John Polidori
IL VAMPIRO
Traduzione dall’originale The Vampyre di Marco Vignolo Gargini
ESTRATTO DI UNA LETTERA DA GINEVRA.
“Respiro a pieni polmoni
vicino a questo lago; la terra su cui cammino è stata sottomessa sin
dalle epoche più antiche; gli oggetti principali che colpiscono subito
la mia vista mi portano alla mente delle scene, in cui l’uomo agì da
eroe ed era l’oggetto principale d’interesse. Senza ripercorrere i tempi
antichi delle battaglie e assedi, ecco il busto di Rousseau – ecco una
casa con un’iscrizione che indica che il filosofo ginevrino per la prima
volta vide la luce sotto questo tetto. Appena fuori della città c’è
Ferney, la residenza di Voltaire; dove quel meraviglioso, sebbene sotto
molti aspetti certamente spregevole, personaggio, riceveva, come i
vecchi eremiti, le visite dei pellegrini, non solo della sua nazione, ma
dalle lande più lontane d’Europa. Qui c’è anche la dimora di e, pochi
passi più in là, la casa di quella straordinaria donna Madame de Stael:
forse la prima del suo sesso, che ha davvero affermato la sua spesso
acclamata parità con l’uomo più insigne. In precedenza avevamo avuto
donne che avevano scritto romanzi e poesie interessanti, in cui si sono
avvalse del loro tatto nell’osservare i personaggi dei salotti; ma mai
sin dai tempi di Eloisa questi talenti peculiari dell’uomo s’erano
sviluppati come la migliore eredità femminile. Anche se persino qui,
come nel caso di Eloisa, il nostro sesso non ci ha messo molto
nell’affermare l’esistenza di un Abelardo nella persona di M. Schlegel
come ispiratore delle sue opere. Ma andando avanti: sullo stesso
versante del lago, Gibbon, Bonnivard, Bradshaw e altri indicarono, per
così dire, gli scenari per il nostro progresso; mentre dall’altra parte
c’è una casa, costruita da Diodati, l’amico di Milton, che ha ospitato
tra le sue mura, per parecchi mesi, quel poeta che abbiamo letto così
tanto insieme, e che –se le passioni umane restano le stesse e i
sentimenti umani, come corde, travolti dagli impulsi della natura
vibreranno come prima- sarà collocato dalla posterità tra i primi ranghi
dei nostri poeti inglesi.
Devi aver sentito, o il Terzo Canto di Childe Harold deve
averti informato, che Lord Byron ha abitato per molti mesi nelle
vicinanze. Andai con alcuni amici pochi anni fa, dopo aver visto Ferney,
a guardare questa villa. Camminai su quei pavimenti con gli stessi
sentimenti di soggezione e rispetto che provammo, insieme, nella casa di
Shakespeare a Stratford. Mi sedetti su una sedia del salone, mi
deliziai riposando su quella che lui aveva reso il suo seggio
permanente. Trovai una domestica che aveva vissuto con lui; lei,
tuttavia, non mi dette molte notizie. Mi indicò la sua camera da letto
sullo stesso piano del salone e della sala da pranzo, e mi informò che
lui si ritirava a dormire al terzo piano, scendeva al secondo e
impiegava tanto tempo a far toilette; e che non andava mai a dormire
senza un paio di pistole e un pugnale accanto, e che non mangiava mai
carne. In apparenza lui trascorreva parte di ogni giorno sul lago in una
barca inglese. C’è un balcone che dal salone guarda sul lago e il monte
Jura, e io credo che dev’esser stato da qui che ha contemplato la
tempesta BO magnificamente descritta nel Terzo Canto; perché da qui si
gode di una vista molto ampia di tutti i punti che lui ha descritto là.
Me lo posso immaginare come il pino bruciato, anche se tutto intorno era
sprofondato nel riposo, ancora sveglio ad osservare ciò che dava solo
una debole immagine delle tempeste che avevano desolato il suo cuore.
Il cielo è cambiato! E
che cambiamento! Oh, notte! E voi, tempesta e oscurità, siete
incredibilmente vigorosi, eppure amabili nella vostra forza, come la
luce di un occhio spento nella donna! Lontano da vetta a vetta,
scuotendo in mezzo le rupi, balzano le lire dei tuoni! Non da una sola
nube, ma ogni montagna ora ha trovato una lingua, e lo Jura risponde
attraverso la sua coltre nebbiosa alle allegre Alpi che lo invocano a
voce alta!
