell'acqua per la pasta? - scatterà egualmente il
richiamo tra l'immagine presente (l'acqua che bolle) e altre immagini virtuali (la memoria
continua, divenuta abitudine presente, di chi sa cucinare, quella sensazione fisica -
immagine tattile - del pugno chiuso/aperto quel tanto che basti a contenere l'esatta
quantità di sale). La mente sarà certo attraversata da mille immagini d'altra natura,
solo che noi non stiamo fantasticando, ma cucinando e il nostri ospiti a cena non
gradiranno il pranzo se ci lasceremo andare al fantasticare.
Qual è dunque la differenza tra
chi vive di fantasticherie e l'affidabile persona pratica? La facoltà dell'immaginazione
è comune a entrambi: la differenza è nella selezione che il primo non impone, ed il
secondo sì al flusso delle proprie immagini. E' il modo in cui selezioniamo le nostre
immagini a dare una particolare colorazione alla nostra vita interiore e pratica.
Consentitemi dunque di fare il
più convinto elogio del realismo, nel bel mezzo di un corso sulla fantasia e
sull'immaginazione. La realtà, infatti, se non selezioniamo troppo, o in modo troppo
unilaterale, è più fantastica della più fantastica delle nostre fantasie. L'artista lo
sa bene, perché ha occhi per ciò che noi non vediamo, e noi non abbiamo occhi non
perché non fantastichiamo abbastanza, ma perché non osserviamo abbastanza,
perché selezioniamo troppo, perché siamo troppo poco realisti. Anche
l'artista seleziona, ma in modo meno unilaterale, il suo mondo ha qualche dimensione in
più - che avrebbe anche il nostro se non l'avessimo cancellata.
Come potrebbe altrimenti essere
bello un quadro che rappresenta un vecchio non bello, come Rembrandt nel suo autoritratto
da vecchio? Ciascuno di noi è molto più bello, più giovane, più ricco, più capace di
quanto di solito si sente, e allo stesso tempo lo è molto meno. Elogio del realismo:
misurarsi con la realtà cambia la realtà e cambia noi stessi, se abbiamo il coraggio di cercare
dove siamo belli, giovani, ricchi, capaci (cioè di non selezionare in modo
unilaterale). E di non inventarci di esserlo dove non lo siamo. Non è forse questa
l'acquisizione di uno "stile"? Vi porterò l'esempio del pittore che studia se
stesso copiando i quadri degli altri. Imitare è creare, perché è cercare in sé.
Ecco dunque la prima delle mie
definizioni di fantasia: non tentare di semplificare la complessità. Il mondo, se
osservato, non appare né piccolo né semplice. Del mondo, tuttavia, in sé stesso
sappiamo davvero poco: per lo più sappiamo delle sue immagini. La molteplicità e
complessità del mondo sono quindi per noi la molteplicità e complessità delle sue
immagini, ma le immagini sono nostre, ed è dunque anche nostra - cioè
filtrata dalle nostre selezioni e dai flussi del tempo, del nostro tempo - la sua
molteplicità e complessità. Poiché non sappiamo dominare molteplicità e complessità,
allora semplifichiamo. O fuggiamo nell'irrealtà, nella sfera del sogni scambiati per
realtà andando incontro a tragiche delusioni. E questo è l'esatto contrario del gioco.
Permettetemi di fare soltanto un
accenno a questo grande tema, su cui il saggio di Huizinga del 1939 - Homo Ludens -
ha gettato una luce vivissima. Il gioco è davvero la creazione di una realtà parallela.
Nel gioco le regole sono diverse da quelle della realtà, ma gli elementi sono gli stessi.
Nel dinamismo della vita, il gioco fa prendere alla realtà direzioni diverse - senza
danno, cioè senza conseguenze pratiche, proprio perché la realtà del gioco è
parallela. La sua "verità" è proprio nella sua dichiarata diversità dalla
realtà. Nel suo dominio, e solo in quello, il gioco è "vero".
