Le più belle frasi di Albert Camus
LO STRANIERO:
Grande romanzo dell'Assurdo, con cui il filosofo esistenzialista Albert Camus rappresenta l'inconsistenza della vita.
Attraverso il lungo monologo del protagonista Meursault, condannato alla decapitazione in seguito all'omicidio di un arabo,
possiamo addentrarci nei meandri della psiche dell'uomo, "nauseato" o meglio, indifferente, a tutto: alla morte della madre, all'omicidio,
al processo, alla sentenza di morte.
Il momento dell'omicidio:
"Non sentivo più altro che il risuonar del sole sulla mia fronte,
e indistintamente, la sciabola sfolgorante sprizzata dal coltello
che mi era sempre in fronte...mi è parso che il cielo si aprisse in tutta la sua larghezza per lasciare piovere fuoco.Tutta la mia persona si è tesa e ho contratto la mano sulla rivoltella.
Il grilletto ha ceduto...allora ho sparato quattro volte"...
I dialoghi con il giudice e l'avvocato:
"Mi ha chiesto se quel giorno avevo sofferto.Questa domanda mi ha molto stupito e mi è parso che sarei stato molto imbarazzato se avessi dovuto farla io ad un altro.Comunque gli ho risposto che avevo un pò perduto l' abitudine di interrogare me stesso...naturalmente volevo bene alla mamma, ma questo non significava nulla.Tutte le persone normali,
gli ho detto, hanno una volta o l'altro desiderato la morte
di coloro che amano...in realtà non mi dispiaceva poi molto di
ciò che avevo fatto...mai ero riuscito a provare un dispiacere per qualcosa".
"Ho avuto fretta soltanto di farla finita presto e di ritrovare la mia cella e il sonno."
E il momento dell' attesa della pena capitale:
"Ero sempre io a morire, sia che morissi subito, sia che morissi fra vent'anni...."
"Dal momento che si muore, come e quando non importa, è evidente".
"Nulla aveva importanza, e sapevo bene il perchè.Dal fondo del mio avvenire, durante tutta questa vita assurda che avevo vissuta,
un soffio oscuro risaliva verso di me attraverso annate che non erano
ancora venute...davanti a quella notte carica di segni e stelle,
mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo.
Perchè tutto sia consumato, perchè io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molto spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio."
***
"Lo Straniero" di Albert Camus, 1942, pagina 129
Durante tutto il giorno avevo la domanda di grazia. Credo di aver sfruttato il massimo possibile quest'idea. Calcolavo gli effetti e ottenevo dalle mie riflessioni il miglior rendimento. Partivo sempre dalla supposizione peggiore: la domanda era respinta. "Ebbene, allora morrò". Più presto che molti altri, evidentemente. Ma tutti sanno che la vita non val la pena di essere vissuta, e in fondo non ignoravo che importa poco morire a trent'anni oppure a settanta quando si sa bene che in tutt'e due i casi altri uomini e altre donne vivranno, e questo per migliaia di anni. Tutto era molto chiaro, insomma: ero sempre io a morire, sia che morissi subito, sia che morissi fra vent'anni. A questo punto quel che mi turbava un po' nel mio ragionamento era il vuoto terribile che sentivo in me al pensiero di vent'anni di vita non ancora vissuta. Ma non avevo che da soffocarlo immaginando quali sarebbero stati i miei pensieri dopo vent'anni, quando mi sarei dovuto trovare in ogni modo a quel punto. Dal momento che si muore, come e quando non importa, è evidente. Dunque (e il difficile era di non perdere di vista tutto il filo dei ragionamenti che quel "dunque" rappresentava), dunque dovevo accettare che il mio ricorso fosse respinto.
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LA CADUTA
Clemence è un avvocato e decide di raccontarsi di fronte ad avventori sconosciuti, seduto in un bar, il Mexico City, ad Amsterdam.
Il libro si snoda in un lunghissimo monologo, al quale non viene data risposta. è come se Clemence parlasse a se stesso, di fronte a uno specchio che non ammette falsità o scusanti.
In fondo egli, parlando a tutti, è come se non parlasse a nessuno: la lunga confessione di Clemence, fatta (...forse...) con l'intento di redimere la coscienza rimarrà sterile e vuota, senza catarsi finale.
Il libro non raggiunge le vette estetiche dello "Straniero", ma è un'opera importante del percorso letterario-creativo di Camus, più che i giudizi altrui, dobbiamo temere il nostro giudizio....sulle maschere che ci mettiamo addosso.
"Per qualche tempo in apparenza, la mia vita continuò come se nulla fosse mutato.........in quel momento il pensiero della morte irruppe nella mia vita di tutti i giorni.........per essere franco, quello che facevo metteva conto di essere continuato? Ero perseguitato da un ridicolo timore: che non si potesse morire senza aver confessato tutte le proprie menzogne. Non a Dio, o a uno dei suoi rappresentanti.
Ero superiore a questo.........
Non possiamo affermare l'innocenza di nessuno mentre possiamo affermare con sicurezza che tutti sono colpevoli......
chi avrebbe creduto che il delitto non consiste tanto nel far morire altri quanto nel morire noi stessi.......Per desiderio di vita eterna, andavo a letto con le puttane e bevevo notti intere.
