Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

giovedì 17 ottobre 2013

Esistenzialismo Ateo

Da WikiPedia e WikiQuote:

Con l'espressione esistenzialismo ateo si Indica un indirizzo esistenzialistico che esclude elementi trascendentali, metafisici o religiosi dal suo orizzonte, e ciò per quanto esso condivida con l'esistenzialismo religioso (tipico in Kierkegaard), l'elemento di angoscia e scacco per la finitudine umana e per i suoi limiti.
Caratteristica è in esso l'assenza di qualsiasi referente trascendente l'esistenza stessa. L'esistenzialismo ateo è quindi un indirizzo filosofico autonomo, tanto lontano dall'esistenzialismo religioso oppure da quello neo-metafisico (Heidegger) quanto vicino all'ateismo filosofico.

Storia

Antichità

Da un punto di vista storico l'origine di un esistenzialismo ateo può essere colta già nella poesia di Lucrezio, che in numerosi passi del De rerum natura evoca problemi e stati d'animo tipici dell'esistenzialismo moderno. Si legge nel Libro III:
« Qui palpitano infatti l'angoscia e il timore, qui intorno / Le gioie provocano dolcezza; qui è dunque la mente, l'animo. /La restante parte dell'anima, diffusa per tutto il corpo, / obbedisce e si muove al volere e all'impulso della mente./Questa da sé sola prende conoscenza, e da sé gioisce,/ quando nessuna cosa stimola l'anima e il corpo. [1] »
Nel Libro IV i passaggi esistenzialistici sono parecchi, ad esempio il seguente:
« Questa è Venere per noi; di qui il nome amore,/di qui prima stillarono dolcissime gocce nel cuore, e a vicenda successe la gelida pena;/se infatti è lontano chi ami, ti è accanto l'immagine /del suo volto, ti aleggia alle orecchie il suo nome soave./Ma conviene che tali fantasmi si fuggano, che si ricusi/Ogni alimento d'amore, ad altro il pensiero si volga,/e il seme si eiaculi in casuali amplessi,/né lo si serbi, una volta filtrato, a un amore esclusivo,/futura pena a se stessi e sicuro travaglio./Brucia l'intima piaga a nutrirla e col tempo incarnisce,/divampa nei giorni l'ardore, l'angoscia ti serra,/se non confondi l'antico dolore con nuove ferite,/e le recenti piaghe errabondo lenisca d'instabili amori,/o ad altro tu possa rivolgere i moti dell'animo. [2] »
Ancora nel Libro V:
« Ed ecco il fanciullo, come un naufrago buttato a riva /Dalle onde infuriate, giace nudo sul suolo, incapace di parlare,/bisognoso d'ogni aiuto vitale appena la natura lo getta/sulle prode della vita, con doglie del grembo materno,/e riempie lo spazio d'un disperato vagire, come è giusto che faccia/colui cui in vita è serbato il passare per tante sventure. [3] »

Mondo moderno

Un atteggiamento di esistenzialismo ateo molto netto può essere colto, nel XIX secolo, in Giacomo Leopardi in numerosi passaggi dei suoi Canti.
Il grande poeta di Recanati ha dichiarato in più occasioni il suo ateismo e nello stesso tempo ha tradotto in poesia le angosce di un'umanità vinta antropologicamente e filosoficamente fuori del tempo.
Appare anche indubitabile che Leopardi abbia ripreso l'atteggiamento e gli stati d'animo che già erano stati di Lucrezio, alcuni temi, come il considerare una disgrazia l'esser venuti al mondo erano già del poeta latino.
Il tardo XIX secolo ha in Nietzsche un pensatore molto particolare e sfuggente alle categorizzazioni, ma comunque inscrivibile per alcuni aspetti nell'esistenzialismo ateo.

XX e XXI secolo

Nel XX secolo l'esistenzialismo ateo può essere riferito a Jean-Paul Sartre e ad Albert Camus, posto dal primo in modo più specificamente filosofico e dal secondo in modo più letterario.
Da parte di Sartre l'esistenzialismo ateo nasce attraverso un capovolgimento di quello di Heidegger, che è spiritualistico, in direzione prima umanistica (L'esistenzialismo è un umanismo) (1946) e successivamente materialistica (Critica della ragione dialettica) [4]
Per quanto riguarda Camus il suo saggio più esistenzialistico può essere considerato Il mito di Sisifo, ma anche La morte felice, che lo precede, contiene numerosi aspetti esistenzialistici ed atei.
È specialmente Jean-Paul Sartre (1905-1980) a rappresentare l'ateismo nell'esistenzialismo, ma esso va visto in relazione non secondaria col marxismo.
A parte L'essere e il nulla (1943) Sartre manifesta la sua filosofia spesso più nella drammaturgia che nell'opera filosofica in senso stretto.
Il pensiero sartriano tuttavia è fondamentalmente espresso in L'essere e il nulla.
Il tema principale posto in essa è la fondamentale libertà di realizzarsi di ogni uomo come uomo-dio e l'ineludibilità di rimanere sempre un dio-fallito.
Ciò che evidenzia il fallimento è l'angoscia che attanaglia l'uomo nel vivere il suo esistere come una libertà fasulla, basata sul nulla:
« Questa libertà, che si rivela nell'angoscia, può caratterizzarsi con l'esistenza di quel niente che si insinua tra i motivi e l'atto. Non già perché sono libero, il mio atto sfugge alla determinazione dei motivi, ma, al contrario, il carattere inefficiente dei motivi è condizione della mia libertà. E se si domanda qual è questo niente che fonda la libertà, risponderemo che non si può descriverlo perché non è, ma si può almeno indicarne il senso, in quanto questo niente è stato per l'essere umano nei suoi rapporti con se stesso. Corrisponde alla necessità per il motivo di non apparire come motivo altro che come correlazione di una coscienza "di" motivo. In una parola, poiché rinunciamo all'ipotesi dei contenuti di coscienza, dobbiamo riconoscere che non vi sono motivi "nella" coscienza ma solo "per" la coscienza. E per il fatto stesso che il motivo non può sorgere come apparizione, si costituisce da sé come inefficace. [5] »
Differenziato rispetto a Sartre, almeno dal 1950, l'esistenzialismo ateo di Albert Camus che alla fine del saggio Il mito di Sisifo precisa la sua negazione del divino, soppiantato dalla natura, o meglio dal rapporto uomo-natura:
« Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore che nega gli dèi e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. [6] »
Per un uomo che non sa che farsene di Dio perché ha solo se stesso su cui contare per dare senso all'esistere, Camus rifiuta però il nichilismo rinunciatario per la lotta umana al non-senso.
Bisogna ribellarsi al non-senso in nome della solarità e della "misura", le caratteristiche migliori dei popoli mediterranei pre-cristiani.
Si legge nel quinto capitolo de L'uomo in rivolta (sottotitolo: Il pensiero meridiano):
« La rivolta è essa stessa misura: essa la ordina, la difende e la ricrea attraverso la storia e i suoi disordini. L'origine di questo valore ci garantisce che esso non può non essere intimamente lacerato. La misura, nata dalla rivolta, non può non può viversi se non mediante la rivolta. È costante conflitto, perpetualmente suscitato e signoreggiato dall'intelligenza. Non trionfa dell'impossibile né dell'abisso. Si adegua ad essi. Qualunque cosa facciamo la dismisura serberà sempre il suo posto entro il cuore dell'uomo, nel luogo della solitudine. Tutti portiamo in noi il nostro ergastolo, i nostri delitti e le nostre devastazioni. Ma il nostro compito non è quello di scatenarli attraverso il mondo; sta nel combatterli in noi e negli altri. [7] »

Note

  1. Lucrezio, La natura delle cose, L.III, Milano, Rizzoli 2000, vv.141-146, p.257
  2. Ivi, L. IV, vv.1058-1072
  3. Ivi, L. V, vv.222-227
  4. Maurizio Pancaldi, Mario Trombino, Maurizio Villani Atlante della filosofia: gli autori e le scuole, le parole, le opere, Hoepli Editore, 2006, p.386
  5. J.P. Sartre, L'essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano 1965, pp.69-70
  6. A. Camus,Il mito di Sisifo, cit., p.121
  7. A. Camus, L'uomo in rivolta, Bompiani, Milano 1951, p. 329



L'esistenzialismo è un umanismo è il titolo di una conferenza tenuta da Jean-Paul Sartre nel 1945, e della sua successiva pubblicazione in volume l'anno seguente.

Origini dell'opera

Il club "Maintenant" animato da Jacques Calmy e Marc Beigbeder organizzò presso la Sala delle Centrali di Parigi, alle 20.30 del 29 ottobre 1945, una conferenza con Jean-Paul Sartre sul tema: «L'esistenzialismo è un umanismo».
La manifestazione fu annunciata con grande pubblicità sui principali quotidiani; gli organizzatori avevano però delle inquietudini riguardo al suo successo. Ma questa serata superò ogni speranza.
Boris Vian ne fece un riassunto su L'Écume des jours: spintoni, sedie rotte, svenimenti di donne, Sartre costretto ad aprirsi un varco a gomitate per raggiungere il palco.
L'esistenzialismo era nato. Sartre e Simone de Beauvoir sarebbero divenuti gli idoli di una generazione intera.
Tuttavia non era previsto di farne una pubblicazione. Questa fu intrapresa dall'editore Nagel, nel 1946, senza l'accordo di Sartre.