E questo nella notte:
gloriosissima notte! Non sei stata mandata per sonnecchiare! Fammi
partecipare alla tua lunga e violenta gioia,– Una parte della tempesta e
di me! Come il lago acceso risplende in un mare fosforico, e la pioggia
fitta scende sulla terra danzando! E adesso ancora questo nero… e
adesso l’allegria delle colline sgargianti scuote con la sua ilarità
montana, come se avessero gioito su un giovane; nascita di un terremoto,
ora dove il dolce Reno fende il suo cammino tra altitudini che sembrano
amanti che si sono divisi in fretta, le cui profondità minerarie
intervengono tanto che non possono più incontrarsi, tra cuori infranti;
tra le loro anime che così si contrastano a vicenda, l’Amore era la
radice migliore della rabbia tenera che rovinò il fiore della loro vita,
e allora si allontanò… esalò l’ultimo respiro, ma lasciando loro
un’epoca di anni tutti invernali… a fare guerra tra loro.
Andai come un buffone al
porticciolo, se posso usare l’espressione, dove di solito la sua
imbarcazione era attraccata, e conversai con l’abitante del cottage, che
si prendeva cura della barca. Tu forse sorridi, ma io godevo favorendo
così la mia raffigurazione dell’individuo che ammiro, ottenendo
l’informazione di quelle circostanze che quotidianamente lo
riguardavano. Ho fatto molte indagini in città su di lui, ma senza
venire a sapere niente. Là si fece vivo solo una volta, quando M. Pictet
lo portò nella casa di una signora a trascorrere la sera. Si dice che
fosse un uomo assai singolare e dalla fama d’essere molto incivile. Tra
le altre cose riferiscono che invitò a cena M. Pictet e Bonstetten, andò
sul lago a Chillon, lasciando un signore che viaggiava con lui a
riceverli e a porgere le sue scuse. Un’altra sera, invitato alla casa di
Lady D… H…, promise di andarci, ma avvicinandosi alle finestre della
villa di Sua Eccellenza, accortosi che la stanza era piena di gente,
fece scendere il suo amico dalla carrozza, chiedendogli vivamente scusa,
e tornò a casa subito. Questo si mostrerà come una contraddizione
rispetto a quello che mi si dice di solito in Inghilterra, del fatto che
venisse evitato dai suoi compatrioti sul continente. Il caso appena
citato dimostra che è esattamente il contrario, visto che lui è stato in
genere cercato da loro, e in molte occasioni, a quanto pare senza
successo. Si disse, in effetti, che nella sua prima visita a Coppet,
seguendo il maggiordomo che aveva annunciato il suo nome, rimase
sorpreso d’incontrare una donna sul punto di svenire; ma prima era stato
seduto molti minuti, e la stessa donna, che era stata così colpita dal
suo nome, tornò e conversò con lui per un tempo considerevole… tale è la
curiosità e l’affettazione femminile! Si recò a Coppet frequentemente, e
naturalmente là frequentò molti suoi connazionali, che non si
mostravano riluttanti a suggerirgli quali fossero i suoi soli che lo
ritraevano come un emarginato.
Sebbene non abbia avuto
grandi risultati in questa città, sono stato più fortunato nelle
indagini condotte altrove. C’è un’associazione a tre o quattro miglia da
Ginevra, la cui figura centrale è la Contessa di Breuss, una donna
russa, ben in vista tra i piaceri della Società, e che li aveva raccolti
intorno a lei nella sua casa. Fu qui principalmente, credo, che il
signore che viaggiava con Lord Byron, come medico, che cercava
compagnia. Era solito attraversare ogni giorno il lago da solo, in una
di quelle barche a fondo piatto, e ritornare dopo aver passato la sera
con i suoi amici, alle undici o a mezzanotte, spesso mentre i temporali
infuriavano sulle vette circolari dei monti intorno dal momento che era
diventato intimo, dopo una lunga conoscenza, con parecchie famiglie nel
circondario, ho colto dai loro racconti dei tratti molto esemplari della
sua persona, che vi narrerò in un’occasione futura. Tuttavia, debbo
scagionarlo da un’accusa a lui attribuita… di tenere nella sua casa due
sorelle e di coinvolgerle nelle sue baldorie. Questa è, come molte altre
accuse che sono state riportate contro di lui, del tutto destituita di
verità. L’unico suo compagno era il medico che ho già menzionato. La
denuncia ha origine dal fatto seguente: Mr. Percy Bysshe Shelly, un uomo
assai noto per la stravaganza della sua dottrina e per il suo ardire,
nella loro professione, a tal punto da firmarsi con il titolo di Ateo
nell’Album di Chamouny, aveva preso una casa giù, dove risiedeva con
Miss M. W. Godwin e Miss Clermont, (le figlie del famoso Mr. Godwin), e
tutti insieme erano frequentemente ospiti a Villa Diodati, e furono
spesso visti sul lago in compagnia di Sua Eccellenza, cosa che ha dato
adito a voci, la cui veridicità è qui assolutamente smentita.
Tra le altre cose che la
signora, da cui ho avuto questi aneddoti, mi ha riferito, ha fatto
menzione di un abbozzo di una storia di fantasmi scritta da Lord Byron.