Certo, al mattino avevo in bocca il sapore amaro della condizione mortale......vivevo in una sorta di nebbia........morivo quietamente della mia guarigione....visto che non si potevano condannare gli altri senza giudicare immediatamente se stessi, bisognava incolpare se stessi per avere diritto di giudicare gli altri........da un po' di tempo a Mexico-City la mia utile professione consiste prima di tutto nel praticare il più possibile la confessione pubblica.
Mi accuso per lungo e per largo....più mi accuso più ho il diritto di giudicare........bevendo l'assenzio del giorno che nasce finalmente ebbro di parole cattive, io sono felice.
Avrei concluso la mia anonima carriera di falso profeta che grida nel deserto e rifiuta di uscirne."
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Posto qualche frase di Camus che trovo splendida *.* le trovate nei "Taccuini":
La rinuncia alla giovinezza: non sono io che rinuncio alle persone e alle cose (non lo potrei) sono le cose e le persone che rinunciano a me.La mia giovinezza mi sfugge: essere malati è questo.
La malattia è un convento con la sua regola, la sua ascesi, i suoi silenzi e le sue ispirazioni.
In autunno quel paesaggio s'infiora di foglie, i ciliegi diventano rossi, gli aceri gialli... i faggi si coprono di bronzo....
Al mattino tutto è coperto di brina, il cielo risplende dietro le ghirlande... piccoli crepitii come sospiri dell'albero, brina che cade al suolo con un rumore d' insetti bianchi gettati gli uni sugli altri...intorno le vali e le colline svaniscono in vapori...
La sensazione della morte che mi è familiare: senza il sostegno del dolore. il dolore aggrappa al presente, esige la lotta che occupa. Ma sentire la morte alla semplice vista di un fazzoletto inzuppato di sangue, significa piombare senza sforzo nel tempo in modo vertiginoso: è il terrore del divenire.
Dicembre: questo cuore pieno di lacrime e di notte...
La fine di un giorno freddo, i crepuscoli di ombre e di ghiaccio....più di quanto io possa sopportare....
Simone Weil dice: non si arriva alla verità senza essere passati per il proprio annientamento: senza aver soggiornato a lungo in uno stato di totale ed estrema umiliazione.
Quei momenti in cui ci si abbandona alla sofferenza come si fa con il dolore fisico: stesi, immobili,senza volontà , né avvenire, ad ascoltare soltanto le lunghe fitte del male....
Prigioniero della caverna, eccomi solo di fronte all'ombra del mondo.
Pomeriggio di gennaio, ma il freddo rimane dietro, nell'aria....chi sono e cosa posso fare,se non entrare in quel gioco di fronde e di luci.Essere questo raggio di sole in cui si consuma la mia sigaretta, questa dolcezza, questa passione discreta che respira nell'aria.
La vita è breve e perdere il proprio tempo è peccato.
Io il mio lo perdo continuamente e gli altri mi credono estremamente attivo...se ancora mi soffoca un senso di angoscia, esso consiste nel sentire che quest'attimo impalpabile mi scivola fra le dita come le perle del mercurio.... di questo mondo è il mio regno: una nube che passa e un istante che si spegne: la morte di me per me stesso.
Questa sofferenza mi inebria perchè è questo sole e queste ombre, questo caldo e questo freddo che si sente in lontananza nel fondo stesso dell'aria.
Non bisogna perdere la speranza di essere ancora vivi nella propria giovinezza. Il giorno in cui i fiori rinasceranno finalmente dalle rovine.
La vertigine di perdersi e negare tutto, di non assomigliare a niente, di
spezzare per sempre ciò che ci definisce, di offrire al presente la solitudine e il nulla, di ritrovare la piattaforma unica da cui i destini possono ad ogni istante ricominciare.
Al mattino aspettavo all'angolo di un prato sotto i grandi noccioli, nel freddo vento d'autunno, ronzio senza calore delle vespe, il vento tra le foglie...tra il cielo bruno di settembre e la terra umida....
L'acqua gelata dei bagni primaverili, le meduse morte sulla spiaggia.Una gelatina assorbita a poco a poco dalla sabbia.Le immense dune di sabbia pallida, il mare e la sabbia, questi due deserti.
Nel solleone, sulle dune immense, il mondo si rinserra e si chiude. è una gabbia di calore e di sangue.non si estende oltre il mio corpo...le dune il deserto il cielo ritrovano la loro distanza, che è infinita.
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Dal "Caligola" (1941)
Atto II
"La solitudine, sì, la solitudine! La conosci tu la solitudine? sì, quella dei poeti e degli impotenti.
La solitudine? Quale solitudine?
Ma lo sai che non si è mai soli?
E che dovunque ci portiamo addosso il peso del nostro passato e anche quello del nostro futuro?
Tutti quelli che abbiamo ucciso sono sempre con noi.
E fossero solo loro, poco male.
Ma ci sono anche quelli che abbiamo amato, quelli che abbiamo amato e che ci hanno amato.
Il rimpianto, il desiderio, il disincanto e la dolcezza, le puttane e la banda degli dei!.....
La solitudine risuona di denti che stridono, chiasso, lamenti perduti.....se soltanto potessi godere la vera solitudine, non questa mia solitudine infestata dai fantasmi, ma quella vera, fatta di silenzio e tremore d'alberi."
Atto IV
"Te che odio- te che sei per me come una ferita che vorrei strapparmi di dosso con le unghie perchè il sangue infetto possa sgorgare con la vita a fiumi."
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