Contenuto

Sartre vi presenta il suo esistenzialismo e risponde alle critiche avanzate da pensatori cristiani o marxisti, e in particolare dai comunisti, a cui desidera riavvicinarsi.
Costituisce un'introduzione "estremamente chiara", benché semplice, all'esistenzialismo, e può essere letto senza la minima difficoltà anche da persone non abituate a testi filosofici più complessi.
Tuttavia la troppa semplicità di questo testo ha condotto Sartre a rinnegarlo filosoficamente.
A rigore, non può costituire altro che una introduzione al suo pensiero.
La nozione di senso della storia cara a Hegel, ma che Marx ammetteva non avere nulla di ineluttabile, è fortemente rigettata.
Secondo Sartre, la libertà dell'uomo è tale nel suo proprio divenire che nessuno può prevedere, nemmeno a grandi linee, che direzione la Storia prenderà domani.
Questo porta al rifiuto dell'ottimismo dei marxisti (non di Marx) sui "domani che cantano" e che possono senz'altro non arrivare mai.
La morale kantiana è ugualmente criticata.
Sartre prende in particolare l'esempio di un giovane che debba scegliere tra occuparsi di sua madre oppure raggiungere la Resistenza francese a Londra.
In entrambi i casi, la massima della sua azione non è morale, poiché deve necessariamente sacrificare un "fine in sé" riducendolo al grado di "mezzo": abbandonare sua madre è il mezzo per arrivare a Londra, abbandonare i combattenti è invece il mezzo per occuparsi di sua madre...
È l'illustrazione della sua celebre, e particolare, teoria dei vigliacchi e dei mascalzoni: "Quelli che nasconderanno a sé stessi, seriamente o con scuse deterministe, la loro totale libertà, io li chiamerò vigliacchi; gli altri che cercheranno di mostrare che la loro esistenza è necessaria, mentre essa è la contingenza stessa dell'apparizione dell'uomo sulla terra, io li chiamerò mascalzoni".
I posteri ne ricorderanno due frasi, come aforismi: "l'esistenza precede l'essenza" e "l'uomo è condannato a essere libero".


Citazioni di Albert Camus

  • Cultura: grido degli uomini davanti al loro destino. (da Taccuini)
  • E anche Simone Weil[1] – a volte i morti sono più vicini a noi dei vivi. (da una conferenza a Stoccolma in occasione del ricevimento del Nobel)[2]
  • Il senso d'impotenza e di solitudine del condannato incatenato, di fronte alla coalizione pubblica che vuole la sua morte, è già di per sé una punizione inconcepibile. [...] Generalmente l'uomo è distrutto dall'attesa della pena capitale molto tempo prima di morire. Gli si infliggono così due morti, e la prima è peggiore dell'altra, mentre egli ha ucciso una volta sola. Paragonata a questo supplizio, la legge del taglione appare ancora come una legge di civiltà. Non ha mai preteso che si dovessero cavare entrambi gli occhi a chi aveva reso cieco di un occhio il proprio fratello. (da Riflessioni sulla pena di morte)
  • In verità, è un paradosso tipico dello spirito umano cogliere gli elementi senza poterne abbracciare la sintesi: paradosso epistemologico d'una scienza certa nei fatti, ma comunque insufficiente: sufficiente nelle sue teorie, ma comunque incerta, ovvero paradosso psicologico di un io percettibile nelle sue parti, ma inaccessibile nella sua profonda unità. (da Metafisica cristiana e neoplatonismo)
  • Invece di uccidere e morire per diventare quello che non siamo, dovremo vivere e lasciare vivere per creare quello che realmente siamo. (da Riflessioni sulla pena capitale, 1957)
  • La nostra sola giustificazione, se ne abbiamo una, è di parlare in nome di tutti coloro che non possono farlo. (da L'artista e il suo tempo)
  • La politica e il destino degli uomini sono foggiati da individui senza ideali e senza grandezza. Chi ha grandezza in sé non fa politica. (da Taccuini)
  • Le grandi idee arrivano nel mondo con la dolcezza delle colombe. Forse, se ascoltiamo bene, udiremo, tra il frastuono degli imperi e delle nazioni, un debole frullìo d'ali, il dolce fremito della vita e della speranza. (citato in Selezione dal Reader's Digest, giugno 1963)
  • La pena di morte, così come la si applica, è una disgustosa macelleria, un oltraggio inflitto alla persona e al corpo. (da Riflessioni sulla pena di morte)
  • Per suicidarsi bisogna amarsi molto. (da I giusti, in Teatro)
  • Tutto ciò che esalta la vita, ne accresce al tempo stesso l'assurdità. (da Il rovescio e il diritto, traduzione di Sergio Morando, Bompiani, 1999)
  • Una letteratura disperata è una contraddizione in termini. (da L'estate)
  • La verità come la luce acceca. La menzogna, invece, è un bel crepuscolo, che mette in valore tutti gli oggetti. (da La caduta)
  • Non essere amati è una semplice sfortuna; la vera disgrazia è non amare. (da L'estate)

Caligola

  • Caligola: Ma non sono pazzo e posso dire perfino di non essere mai stato così ragionevole come ora. Semplicemente mi sono sentito all'improvviso un bisogno di impossibile. Le cose così come sono non mi sembrano soddisfacenti. [...] È vero, ma non lo sapevo prima. Adesso lo so. Questo mondo così com'è fatto non è sopportabile. Ho bisogno della luna, o della felicità o dell'immortalità, di qualcosa che sia demente forse, ma che non sia di questo mondo.
    Elicone: È un ragionamento che sta in piedi. Ma, in generale, non lo si può sostenere fino in fondo, non lo sai?
    Caligola: È perché non lo si sostiene mai fino in fondo che non lo si sostiene fino in fondo. E non si ottiene nulla. Ma basta forse restare logici fino alla fine. (atto I, scena IV)
L'opinione espressa da Caligola in questo passo è stata poi sintetizzata col motto sessantottino «Siate realisti, chiedete l'impossibile», attribuito anche a Che Guevara.[3]
  • Mostro, Caligola, mostro. [...] Come si può continuare a vivere con le mani vuote quando prima stringevano l'intera speranza del mondo? Come venirne fuori? (Scoppia in una risata falsa, artificiosa.) Fare un contratto con la propria solitudine, no? Mettersi d'accordo con la vita. Darsi delle ragioni, scegliersi un'esistenza tranquilla, consolarsi. Non è per Caligola. (Batte il palmo della mano sullo specchio.) Non è per te. Non è vero?
  • Ho deciso di essere logico. Vedrete quanto vi costerà la logica.
  • Gli uomini muoiono e non sono felici.
  • Arricchirò le tue nozioni insegnandoti che non esiste che una sola libertà, quella del condannato a morte. [...] Ecco perché non siete liberi. Ecco perché in tutto l'impero romano l'unico uomo libero è Caligola, circondato da una nazione di schiavi.
  • Ho male al cuore, Cesonia. [...] Sono tutto scosso da conati di vomito. Mi fanno male le gambe, le braccia. Mi fa male la pelle. Ho la testa svuotata, ma la cosa più rivoltante è questo sapore che ho in bocca. Non sa di sangue né di morte né di febbre, ma di tutto questo messo insieme. Mi basta muovere la lingua perché tutto si faccia nero e l'umanità mi ripugni.
  • Ho capito una sera con lei che tutta la mia ricchezza era di questo mondo.
  • Non lasciarmi, Drusilla. Ho paura. Ho paura dell'immensa solitudine dei mostri. Non andartene.
  • Ah, comincio a vivere finalmente! Vivere, Cesonia, è il contrario di amare. Te lo dico io. Che bello spettacolo, Cesonia. Mi occorre il mondo, e spettatori, vittime e colpevoli.
  • Basta con Drusilla. Vedi, Drusilla non c'è più. E cosa rimane? Avvicinati ancora. Guarda. Avvicinatevi. Guardate. Si mette davanti allo specchio con un'espressioni delirante. [...] Caligola cambia tono, punta il dito sullo specchio e, con lo sguardo sempre fisso, ripete trionfante: CALIGOLA.
  • (Al vecchio senatore) Ciao, bella.
  • Sono un uomo semplice, io. Dev'essere per questo che sono un incompreso.
  • Insomma, sono io che faccio le veci della peste.
  • Non c'è nessun cielo, Cesonia.
  • Ah, che abiezione, che schifo, che senso di vomito sentirci crescere dentro quella stessa viltà e quell'impotenza che abbiamo disprezzato negli altri. La viltà! Ma che importa? [...] Sto per ritrovare quel grande vuoto in cui l'anima si placa.
  • Rumore d'armi e mormorio in quinta. Caligola si alza, prende un seggio e si accosta ansimando allo specchio. Si guarda, fa la mossa di balzare in avanti e, vedendo la propria immagine muoversi di riflesso nello specchio, lancia violentemente il seggio urlando. Alla storia, Caligola, alla storia! Lo specchio va in frantumi e, contemporaneamente, entrano da tutti i lati i congiurati armati. Caligola li fronteggia esplodendo in una risata selvaggia. Cherea, per primo, gli è addosso con un balzo e lo trafigge col pugnale, tre volte in pieno viso. Il riso di Caligola si trasforma in singhiozzi. Tutti lo colpiscono convulsamente. In un ultimo singhiozzo, ridendo e rantolando, Caligola grida. Sono ancora vivo!