Sembra che una sera Lord B., Mr. P. B. Shelly, le due signore e l’uomo
precedentemente citato, dopo aver letto un’opera tedesca, che era
intitolata Phantasmagoriana, inziarono a raccontare storie di fantasmi; quando Sua Eccellenza ebbe recitato l’inizio di Christabel,
allora non ancora pubblicata, il tutto ebbe un’impressione così forte
nella mente di Mr. Shelley, che improvvisamente s’alzò e corse fuori
dalla stanza. Il medico e Lord Byron lo seguirono, trovandolo appoggiato
contro un mantello, con gocce fredde di sudorazione sulla sua faccia.
Dopo avergli dato qualcosa per rinfrescarlo, cercando di indagare sulla
causa della sua agitazione, scoprirono che la sua immaginazione sfrenata
gli aveva fatto vedere il petto di una delle signore con degli occhi
sopra (cosa che fu riportata da una signora nel quartiere dove lui
viveva), e fu costretto a lasciare la stanza per sopprimere
quell’impressione. In seguito fu proposto, nel corso della
conversazione, che ogni componente della compagnia scrivesse una
narrazione contando su una mediazione sovrannaturale, narrazione che fu
iniziata da Lord B., il medico, e Miss M. W. Godwin [1].
La mia amica, la signora già citata, riferì d’avere in suo possesso la
bozza di ciascun racconto; me le ha fatte avere come grande favore, e ve
le mando qui accluse, sicuro che sarete incuriosito come me a leggere
gli eccessi di un genio così immenso e quelli che hanno subito la sua
influenza. ”
INTRODUZIONE
La superstizione su cui
questo racconto si basa è molto diffusa nell’Oriente. Tra gli Arabi
sembra essere comune: tuttavia non si estese ai greci se non dopo
l’istituzione del Cristianesimo, e ha assunto la sua forma attuale solo
da quando è avvenuto lo scisma delle chiese latina e greca; nel qual
tempo, l’idea che è prevalsa, che un corpo latino non si può corrompere
se cremato nel suo territorio, gradualmente s’è sviluppata e ha
modellato l’argomento di molte storie stupende, ancora esistente, dei
morti che risorgono dalle loro tombe e si nutrono del sangue dei giovani
di bell’aspetto. In occidente si diffonde, con qualche lieve
variazione, in tutta l’Ungheria, la Polonia, l’Austria e la Lorena, dove
esisteva la credenza che i vampiri di notte assumessero una certa parte
del sangue delle loro vittime, che diventavano emaciate, perdevano la
loro forza e morivano rapidamente di consunzione; mentre questi
succhiatori di sangue umano ingrassavano… e le loro vene si rilassavano
in uno stato tale di sazietà da far sì che il sangue scorresse in tutti i
condotti del loro corpo e perfino nei pori della loro pelle.
Nel London Journal
del marzo 1732, si trova un curioso e, ovviamente, credibile resoconto
di un caso particolare di vampirismo, che si dichiara essere accaduto a
Madreyga, in Ungheria. A quanto pare il comandante in capo e i
magistrati del luogo, dopo aver fatto riscontri, affermavano decisamente
e all’unanimità che, circa cinque anni prima, un certo Heyduke, di nome
Arnold Paul, abbia detto che, a Cassovia, sulla frontiera della Serbia
turca, sia stato tormentato da un vampiro, ma abbia trovato un modo per
sbarazzarsi dal male mangiando un po’ della terra che stava fuori della
tomba del vampiro e cospargendosi con il suo sangue. Questa precauzione,
tuttavia, non gli ha impedito di diventare un vampiro egli stesso [2].
Infatti, circa venti o trenta giorni dopo la sua morte e il funerale,
molte persone si lamentavano d’essere state tormentate da lui, e un
deposizione fu fatta, secondo cui quattro persone erano state lasciate
senza vita della vita a seguito dei suoi attacchi. Per evitare ulteriori
danni, gli abitanti, avendo consultato il loro Hadagni [3],
riesumarono il corpo e lo trovarono (come si crede solitamente nei casi
di vampirismo) fresco e del tutto incorrotto, e con sangue puro e vivo
che usciva dalla bocca, dal naso e dalle orecchie. Ottenuta così questa
prova, decisero di ricorrere al rimedio abituale. Un paletto venne
interamente conficcato nel cuore di Arnold Paul, il quale sembra che
abbia gridato in modo spaventoso come se fosse stato vivo. Fatto questo,
tagliarono la sua testa, bruciarono il suo corpo e gettarono le ceneri
nella sua tomba. Le stesse misure furono prese con i cadaveri di quelle
persone che erano precedentemente decedute per vampirismo, per timore
che a loro volta agissero sugli altri che erano sopravvissuti.