Quanto diverso l'autoinganno,
l'irrealtà, la sfera dei sogni scambiati per realtà che ci danno tante disillusioni. Il
gioco non scambia la realtà per quel che non è: seleziona secondo regole proprie, che
valgono solo nel suo mondo.
Il gioco allora ci lascia
intravedere una seconda diversa definizione di fantasia e ci costringe ad un nuovo elogio,
forse meno sorprendente del primo in questo ambito di inguaribili sognatori in cui mi
trovo, essendo l'elogio della libertà.
Senza gioco la vita è alienata,
senza fantasia è grigia. Sì, ma perché? Perché la realtà non è data, è viva: è
segnata dal flusso del tempo, per cui le cose non sono date, ma si danno, non il
sostantivo, ma il verbo ne esprime la più intima natura. Tra le cose ci siamo anche noi,
per i quali l'essere delle cose acquisisce sempre nuovi livelli di senso, si arricchisce
di interpretazioni. Alle cose manca sempre qualcosa perché siano vere, all'essere manca
sempre qualcosa per essere se stesso. Löwith riferendosi ad Hegel parla dell'irrequietezza
dell'essere: vie sempre nuove si aprono, il dato non è mai completo. La realtà si
fa. E' la grande lezione delle filosofie attente alla vita.
Ecco dunque la seconda
definizione di fantasia: completare la realtà. Accettare che essa non è data, ma
si fa, e agire di conseguenza.
Ed ecco la ragione per fare un
elogio alla libertà: non essere se stessi, ma divenire se stessi.
Non si fa qui discorso della libertà della volontà, ma della libertà della mente.
Libertà è il virtuale che si attualizza, è sviluppare secondo un principio un lato solo
virtuale della personalità, di regola connesso con una immagine di sé. (Con attenzione,
tuttavia: la libertà dà ansia, disordina e confonde. Ma di questo un'altra volta.)
Libertà e gioco sono allora una
delle espressioni viventi della verità, una delle dimensioni dell'essere che si fa. Ma
secondo regole. La libertà non fa a meno di regole: come lo stile, la libertà le crea.
Ve ne propongo un esempio.
Shakespeare, Romeo e Giulietta.
Al balcone, ormai quasi giorno, i due innamorati giocano sui segni dell'alba per esprimere
l'amore - e la disperazione di chi deve separarsi.
Giulietta - "Già vuoi
andartene? L'alba è ancora lontana. Era l'usignolo, poco fa, non l'allodola, quello che
ti ha ferito l'orecchio inquieto: canta tutte le notti sul melograno, laggiù. Credimi,
amore, era l'usignolo."
Romeo - "Era l'allodola, messaggera dell'alba, non l'usignolo: guarda, amore, quelle maligne strisce come già frastagliano di chiarori i margini dei cirri fuggitivi che si sfanno da Levante, laggiù. Sono tutte consumate le candele della notte, e il giocondo mattino, sulla punta dei piedi si affaccia alle cime dei monti dietro un velo leggero di brume. Ora, o andar via e vivere, o restare qui e morire."
Romeo - "Era l'allodola, messaggera dell'alba, non l'usignolo: guarda, amore, quelle maligne strisce come già frastagliano di chiarori i margini dei cirri fuggitivi che si sfanno da Levante, laggiù. Sono tutte consumate le candele della notte, e il giocondo mattino, sulla punta dei piedi si affaccia alle cime dei monti dietro un velo leggero di brume. Ora, o andar via e vivere, o restare qui e morire."
Fin qui è Giulietta a far
diventare notte l'alba, ad ascoltare come usignolo il canto dell'allodola. Crede davvero
Giulietta che questa sia la verità?
Il gioco continua, ma questa
volta scoperto: Giulietta gioca, ma soprattutto gioca con se stessa; Romeo accetta il
gioco, perché capisce che la verità è nel gioco, nell'amore di Giulietta.