Il mito di Sisifo

  • Ad ogni angolo di strada il sentimento dell'assurdità potrebbe colpire un uomo in faccia.
  • Anche il creare è un dar forma al proprio destino.
  • Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.
  • Il mondo in sé, non è ragionevole: è tutto ciò che si può dire.
  • L'abisso che c'è fra la certezza che io ho della mia esistenza e il contenuto che tento di dare a questa sicurezza, non sarà mai colmato.
  • La certezza di un Dio che conferisca un significato alla vita supera di molto, in attrattiva, il potere di fare il male impunemente.
  • L'assurdo è essenzialmente un divorzio, che non consiste nell'uno o nell'altro degli elementi comparati, ma nasce dal loro confronto.
  • L'opera d'arte nasce dalla rinuncia dell'intelligenza a ragionare il concreto.
  • Una sola cosa è più tragica del dolore: la vita di un uomo felice.
  • Nel mondo assurdo, il valore di una nozione o di una vita viene misurato in base alla sua infecondità.
  • Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio.
  • Se il mondo fosse chiaro, l'arte non esisterebbe.
  • Senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla. Ecco perché ogni autentica creazione è in realtà un regalo per il futuro.
  • Il conquistatore dice: "No! Non crediate che per amare l'azione abbia dovuto disimparare a pensare. Al contrario; posso definire perfettamente ciò che credo, in quanto lo credo fortemente e lo vedo con una vista chiara e sicura. Diffidate di coloro che dicono: 'Questa cosa la so troppo bene per poterla esprimere'; poiché, se non possono farlo, è perché non la sanno o perché si sono fermati alle apparenze."
  • Viene sempre il momento in cui bisogna scegliere fra la contemplazione e l'azione. Ciò si chiama diventare un uomo.
  • Bisogna vivere con il tempo e con lui morire.
  • Questo compromesso si chiama accettazione. Ma a me ripugna tale termine e voglio essere tutto o nulla. Se scelgo l'azione, non crediate per questo che la contemplazione sia per me come una terra sconosciuta. Soltanto essa non può tutto darmi, e, privato dell'eterno, voglio allearmi al tempo.
  • Per voi e per me questa è una liberazione. L'individuo non può nulla, e, nondimeno può tutto.[...]è il mondo che lo sminuzza ma sono io che lo libero, e che gli attribuisco tutti i suoi diritti.
  • Non vi è che un solo lusso per loro, ed è quello delle relazioni umane.[...]Volti tesi, fratellanza minacciata, amicizia sì forte e sì pudica degli uomini fra loro, sono queste le vere ricchezze, poiché sono caduche, ed è in mezzo ad esse che lo spirito meglio sente i propri poteri e i propri limiti, cioè la propria efficacia.
  • Al termine di tutto, nonostante tutto, vi è la morte. Lo sappiamo, e sappiamo anche che, con essa, tutto finisce.[...]Cionondimeno, questi spiriti ne traggono la loro forza e la loro giustificazione. Il nostro destino sta di fronte a noi.
  • Basta sapere e nulla mascherare. [...] Essi sanno: ecco tutta la loro grandezza
  • Essere privi di speranza non significa disperare.
  • Creare è vivere due volte.
  • Non si tratta più di spiegare e risolvere, ma di provare e descrivere: tutto comincia dall'indifferenza perspicace.
  • Quanto rimane, è un destino di cui solo la conclusione è fatale. All'infuori di questa unica fatalità della morte, tutto – gioia o fortuna – è libertà, e rimane un mondo, di cui l'uomo è il solo padrone.
  • Egli sa di essere il padrone dei propri giorni.[...]cieco che desidera vedere e che sa che la notte non ha fine, egli è sempre in cammino. Il macigno rotola ancora.
  • In un mondo in cui tutto è dato e nulla viene spiegato.
  • Coloro che sono tristi hanno due ragioni di esserlo: essi ignorano e sperano.[...]Dal momento in cui egli sa, il suo riso prorompe e fa tutto perdonare. Fu triste solo nel tempo in cui sperò;[...]Ma egli nega il rimpianto, che è un'altra forma di speranza.
  • L'importante, diceva l'abate Galiani a madama d'Epinay, non è guarire, ma vivere con i propri mali. Kierkegaard vuol guarire.
  • Si tratta di vivere entro lo stato d'assurdo.
  • Voglio che mi sia spiegato tutto o nulla. E la ragione è impotente di fronte a questo grido del cuore. Lo spirito, risvegliato da questa esigenza, cerca e non trova che contraddizioni e sragionamenti. Ciò che io non comprendo è senza ragione. Il mondo è popolato da questi irrazionali, ed esso stesso, di cui non capisco il significato unico, non è che un immenso irrazionale.
  • A questo punto del proprio sforzo, l'uomo si trova davanti all'irrazionale e sente in sé un desiderio di felicità e di ragione. L'assurdo nasce dal confronto fra il richiamo umano e il silenzio irragionevole del mondo.
  • Egli rimane in questo mondo assurdo, ne accusa il carattere caduco, cerca la propria via fra queste macerie.
  • Nessuna verità è assoluta e può rendere soddisfacente un'esistenza impossibile in sé.
  • Dal momento in cui viene riconosciuto, l'assurdo diventa la più straziante di tutte le passioni.
  • Il mondo, in sé, non è ragionevole: è tutto ciò che si può dire. Ma ciò che è assurdo, è il confronto di questo irrazionale con il desiderio violento di chiarezza [...] L'assurdo dipende tanto dall'uomo quanto dal mondo, ed è, per il momento, il loro solo legame.
  • Un uomo è sempre preda delle proprie verità. Quando le abbia riconosciute, egli non è capace di staccarsene.
  • Il tempo farà vivere il tempo e la vita servirà alla vita.
  • L'assurdo è il peccato senza Dio.

L'uomo in rivolta

  • Cos'è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no.
  • I martiri non fanno le Chiese: ne sono il cemento o l'alibi. Poi vengono i preti e i bigotti.
  • Il fine giustifica i mezzi? È possibile. Ma chi giustificherà il fine? A questo interrogativo, che il pensiero storico lascia in sospeso, la rivolta risponde: i mezzi.
  • L'arte contesta il reale, ma ad esso non si sottrae.
  • L'avvenire è il solo tipo di proprietà che i padroni concedono volentieri agli schiavi.
  • L'uomo è la sola creatura che rifiuti di essere ciò che è.
  • L'uomo infine non è interamente colpevole, non ha dato inizio alla storia; né è del tutto innocente poiché la continua.
  • La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei.
  • La rivoluzione consiste nell'amare un uomo che ancora non esiste.
  • Lo schiavo comincia col reclamare giustizia e finisce per volere la sovranità. Ha bisogno di dominare a sua volta.
  • Nel mondo d'oggi, solo una filosofia dell'eternità può giustificare la non-violenza.

La caduta

Incipit

Potrei, egregio signore, senza rischiare d'importunarla, offrirle i miei servizi? Temo che lei non sappia farsi intendere dall'esimio gorilla che presiede ai destini di questo locale. In effetti, egli parla soltanto olandese. Se non mi autorizza a patrocinare la sua causa, non indovinerà che lei desidera del ginepro. Ecco, oso sperare che m'abbia capito; quella scrollata di capo deve significare che si arrende alle mie ragioni. Infatti si muove, si affretta con saggia lentezza. Lei è fortunato, non brontola. Quando si rifiuta di servire, gli basta un brontolio: nessuno insiste.

Citazioni

  • Ahimè, dopo una certa età ognuno è responsabile della sua faccia.
  • C'è sempre qualche ragione per l'uccisione d'un uomo. È invece impossibile giustificare che viva.
  • Ha notato che soltanto la morte ci ridesta i sentimenti? Ma lo sa perché siamo sempre più giusti e generosi con i morti? È semplice. Verso di loro non ci sono obblighi. […] Se un obbligo ci fosse, sarebbe quello della memoria, e noi abbiamo la memoria corta. No, nei nostri amici amiamo il morto fresco, il morto doloroso, la nostra emozione, noi stessi insomma.
  • Il vero amore è eccezionale, due o tre volte in un secolo all'incirca. Per il resto, vanità o noia.
  • Insomma, per diventare famosi, basta ammazzare la portinaia.
  • La simpatia... un sentimento da presidente del consiglio: si ottiene a buon mercato dopo le catastrofi.
  • Lei sai cos'è il fascino: l'arte di farsi dir di sì senza aver posto alcuna domanda esplicita.
  • Mi creda per certe persone almeno, non prendere quello che non si desidera è la cosa più difficile del mondo.
  • Per essere felici non ci si deve occupare troppo del prossimo. (1983, p. 51)
  • Quando saremo tutti colpevoli, ci sarà la democrazia. (2001)
  • Quando non si ha carattere bisogna pur darsi un metodo.
  • Quanti delitti commessi semplicemente perché il loro autore non poteva sopportare di essere in colpa!
  • Tra me e me dicevo che anche la morte del corpo a giudicare da quello che avevo visto, era in sé una punizione sufficiente, assolveva tutto.
  • Una persona che conoscevo divideva gli esseri umani in tre categorie: quelli che preferiscono non avere niente da nascondere piuttosto che essere obbligati a mentire, quelli che preferiscono mentire che non aver niente da nascondere e gli ultimi quelli che amano sia mentire sia nascondere. (Bompiani, 1980, p. 75)
  • Una sola frase basterà a descrivere l'uomo moderno: egli fornicava e leggeva i giornali.

La peste

Incipit

I singolari avvenimenti che dànno materia a questa cronaca si sono verificati nel 194... a Orano; per opinione generale, non vi erano al loro posto, uscendo un po' dall'ordinario: a prima vista, infatti, Orano è una città delle solite, null'altro che una prefettura francese della costa algerina.
La città in se stessa, bisogna riconoscerlo, è brutta. Di aspetto tranquillo, occorre qualche tempo per accorgersi di quello che la fa diversa da tante altre città mercantili, sotto tutte le latitudini.

Citazioni

  • Dando troppa importanza alle buone azioni, si finisce col rendere un omaggio indiretto al male: allora, infatti, si lascia supporre che le buone azioni non hanno pregio che in quanto sono rare e che la malvagità e l'indifferenza determinano assai frequentemente le azioni degli uomini.
  • Il gran desiderio d'un cuore inquieto è di possedere interminabilmente la creatura che ama o di poterla immergere, quando sia venuto il tempo dell'assenza, in un sonno senza sogni che non possa aver termine che col giorno del ricongiungimento.
  • Quando scoppia una guerra, la gente dice: "Non durerà, è cosa troppo stupida". E non vi è dubbio che una guerra sia davvero troppo stupida, ma questo non le impedisce di durare.
  • Il sonno degli uomini è più sacro della vita per gli appestati; non si deve impedire alla brava gente di dormire. Ci vorrebbe del cattivo gusto, e il buon gusto consiste nel non insistere, è cosa che tutti sanno."
  • Ho capito allora che io, almeno, non avevo finito di essere un appestato durante i lunghi anni in cui, tuttavia, con tutta la mia anima, credevo appunto di lottare contro la peste. Ho saputo di aver indirettamente firmato la morte di migliaia di uomini, che avevo persino provocato tale morte, trovando buoni i principi e le azioni che l'avevano determinata. […] Mi sembra che la storia mi abbia dato ragione, oggi si fa a chi uccide di più. Sono tutti nel furore del delitto, e non possono fare altrimenti. […] La faccenda mia, in ogni caso, non era il ragionamento; era quella sudicia avventura in cui sudice bocche appestate annunciavano a un uomo in catene che doveva morire e regolavano le cose per farlo morire dopo notti e notti di agonia. La faccenda mia era il buco nel petto. E mi dicevo che mi sarei rifiutato di dar mai una sola ragione, una sola, lei capisce, a quella disgustosa macelleria.[…] Col tempo, mi sono accorto che anche i migliori d'altri non potevano fare a meno di uccidere o di lasciar uccidere: era nella logica in cui vivevano, e noi non possiamo fare un gesto in questo mondo senza rischiare di far morire. Sì, ho continuato ad avere vergogna e ho capito questo, che tutti eravamo nella peste; e ho perduto la pace. Ancora oggi la cerco, tentando di capirli tutti e di non essere il nemico mortale di nessuno.
  • "So soltanto che bisogna fare quello che occorre per non essere più un appestato, e che questo soltanto ci può far sperare nella pace, o, al suo posto, in una buona morte. Questo può dar sollievo agli uomini e, se non salvarli, almeno fargli il minor male possibile e persino, talvolta, un po' di bene. E per questo ho deciso di rifiutare tutto ciò che, da vicino o da lontano, per buone o cattive ragioni, faccia morire o giustifichi che si faccia morire. […] Di qui, so che io non valgo più nulla per questo mondo, e che dal momento in cui ho rinunciato ad uccidere mi sono condannato ad un definitivo esilio. Saranno gli altri a fare la storia. So, inoltre, che non posso giudicare questi altri. […] Di conseguenza, ho detto che ci sono flagelli e vittime, e nient'altro. Se, dicendo questo, divento flagello io stesso, almeno non lo è col mio consenso. Cerco di essere un assassino innocente; lei vede che non è una grande ambizione. Bisognerebbe certo che ci fosse una terza categoria, quella dei veri medici, ma è un fatto che non si trova sovente, è difficile. Per questo ho deciso di mettermi dalla parte delle vittime. In mezzo a loro, posso almeno cercare come si giunga alla pace. […]" Dopo un silenzio il dottore domandò se Tarrou avesse un'idea della strada da prendere per arrivare alla pace. "Sì, la simpatia". […] "Se si può essere un santo senza Dio, è il solo problema concreto che io oggi conosca".

Lo straniero

Incipit

Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall'ospizio: "Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti." Questo non dice nulla: è stato forse ieri.
L'ospizio dei vecchi è a Marengo, a ottanta chilometri da Algeri. Prenderò l'autobus delle due e arriverò ancora nel pomeriggio. Così potrò vegliarla e essere di ritorno domani sera. Ho chiesto due giorni di libertà al principale e con una scusa simile non poteva dirmi di no. Ma non aveva l'aria contenta. Gli ho persino detto: "Non è colpa mia." Lui non mi ha risposto. Allora ho pensato che non avrei dovuto dirglielo.

Citazioni

  • Anch'io come tutti, avevo letto dei racconti sui giornali. Ma certo esistevano libri speciali che non ho mai avuto la curiosità di consultare; in essi forse avrei trovato dei racconti di evasione. Avrei saputo che almeno in un caso la ruota si era fermata, che in quel precipitare irresistibile, una sola volta, il caso e la fortuna avevano cambiato qualcosa. Una volta! In fondo credo questo mi sarebbe bastato: il mio cuore avrebbe fatto il resto.
  • In fondo non c'è idea cui non si finisca per fare l'abitudine.
  • Persino da un banco di imputato è sempre interessante sentire parlare di sé.
  • Tutte le persone normali, [...], hanno una volta o l'altra desiderato la morte di coloro che amano.
  • Una disgrazia tutti sanno cos'è. È una cosa che lascia senza difesa.
  • A parer suo siamo tutti condannati a morte. Ma l'ho interrotto dicendogli che non era la stessa cosa e che comunque questa non poteva esserein nessun modo una consolazione.
  • "Non hai dunque nessuna speranza e vivi pensando che morirai tutt'intiero?". "Sì", gli ho risposto.
    Allora ha abbassato la testa e si è rimesso a sedere. Mi ha detto che aveva pietà di me. Non credeva che un uomo potesse sopportare una simile cosa. Quanto a me, ho sentito soltanto che cominciavo ad annoiarmi.
  • Secondo lui la giustizia degli uomini non era nulla e la giustizia di Dio era tutto. Gli ho fatto notare che era la prima che mi aveva condannato.
  • Gli ho detto che non sapevo che cosa fosse un peccato: mi era stato detto soltanto che ero un colpevole. Ero colpevole, pagavo, non si poteva chiedermi nulla di più.
  • "Tu ti inganni, figlio mio", mi ha detto. "Ti si potrebbe domandare di più. Te lo domanderanno, forse". "E che cosa mai?". "Ti potrebbe esser chiesto di vedere". "Vedere cosa?" [...] "Tutte queste pietre sudano il dolore, lo so. Non l'ho mai guardate senza angoscia. Ma dal fondo del mio cuore so che i più miserabili di voi hanno visto sorgere dalla loro oscurità un volto divino. è questo volto che vi si chiede di vedere".
    Mi sono animato un po'. Ho detto che erano mesi che guardavo quei muri. Non c'era nulla né alcuna persona al mondo che conoscessi meglio. Forse, già molto tempo prima vi avevo cercato un volto. Ma quel volto aveva il colore del sole e la fiamma del desiderio: era quello di Maria.
  • "No, non posso crederti. Sono sicuro che ti è avvenuto di desiderare un'altra vita". Gli ho risposto che naturalmente mi era avvenuto, ma ciò non aveva maggiore importanza che il desiderare di essere ricco, di nuotare molto veloce o di avere una bocca meglio fatta. Erano desideri dello stesso ordine. Ma lui mi ha interrotto e voleva sapere come vedevo quest'altra vita. Allora gli ho urlato:"Una vita in cui possa ricordarmi di questa"
  • Io, pareva che avessi le mani vuote. Ma ero sicuro di me, sicuro di tutto, più sicuro di lui, sicuro della mia vita e di questa morte che stava per venire. Sì, non avevo che questo. Ma perlomeno avevo in mano questa verità così come essa aveva in mano me.
  • Tutti sono privilegiati. Non ci sono che privilegiati. Anche gli altri saranno condannati un giorno. Anche lui sarà condannato.
  • Dal fondo del mio avvenire, durante tutta questa vita assurda che avevo vissuta, un soffio oscuro risaliva verso di me attraverso annate che non erano ancora venute e quel soffio uguagliava, al suo passaggio, ogni cosa che mi fosse stata proposta allora nelle annate non meno irreali che stavo vivendo.
  • Così vicina alla morte, la mamma doveva sentirsi liberata e pronta a rivivere tutto. Nessuno, nessuno aveva il diritto di piangere su di lei. E anch'io mi sentivo pronto a rivivere tutto. Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida d'odio."