Giulietta - "Quella luce
laggiù non è il chiarore del giorno: io lo so; è una meteora, forse esalata dal sole
per farti da torciera stanotte sulla via di Mantova. E dunque resta: non è ancora
necessario andar via."
Romeo - "Mi prendano pure; e mi mettano a morte, sarò contento, se così vuoi tu. Dirò (...) che non è l'allodola quella che alta sul nostro capo, batte col suo trillo agli archivolti del cielo. Ho più voglia di restare che fretta di andarmene. Vieni e sarai la benvenuta, o morte. Giulietta vuole così."
Romeo - "Mi prendano pure; e mi mettano a morte, sarò contento, se così vuoi tu. Dirò (...) che non è l'allodola quella che alta sul nostro capo, batte col suo trillo agli archivolti del cielo. Ho più voglia di restare che fretta di andarmene. Vieni e sarai la benvenuta, o morte. Giulietta vuole così."
Ma un gioco scoperto ha perduto
la sua grazia, la levità di un sentimento puro. La realtà irrompe, e v'è rischio della
vita: Giulietta non gioca più.
Giulietta - "Sì, è; è
giorno. Fuggi, presto! Va via! E' l'allodola quella che canta così stonata e sforzata.
(...) Ora, sì, va'. Luce, sempre più luce intorno."
Romeo - "Luce, sempre più luce, intorno; buio, sempre più buio, nella nostra angoscia."
Romeo - "Luce, sempre più luce, intorno; buio, sempre più buio, nella nostra angoscia."
Tra le due verità - l'usignolo,
l'allodola - non ha senso scegliere: dipende quale realtà si tratta di esprimere, se
l'ora della notte o l'amore di Giulietta. Il gioco esprime una verità altrettanto
profonda di quella delle cose. L'errore è nel confondere i piani. Il gioco - la libertà
della mente "secondo regole" - è una delle espressioni "viventi"
della verità. Esprime una delle dimensioni dell'essere. Non permettere che sia espressa,
equivale ad annullare alcune dimensioni dell'essere.
Ora, se la realtà ha più
dimensioni, anche i filosofi devono contribuire a costruire un mondo in cui tutte le
dimensioni possano sopravvivere, armonizzandosi tra loro. Un mondo in cui questa o quella
dimensione non sia spezzata dall'alba ormai vicina, consumate le candele della notte.
I filosofi, come tanti altri, si
chiedono come si fa a far vivere in armonia tutte le dimensioni dell'essere - a far
convivere la verità dell'usignolo e dell'allodola. I filosofi, sospesi tra gli
scienziati, i poeti e i politici, ma senza le certezze dei primi, le libertà dei secondi
e il potere dei terzi, Nel loro obiettivo di comprendere l'essere come realtà vivente,
come realtà che si fa, di comprendere l'essere come armonia e le sue regole di libertà,
sono forse dei sognatori? Il loro regno è la realtà, il gioco o l'irrealtà?
Che valga la pena di tentare non
c'è dubbio. Perché, che si sia filosofi o scrittori o artisti, possiamo forse accettare
che per qualcuno, per una persona o per un popolo, siano tutte consumate le candele della
notte?
File connessi nel Giardino dei
Pensieri
- Frédéric Cossutta, La funzione delle metafore nei testi filosofici
- Mario De Pasquale, Didattica della filosofia. La funzione egoica del filosofare, Cap. 4. Apprendere a filosofare: la creatività nel filosofare in classe, Cap. 5. Esercizio creativo della razionalità filosofica, dinamiche emotive, comunicazione filosofica in classe, Cap. 7. Tempi e spazi nell'insegnamento della filosofia.
- Mario Trombino, Classificazione degli esercizi di filosofia, 5. Esercizi di creatività, 7. Esercizi di riflessione
- Mario Trombino, Filosofia della libertà: "Omnis determinatio est negatio"
- Maurizio Villani, Metafora, simbolo e concetto nella "Filosofia delle forme simboliche" di Cassirer
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