Nozze

  • Chiamo imbecille colui che ha paura di gioire. (Nozze a Tipasa)
  • È noto che la patria si riconosce sempre al momento di perderla. (L'estate a Algeri)
  • Il contrario di un popolo civile è un popolo creatore. (L'estate a Algeri)
  • La speranza, al contrario di quel che si crede, equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi. (L'estate a Algeri)

Saggi letterari

  • C'è la bellezza e ci sono gli umiliati. Per difficile che sia l'impresa, vorrei non essere mai infedele né all'una né agli altri.
  • Non c'è amore del vivere senza disperazione di vivere.
  • Segno della giovinezza è forse una magnifica vocazione alle facili felicità.
  • Sono avaro di quella libertà che sparisce non appena comincia l'eccesso dei beni.

Incipit di alcune opere

L'esilio e il regno

Una mosca magra volava da qualche istante in quella corriera dai vetri ermeticamente chiusi. Inconsueta, andava e veniva senza far rumore, con un volo estenuato. Janine la perse di vista, poi la vide atterrare sulla mano immobile di suo marito. Faceva freddo. Ad ogni raffica del vento sabbioso che strideva sui vetri, la mosca aveva un fremito. Nella luce rara di quel mattino d'inverno, il veicolo avanzava a stento, si agitava in bilico, con gran fragore di lamiere e d'assali. Janine guardava suo marito. Spighe di capelli grigi piantati bassi sulla fronte angusta, naso largo, bocca irregolare. Marcel sembrava un fauno imbronciato.
[Albert Camus, L'esilio e il regno, traduzione di Sergio Morando, Garzanti]

L'estate e altri saggi solari

In primavera, Tipasa è abitata dagli dei e gli dei parlano nel sole e nell'odore degli assenzi, nel mare corazzato d'argento, nel cielo d'un blu crudo, fra le rovine coperte di fiori e nelle grosse bolle di luce, fra i mucchi di pietre. In certe ore la campagna è nera di sole. Gli occhi tentano invano di cogliere qualcosa che non sian le gocce di luce e di colore che tremano sulle ciglia. Il voluminoso odore delle piante aromatiche raschia in gola e soffoca nella calura enorme. All'estremità del paesaggio, posso vedere a stento la massa scura dello Chenoua che ha la base fra le colline intorno al villaggio, e si muove con ritmo deciso e pesante per andare ad accosciarsi nel mare.
[Albert Camus, L'estate e altri saggi solari, traduzione di C. Pastura e Silvio Perrella, Bompiani]

Citazioni su Albert Camus

  • Camus diceva che Cristo è venuto a questo mondo per affrontare due problemi che la filosofia non risolverà mai. Primo: perché soffro? E secondo: perché nasco con appeso al collo il cartello "condannato a morte"?... Gesù li ha presi su di sé, quindi li ha sacralizzati. (Giovanni Reale)
  • [L'opera di Camus] Ci offre la promessa di una letteratura classica, senza illusioni, ma piena di fiducia nella grandezza dell'umanità; dura, ma senza inutile violenza appassionata ma riservata... una letteratura che si sforza di descrivere la condizione metafisica dell'uomo pur partecipando pienamente ai movimenti della società. (da Jean-Paul Sartre, Vogue, 1945)
  • Albert Camus è uno degli scrittori dell'Algeria francese che può giustamente essere definito di fama mondiale. Eppure, come era già accaduto nel caso di Jane Austen un secolo prima, anche con Camus i critici hanno ignorato la realtà dell'impero, così evidente nelle sue opere. [...] Camus è una figura di particolare rilievo nella terribile e caotica situazione delle colonie francesi durante il faticoso processo di decolonizzazione del Novecento. Egli appartiene al periodo finale dell'imperialismo al quale è sopravvissuto, sino ai giorni nostri, come scrittore «universalista» le cui radici affondano in un colonialismo ormai dimenticato. (da Edward W. Said, Cultura e imperialismo, traduzione di Stefano Chiarini e Anna Tagliavini, Gamberetti Editrice, 1998)

Note

  1. In risposta alla domanda su quali scrittori viventi fossero più importanti per lui.
  2. And also Simone Weil – sometimes the dead are closer to us than the living. (citato in postfazione a Simone Weil, On the Abolition of All Political Parties, Black Inc., Melbourne, 2013. ISBN 9781921870903)
  3.  Cfr. il commento dell'associazione "Il folle volo"; citato in Siate realisti, chiedete l'impossibile, 21 luglio 2004.


Citazioni di Jean-Paul Sartre

  • A Napoli ho scoperto l'immonda parentela tra l'amore e il Cibo. Non è avvenuto all'improvviso, Napoli non si rivela immediatamente: è una città che si vergogna di se stessa; tenta di far credere agli stranieri che è popolata di casinò, ville e palazzi. Sono arrivato via mare, un mattino di settembre, ed essa mi ha accolto da lontano con dei bagliori scialbi; ho passeggiato tutto il giorno lungo le sue strade diritte e larghe, la Via Umberto, la Via Garibaldi e non ho saputo scorgere, dietro i belletti, le piaghe sospette che esse si portano ai fianchi. Verso sera ero capitato alla terrazza del caffè Gambrinus, davanti a una granita che guardavo malinconicamente mentre si scioglieva nella sua coppa di smalto. Ero piuttosto scoraggiato, non avevo afferrato a volo che piccoli fatti multicolori, dei coriandoli. Mi domandavo: «Ma sono a Napoli? Napoli esiste?».[1]
  • Anche nel democratico più liberale si può nascondere una sfumatura di antisemitismo: egli è ostile all'ebreo nella misura in cui questi osa pensarsi, appunto, ebreo.[2]
  • Ciò che non è assolutamente possibile è non scegliere.[3]
  • Cristo si è fermato a Eboli, L'Orologio, sono i momenti di un'autobiografia che non può svolgersi altrimenti che ricostruendo la storia della società italiana, dal fascismo ai primi anni del dopoguerra. Carlo Levi — qui è il centro della sua arte — non dipinge un quadro d'insieme di codesta società per poi, subito dopo, inserirvisi; non procede verso l'universale astratto. Nella sua opera il moto di universalizzazione è tutt'uno con l'approfondimento del concreto. Dai suoi inizi ci ha posto, sempre, contemporaneamente su due piani: quello della Storia e quello delle sue storie, specchiantisi l'uno nell'altro. Mi sia consentito affermare, in questa occasione, il mio totale consenso a un'arte dello scrivere cosí concepita. Io credo che, attualmente, non possiamo tentare nient'altro che collocare i nostri lettori in questa doppia prospettiva: di una vita che si singola-rizza, avida di gustare il sapore di tutte le altre vite, e di una universalità strutturata del vissuto che si totalizza soltanto nelle vite particolari. [...] Quella curiosità di cui poco fa ho parlato, e che ha fatto di lui lo scrittore di cui non possiamo mai dimenticarci, è nata dalla passione di vivere, che lo induce a cogliere come un valore, in se stesso e negli altri, ogni esperienza vissuta. In Levi tutto si accorda, tutto si tiene. Medico dapprima, poi scrittore e artista per una sola identica ragione: l'immenso rispetto per la vita. E questo stesso rispetto è all'origine del suo impegno politico, cosí come alla sorgente della sua arte.[4]
  • Il lavoro migliore non è quello che ti costerà di più, ma quello che ti riuscirà meglio.[5]
  • Innanzitutto era insolita l'ora del nostro appuntamento: la mezzanotte [...] Attraversando la sala, benché fosse pienamente illuminata, ebbi la sensazione di esser salito su un treno prima dell'alba e di trovarmi in uno scompartimento di gente addormentata [...] Si aprì una porta. Simone de Beauvoir ed io entrammo e quell'impressione scomparve.
    Un ufficiale dell'esercito ribelle, coperto da un basco, mi aspettava: aveva la barba e i capelli lunghi come i soldati che erano all'ingresso, ma il volto limpido e sereno mi parve mattiniero. Era Guevara. [...] Quei giovani [Guevara e i suoi compagni] tributano un culto discreto all'energia, tanto amata da Stendhal. Non si creda però che ne parlino, che ne ricavino una teoria. Vivono l'energia, la praticano, forse la inventano: si dimostra negli effetti, ma essi non pronunciano una parola al riguardo.
    La loro energia si manifesta. ... quasi arrivano a ripetere la frase di Pascal: "È necessario non dormire". Si direbbe che il sonno li abbia abbandonati, che anch'esso sia emigrato a Miami".
    Siate sempre capaci di sentire nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in ogni parte del mondo. Questa è la parte più bella di un rivoluzionario.[6]
  • La società rispettabile credeva in Dio per evitare di doverne parlare.[7]
  • L'inferno sono gli altri.[8]
  • Lungi dall'essere esaurito, il marxismo è ancora giovanissimo, quasi nell'infanzia: ha appena cominciato a svilupparsi. Esso rimane dunque la filosofia del nostro tempo: è insuperabile perché le circostanze che l'hanno generato non sono ancora superate.[9]
  • Noi non abbiamo né dietro a noi, né dinanzi a noi, in un dominio luminoso dei valori, delle giustificazioni o delle scuse. Siamo soli, senza scuse.
  • Non facciamo quello che vogliamo e tuttavia siamo responsabili di quel che siamo.[10]
  • Paul persisteva nel dirsi comunista. E rifletteva, patiemment, come correggere la deviazione senza cadere nell'idealismo.[11]
  • Non voglio essere letto perché Nobel, ma solo se il mio lavoro lo merita.[12]
  • Per ottenere una verità qualunque sul mio conto, bisogna che la ricavi tramite l' altro. L'altro è indispensabile alla mia esistenza, così come alla conoscenza che io ho di me.[3]
  • Qualche ora o qualche anno di attesa [della morte] è lo stesso, quando si è perduta l'illusione di essere eterno.[13]
  • Tu usi la filosofia come alibi per abdicare all'impegno" Mio caro Merleau, [...] Tu hai criticato la mia posizione direttamente e indirettamente, sia conversando con me che pubblicamente. Io, da parte mia, mi sono limitato a difendermi. Come se la tua posizione fosse giusta, ed io invece dovessi giustificarmi di non condividerla. Perché l'ho fatto? Perché sono così: detesto mettere sotto accusa, foss'anche per difendermi, le persone che amo.[14]
    da Incontro con Jean Paul Sartre: i poteri dell'intellettuale (1966), Rai Storia, 21 giugno 2011
  • Non credo che la felicità esista; credo che esista soltanto la gioia.
  • La gioia è quando ci si sente nel pieno delle proprie forze, della propria intelligenza, del proprio potere; quando si compie un'azione, un'azione difficile, e si riesce ad ampliare con essa il potere dell'uomo. Non il proprio potere soltanto, ma quello dell'uomo. Penso per esempio che un Gagarin o un Cooper abbiano conosciuto la gioia. [Vale a dire, sarebbe il lavoro soddisfatto?] Sì, il lavoro nel momento in cui si fa. Anche perché è il lavoro che definisce l'uomo.
  • Un uomo è insieme giudice e parte in causa della sua realtà, e si ignora nella misura stessa in cui si conosce. Tutto ciò presuppone un tipo di verità approssimativa, che è la verità propriamente filosofica, e cioè lo sforzo che fa l'uomo per scoprire se stesso e per eliminare quanto c'è di troppo umano in ogni frase che dice sul suo conto.

Bariona o il figlio del tuono

  • Che cosa c'è di più commovente per un cuore d'uomo che l'inizio di un mondo e la giovinezza dai tratti ambigui e l'inizio di un amore, quando tutto è ancora possibile, quando il sole è presente nell'aria e sui visi, come una fine polvere senza essersi ancora mostrato e fa presagire, nell'acre freschezza del mattino, le pesanti promesse del giorno.
  • La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L'ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio!
  • Nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l'espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride.
  • Ora l'angelo sta davanti a Maria e Maria è impenetrabile e cupa come una foresta di notte e la buona novella si è perduta in lei come un viaggiatore si perde nei boschi. E Maria è piena di uccelli e del lungo stormire delle fronde. E mille pensieri senza parola si destano in lei, pensieri pesanti di madri che accettano il dolore.
  • Sono cieco, per caso, ma prima di perdere la vista, ho guardato più di mille volte le immagini che contemplerete.

Il diavolo e il buon Dio

  • Dio è il Silenzio, Dio è l'Assenza, Dio è la Solitudine degli uomini.
  • Quando i ricchi si fanno la guerra, sono i poveri a morire.[15]
  • La mia testa è un sabba e tu ne sei tutte le streghe.
  • Quando Dio tace, gli si può far dire quello che si vuole.

L'essere e il nulla

  • L'odio mira a trovare una libertà senza limiti di fatto, cioè a sbarazzarsi del proprio impercettibile essere-oggetti-per-l'altro e abolire la propria dimensione di alienazione. Ciò equivale a proporsi di realizzare un mondo in cui l'altro non esiste.
  • L'uomo è una passione inutile. (traduzione di G. Del Bo, Il Saggiatore, 1965², p. 738)
  • L'uomo è condannato ad essere libero.
  • Non ci sono bambini "innocenti".

La morte nell'anima

Incipit

New York, ore 9 a. m. Sabato 15 giugno 1940
Una piovra? Afferrò il coltello, aperse gli occhi, era un sogno.
La piovra era lì, lo succhiava con le sue ventose: il caldo.
Sudava. Si era addormentato verso l'una, alle due il caldo l'aveva svegliato, si era tuffato in un bagno freddo, poi ricoricato senza asciugarsi; subito dopo il fuoco s'era rimesso a soffiargli sotto la pelle, aveva ricominciato a sudare.
All'alba si era addormentato, aveva sognato un incendio; adesso il sole era certamentegià alto, e Gomez sudava sempre: sudava senza requie da quarantotto ore.
«Dio buono!» sospirò, passandosi la mano umida sul petto bagnato.
Questo non era calore, era una malattia dell'atmosfera: l'aria aveva la febbre, l'aria sudava, si sudava nel sudore.

Citazioni

  • La pace non è né democratica né nazista: è la pace. (p. 30)

La nausea

Incipit

La miglior cosa sarebbe scrivere gli avvenimenti giorno per giorno.
Tenere un diario per vederci chiaro. Non lasciar sfuggire le sfumature, i piccoli fatti anche se non sembrano avere alcuna importanza, e soprattutto classificarli.
Bisogna dire come io vedo questa tavola, la via, le persone, il mio pacchetto di tabacco, poiché è questo che è cambiato.
Occorre determinare esattamente l'estensione e la natura di questo cambiamento.
Per esempio ecco un astuccio di cartone che contiene la mia bottiglia d'inchiostro.
Bisognerebbe provare a dire come la vedevo prima e come adesso la...[16]
Ebbene! È un parallelepipedo rettangolo che si distacca su — è idiota.
Non c'è nulla da dirne. Ecco quel che si deve evitare, non bisogna mettere dello strano dove non c'è nulla. Credo sia questo il pericolo, quando si tiene un diario: si esagera tutto, si sta in agguato, si forza continuamente la verità.
D'altra parte son certo che da un momento all'altro — sia a proposito di questo astuccio che di qualsiasi altro oggetto — io posso ritrovare l'impressione dell'altro ieri.
Devo star sempre all'erta altrimenti essa mi scivolerà ancora di tra le dita.
Non bisogna...[17] ma notare accuratamente e con i maggiori particolari tutto ciò che succede.

Citazioni

  • «I tuoi indiavolati capelli guastano tutto» diceva. «Che cosa si può farne di un uomo rosso?»
  • Alle tre del pomeriggio è sempre troppo presto o troppo tardi per qualsiasi cosa tu voglia fare.
  • Io non so approfittare dell'occasione: vado a caso, vuoto e calmo, sotto un cielo inutilizzato.
  • Gli oggetti son cose che non dovrebbero commuovere, poiché non sono vive. Ci se ne serve, li si rimette a posto, si vive in mezzo ad essi: sono utili, niente di più. E a me, mi commuovono, è insopportabile. Ho paura di venire in contatto con essi proprio come se fossero bestie vive.
    Ora me ne accorgo, mi ricordo meglio ciò che ho provato l'altro giorno, quando tenevo quel ciottolo. Era una specie di nausea dolciastra. Com'era spiacevole! E proveniva dal ciottolo, ne son sicuro, passava dal ciottolo nelle mie mani. Sì, è così, proprio così, una specie di nausea nelle mie mani. (2003, p. 20)
  • La sua camicia di cotone azzurro spicca allegramente sulla parete color cioccolato. Anche questo dà la Nausea. O piuttosto, è la Nausea. La Nausea non è in me: io la sento laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt'uno col caffè, son io che sono in essa. (2003, p. 31)
  • Altre carte continuano a cadere, le mani vanno e vengono. Che curiosa occupazione, non sembra né un gioco, né un rito, né un'abitudine. Credo ch'essi lo facciano per occupare il tempo, semplicemente. Ma il tempo è troppo vasto, non si lascia riempire. Tutto ciò che uno vi getta s'ammollisce e si stira. Per esempio questo gesto della mano rossa, che raccoglie le carte incespicando, è fiacco. Bisognerebbe scucirlo e tagliarlo dentro. (2003, p. 32)
  • Io vedo l'avvenire. È là, posato sulla strada, appena un po' più pallido del presente. Che bisogno ha di realizzarsi? Che cosa ci guadagna? La vecchia s'allontana zoppicando, si ferma, si tira su una ciocca grigia che le sfugge dal fazzoletto. Cammina, era là, ora è qui... non so più come sia: li vedo, i suoi gesti, o li prevedo? Non distinguo più il presente dal futuro, e tuttavia la cosa continua, si realizza a poco a poco; la vecchia avanza per la via deserta, sposta le sue grosse scarpe da uomo. Questo è il tempo, né più né meno che il tempo, giunge lentamente all'esistenza, si fa attendere, e quando viene si è stomacati perché ci si accorge che era già lì da un pezzo. (2003, p. 44)
  • Ecco che cosa ho pensato: affinché l'avvenimento più comune divenga un'avventura è necessario e sufficiente che ci si metta a raccontarlo. È questo che trae in inganno la gente: un uomo è sempre un narratore di storie, vive circondato delle sue storie e delle storie altrui, tutto quello che gli capita lo vede attraverso di esse, e cerca di vivere la sua vita come se la raccontasse. [...] Avrei voluto che i momenti della mia vita si susseguissero e s'ordinassero come quelli d'una vita che si rievoca. Sarebbe come tentar d'acchiappare il tempo per la coda. (2003, p. 53-55)
  • Niente è cambiato, e tuttavia tutto esiste in un'altra maniera. Non posso descriverlo, è come la Nausea e tuttavia è esattamente l'opposto: finalmente mi capita un'avventura e se m'interrogo vedo che mi capita e che sono io che sono qui; sono io che fendo la notte, sono felice come un eroe di romanzo. (2003, p. 72)
  • Un brivido mi percorre dalla testa ai piedi: è... è lei che m'attendeva. Lei era lì, ergendo il suo busto immobile sopra la cassa, e sorrideva. Dal fondo di questo caffè qualcosa torna indietro sui momenti sparsi di questa domenica e li salda gli uni agli altri, dà loro un senso: ho traversato tutta questa giornata per venire a finir qui, con la fronte contro questo vetro, per contemplare questo volto fine che si schiude su una tenda granata. Tutto s'è fermato; la mia vita s'è arrestata: questo vetro, quest'aria greve, azzurra come l'acqua, ed io stesso formiamo un tutto immobile e compatto: sono felice. (2003, p. 73)
  • Sono invecchiati in un altro modo. Vivono in mezzo alle cose ereditate, ai regali, ed ogni mobile per loro è un ricordo. Pendole, medaglie, ritratti, conchiglie, fermacarte, paraventi, scialli. Hanno armadi pieni di bottiglie, di stoffe, di vecchi vestiti, di giornali, hanno conservato tutto. Il passato è un lusso da proprietari.
    Ed io dove potrei conservare il mio? Non ci si può mettere il passato in tasca; bisogna avere una casa per sistemarvelo. lo non possiedo che il mio corpo; un uomo completamente solo, col suo corpo soltanto, non può fermare i ricordi, gli passano attraverso. Non dovrei lagnarmi: il mio solo desiderio è stato d'esser libero. (2003, p. 85)
  • La verità m'appare d'un tratto: quest'uomo morirà presto. Di sicuro lo sa anche lui; basta che si sia guardato ad uno specchio: di giorno in giorno rassomiglia sempre più al cadavere che sarà. Ecco che cos'è la loro esperienza; ecco perché mi son detto tante volte che odora di morte: è la loro ultima difesa. Il dottore vorrebbe pur credervi, vorrebbe mascherarsi l'insopportabile realtà: ch'egli è solo, che non ha capito nulla, che non ha passato; con un'intelligenza che gli s'intorbida, e un corpo che si sfascia. E allora egli ha apprestato ben bene, ha ben sistemato e imbottito il suo piccolo delirio di compensazione: dice a se stesso che progredisce. (2003, p. 90)
  • Finché si resta tra queste mura, tutto ciò che dovrà capitare capiterà a sinistra o a destra della stufa. Se san Dionigi in persona volesse entrare qui dentro, reggendo la testa fra le mani, dovrebbe entrare da destra, e camminare tra gli scaffali consacrati alla letteratura francese e la tavola riservata alle lettrici. E se non toccasse terra, se si librasse a venti centimetri dal suolo, il suo collo sanguinante arriverebbe esattamente all'altezza del terzo scaffale. Così questi oggetti servono almeno a fissare i limiti del verosimile. (in biblioteca; 2003, p. 98)
  • Ma il suo giudizio mi trafiggeva come una spada e metteva in discussione perfino il mio diritto d'esistere. Ed era vero, me n'ero sempre reso conto: non avevo il diritto di esistere. Ero apparso per caso, esistevo come una pietra, una pianta, un microbo. La mia vita andava a capriccio, in tutte le direzioni. A volte mi dava avvertimenti vaghi, a volte non sentivo che un ronzio senza conseguenze. (2003, p. 108)
  • La vera natura del presente si svelava: era ciò che esiste, e tutto quel che non avevo presente, non esisteva. Il passato non esisteva. Affatto. Né nelle cose e nemmeno nel mio pensiero. Certo, avevo capito da un pezzo che il mio presente mi era sfuggito. Ma fino a quel momento credevo che si fosse soltanto ritirato fuori della mia portata. (2003, p. 121)
  • Tutto è pieno, esistenza dappertutto, densa e pesante e dolce. Ma al di là di tutta questa dolcezza, inaccessibile, vicinissimo, e, ahimè, così lontano, giovane, spietato e sereno c'è... questo rigore. (2003, p. 130)
  • È dunque questa, la Nausea: quest'accecante evidenza? Quanto mi ci son lambiccato il cervello! Quanto ne ho scritto! Ed ora lo so: io esisto — il mondo esiste — ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi è indifferente. È strano che tutto mi sia ugualmente indifferente: è una cosa che mi spaventa. È cominciato da quel famoso giorno in cui volevo giuocare a far rimbalzare i ciottoli sul mare. Stavo per lanciare quel sassolino, l'ho guardato, ed è allora che è incominciato: ho sentito che esisteva. E dopo, ci sono state altre Nausee; di quando in quando gli oggetti si mettono ad esistervi dentro la mano. C'è stata la Nausea del «Ritrovo dei ferrovieri» e poi un'altra, prima, una notte in cui guardavo dalla finestra, e poi un'altra al giardino pubblico, una domenica, e poi altre. Ma non era mai stata così forte come oggi. (2003, pp. 153-4)
  • Questo momento è stato straordinario. Ero lì, immobile e gelato, immerso in un'estasi orribile. Ma nel seno stesso di quest'estasi era nato qualcosa di nuovo: comprendevo la Nausea, ora, la possedevo. A dire il vero, non mi formulavo la mia scoperta. Ma credo che ora mi sarebbe facile metterla in parole. L'essenziale è la contingenza. Voglio dire che, per definizione, l'esistenza non è la necessità. Esistere è esser lì, semplicemente; gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare, ma non li si può mai dedurre. C'è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. Orbene, non c'è alcun essere necessario che può spiegare l'esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza, un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare, come l'altra sera al «Ritrovo dei ferrovieri»: ecco la Nausea; ecco quello che i Porcaccioni — quelli di Poggio Verde e gli altri — tentano di nascondersi con il loro concetto di diritto. Ma che meschina menzogna: nessuno ha diritto; essi sono completamente gratuiti, come gli altri uomini, non arrivano a non sentirsi di troppo. E nel loro intimo, segretamente, sono di troppo, cioè amorfi e vacui; tristi. (2003, p. 164)
  • Tutto era pieno, tutto era in atto, non c'era intervallo, tutto, perfino il più impercettibile sussulto, era fatto con un po' d'esistenza. E tutti questi esistenti che si affaccendavano attorno all'albero non venivano da nessun posto e non andavano in nessun posto. Di colpo esistevano, e poi, di colpo non esistevano più: l'esistenza è senza memoria; di ciò che scompare non conserva nulla — nemmeno un ricordo. (2003, p. 166)
  • Ogni esistente nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione. (2003, p. 167)
  • La Vegetazione ha strisciato per chilometri verso le città. Attende. Quando la città sarà morta essa l'invaderà, s'arrampicherà sulle pietre, le imprigionerà, le rovisterà, le farà scoppiare con le sue lunghe pinze nere, ne accecherà i buchi e lascerà pendere dappertutto delle zampe verdi. Bisogna restare nelle città fintanto che son vive, non bisogna penetrare da soli in questa grande chioma che è alle loro porte: bisogna lasciarla ondeggiare e crollare senza testimoni. (2003, p. 194)
  • Che imbecilli. Mi ripugna il pensare che sto per rivedere le loro facce ottuse e piene di sicurezza. Legiferano, scrivono romanzi populisti, si sposano, hanno l'estrema stupidità di fare figli. E frattanto la grande natura incolta s'è insinuata nella loro città, s'è infiltrata dappertutto, nelle loro case, nei loro uffici, in loro stessi. Non si muove, si mantiene ferma in essi, essi vi stan dentro in pieno, la respirano e non la vedono, credono che sia fuori, a venti miglia dalla città. Io la vedo, questa natura, la vedo... So che la sua sottomissione è pigrizia, so ch'essa non ha leggi: quella che scambiano per la sua costanza... Non ha che abitudini, e le può cambiare domani. (2003, p. 197)
  • Mi si dia qualcosa da fare, qualsiasi cosa... È meglio che pensi ad altro, perché in questo momento sto per recitarmi la commedia. So benissimo che non voglio far niente: far qualche cosa è creare dell'esistenza — e di esistenza ce n'è già abbastanza. (2003, p. 214)
  • Esso non esiste. È perfino urtante; se mi alzassi e strappassi questo disco dal piatto che lo regge e lo spezzassi in due, non lo raggiungerei nemmeno. Esso è al di là — sempre al di là di qualche cosa, d'una voce, d'una nota di violino. Attraverso spessori e spessori d'esistenza, si svela, sottile e fermo, e quando lo si vuole afferrare non s'incontra che degli esistenti, si cozza contro esistenti privi di senso. È dietro di essi: non lo odo nemmeno, odo dei suoni, delle vibrazioni che lo rivelano. Ma esso non esiste, poiché non ha niente di troppo: è tutto il resto che è di troppo in rapporto ad esso. Esso è. (2003, p. 216)
  • Lo sai, mettersi ad amare qualcuno, è un'impresa. Bisogna avere un'energia, una generosità, un accecamento… C'è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio: se si riflette non lo si fa. Io so che non salterò mai piú. (Anny: 1948, p. 195)

Explicit

Canta. Eccone due che si son salvati: l'ebreo e la negra. salvati. Magari si saran creduti perduti fino alla fine, annegati nell'esistenza. E tuttavia nessuno potrà pensare a me come io penso a loro. Nessuno, nemmeno Anny. Per me sono un po' come morti, un po' come eroi da romanzo; si son lavati del peccato d'esistere. Non completamente beninteso — ma quel tanto che un uomo può fare. Quest'idea mi sconvolge d'un tratto, perché non speravo nemmeno più questo. Sento qualcosa che mi sfiora timidamente e non oso nemmeno muovermi per paura che scompaia. Qualcosa che non conoscevo più: una specie di gioia.
La negra canta. Allora, è possibile giustificare la propria esistenza? Un pochino? Mi sento straordinariamente intimidito. Non che abbia molta speranza. Ma sono come uno completamente gelato dopo un viaggio nella neve, che entri di colpo in una camera tiepida. Penso che resterebbe immobile vicino alla porta, ancora freddo, e che lenti brividi percorrerebbero il suo corpo.

Some of these days
You'll miss me honey.


Non potrei forse provare... Naturalmente, non si tratterebbe d'un motivo musicale... ma non potrei forse, in un altro genere?... Dovrebbe essere un libro: non so far altro. Ma non un libro di storia: la storia parla di ciò che è esistito — un esistente non può mai giustificare un altro esistente. Il mio errore era di voler resuscitare il signor di Rollebon. Un'altra specie di libro. Non so bene quale — ma bisognerebbe che s'immaginasse, dietro le parole stampate, dietro le pagine, qualche cosa che non esistesse, che fosse al di sopra dell'esistenza. Una storia, per esempio, come non possono capitarne, un'avventura. Dovrebbe essere bella e dura come l'acciaio, e che facesse vergognare le persone della propria esistenza.
Me ne vado, mi sento incerto. Non oso prendere una decisione. Se fossi sicuro d'aver talento... Ma mai — mai ho scritto niente di questo genere; articoli storici, sì — e ancora. Un libro. Un romanzo. E ci sarebbe gente che leggerebbe questo romanzo e direbbe: è Antonio Roquentin che l'ha scritto, era un tipo rosso che si trascinava per i caffè, e penserebbe alla mia vita come io penso a quella di questa negra: come a qualcosa di prezioso e di semileggendario. Un libro. Ma naturalmente da principio ciò non sarebbe che un lavoro noioso e stanchevole, non m'impedirebbe d'esistere né di sentire che esisto. Ma verrebbe pure un momento in cui il libro sarebbe scritto, sarebbe dietro di me e credo che un po' della sua luce cadrebbe sul mio passato. Allora, forse, attraverso di esso, potrei ricordare la mia vita senza ripugnanza. Forse un giorno, pensando precisamente a quest'ora, a quest'ora malinconica in cui attendo, con le spalle curve, che sia ora di salire sul treno, sentirei il mio cuore battere più in fretta e mi direi: quel giorno a quell'ora è cominciato tutto. E arriverei — al passato, soltanto al passato — ad accettare me stesso.
Scende la notte. Al primo piano dell'albergo Printania si sono illuminate due finestre. Il cantiere della stazione nuova odora forte di legno umido: domani pioverà, a Bouville.

Incipit de Le parole

In Alsazia, verso il 1850, un maestro di scuola carico di figli lasciò di propria volontà l'insegnamento per diventare droghiere.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Explicit de Il muro

Un orologio suonò mezzogiorno: Luciano si alzò. La metamorfosi era compiuta: in quel caffè, un'ora prima, era entrato un adolescente grazioso ed incerto; un uomo ne usciva, un capo tra i francesi. Luciano mosse alcuni passi nella luce gloriosa d'un mattino di Francia. All'angolo della strada delle scuole col boulevard Saint-Michael si avvicinò a una cartoleria e si guardò nello specchio: avrebbe voluto ritrovare sul suo viso l'aria impermeabile che ammirava su quello di Lemordant. Ma lo specchio non gli rimandò che un grazioso visetto ostinato che ancora non era abbastanza terribile. "Mi lascerò crescere i baffi" decise.

Citazioni su Jean-Paul Sartre

  • Il dato della morte è indissolubile dal quadro delle categorie di ogni vero romanziere. In fondo ogni romanziere degno di questo nome non fa altro che proporre una risposta semplice e inevitabile domanda. Sartre ha detto di volerla evitare ma la sua dichiarazione ha un valore relativo; il suo mondo era così impregnato di morte, da poterne fare a meno, da metterla per un momento in un angolo, ma i suoi personaggi in fondo non ci dicono mai se sono liberi, se tutto si giuoca qui e adesso. Anzi direi che l'uomo solo di Sartre è solo perché è di fronte alla morte, perché nessuna illusione riesce a attecchire nella sua memoria, nel registro della fantasia. (Carlo Bo)
  • Forse Sartre è scandaloso come lo è stato Gide: perché mette il valore dell'uomo nella sua imperfezione. "Non amo l'uomo", diceva Gide, "amo quel che lo divora". La libertà di Sartre divora l'uomo come entità costituita. (Maurice Merleau-Ponty)

Note

  1. Citato in Spaesamento – Napoli e Capri, introduzione e traduzione di Aniello Montano, Napoli, Dante & Descartes, 2000; visibile su Il Mattino online.
  2. Da Rèflexions sur la question juive, 1946, ed. Gallimard, Parigi.
  3. Da L'esistenzialismo è un umanismo, 1946.
  4. Da Galleria, 3-6 (1967), pp. 259-60, a cura di Aldo Marcovecchio; citato in Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, 1990, p. XII.
  5. Da Le mani sporche.
  6. Da una lettera lasciata ai suoi figli prima di partire per il Congo; da Così incontrai il "Che", in Ernesto Che Guevara – uomo, compagno, amico..., Coop Erre emme edizioni.
  7. Da Le parole.
  8. Da A porte chiuse.
  9. Da Questions de méthode (Questioni di metodo), in Critique de la raisson dialectique, Gallimard, Paris, 1960, traduzione italiana di F. Ferniani, Il Saggiatore, Milano, 1976, pagg. 92-96.
  10. Da Situazioni.
  11. Citato in Gaspare Barbiellini Amidei, Perché credere?, Arnoldo Mondadori Editore, 1991.
  12. Da dichiarazione su Le Figaro, 23 ottobre 1964.
  13. Da il muro.
  14. Citato in Merleau Ponty e Le lettere del divorzio, Corriere della Sera, 28 gennaio 1997.
  15. Cfr. Louis Blanc: «È coi poveri che i ricchi fanno la guerra».
  16. Una parola lasciata in bianco [nda].
  17. Una parola è cancellata (forse «forzare» o «forgiare»), un'altra, riscritta sopra, è illeggibile [nda].

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