Questa mostruosa
rodomontata è qui acclusa, perché sembra più adatta a illustrare
l’argomento delle presenti osservazioni che in ogni altro caso
potrebbero essere addotte. In molte parti della Grecia questa è
considerata una sorta di punizione dopo la morte, per qualche crimine
efferato commesso in vita, e la persona deceduta non solo è condannata
al vampirismo, ma costretta a limitare le sue visite infernali solamente
a chi ha amato di più, a chi era legato sulla terra da vincoli
familiari e affettivi… Una ipotesi a cui si allude nel Giaour.
Ma dapprima sulla terra, inviato come vampiro, / il tuo cadavere viene strappato dalla tomba, / poi inizierà una caccia orrenda nei luoghi nativi / e succhierai il sangue di tutti quelli della tua razza, / la figlia, la sorella, la moglie. / A mezzanotte il flusso della vita scorrerà, / ciò malgrado detesterai il banchetto / che deve per forza nutrire / il tuo livido cadavere vivente, / le tue vittime, prima ancora di esalare l’ultimo respiro, / riconosceranno il demone come loro signore. / Maledicendoti, tu maledicendo loro, / i tuoi fiori s’appassiranno sullo stelo. / Ma una che deve cadere per il tuo crimine, / la più giovane, la più amata di tutti, / ti benedirà con il nome di padre… / quella parola avvolgerà il tuo cuore nelle fiamme! / Eppure dovrai terminare il tuo compito / e segnare la sua guancia con l’ultimo colore… / i suoi occhi con l’ultima scintilla, / e l’ultimo sguardo vitreo deve guardare / chi è che gela il suo blu senza vita, / poi con la mano sconsacrata strapperà / le trecce dei suoi capelli gialli, / di cui in vita un riccio tagliato / serbava a prova del più profondo affetto… / ma ora è rapito dal ricordo della tua angoscia! / Ancora goccerà con il tuo miglior sangue, / con i tuoi denti digrignati, le tue labbra tirate; / poi aggirandoti sulla tua cupa tomba, / te ne vai – e con Ghul e Ifrit [4] infuri, / finché questi con orrore rifuggono / dallo spettro maledetto più di loro. [5]
Mr. Southey ha anche introdotto nella sua folle ma bella poesia di Thalaba
[6], il cadavere del vampiro della serva araba Oneiza, che è
rappresentata dopo essere tornata dalla tomba con l’intento di
tormentare colui che lei amò tantissimo mentre era in vita.. Ma questo
non può essere considerato il risultato della peccaminosità della sua
vita, nel corso dell’intero racconto lei è descritta come un modello
integro di purezza e innocenza. L’attendibile Tournefort[7] nei suoi Viaggi
fa un lungo resoconto di diversi casi strabilianti di vampirismo, dei
quali sostiene di essere stato testimone oculare; e Calmet [8],
nella sua grande opera su questo argomento, oltre a una varietà di
aneddoti, di tradizioni e illustrazioni narrative dei suoi effetti, ha
fatto delle dotte dissertazioni a riprova che si tratta di un errore sia
esemplare che rozzo.
Molte notizie curiose e
interessanti su questa superstizione alquanto orribile potrebbero essere
aggiunte; anche se la presente può bastare in una nota, necessariamente
dedicata alla spiegazione, e che adesso può essere completata
osservando semplicemente che, sebbene il termine Vampyre sia l’unico
nell’accezione più generale, ci sono diversi altri suoi sinonimi, di cui
si fa uso in varie parti del mondo, come Vroucolocha, Vardoulacha,
Goul, Broucoloka, etc..
************************************************
Nel bel mezzo degli
eccessi che accompagnano l’inverno di Londra, avvenne che comparisse nei
vari ricevimenti del bel mondo un nobile, degno di rilievo più per la
sua individualità che per il rango. Osservava l’allegria che lo
circondava come se non potesse parteciparvi. Apparentemente, soltanto la
risata leggera di una bella ragazza attirava la sua attenzione, ma con
un’occhiata lui poteva smorzarla e seminare il terrore in quei cuori
dove regnava la spensieratezza. Quelli che provavano questa sensazione
di soggezione, non riuscivano a spiegare da dove provenisse: alcuni
l’attribuivano ai suoi occhi color grigio smorto che, fissandosi su di
un volto, non sembravano entrare e penetrare con uno solo sguardo gli
intimi meccanismi dell’animo, ma ricadevano sulla guancia con un raggio
plumbeo che opprimeva la pelle senza poterla passare. Le sue stranezze
fecero in modo che lui venisse invitato in ogni casa; tutti desideravano
vederlo, e quelli che erano stati abituati alle violente eccitazioni, e
ora sotto il peso della noia, godevano di aver qualcosa che fosse
presente e capace di accattivare la loro attenzione. Nonostante il
colorito mortale del suo volto, che non assumeva mai una sfumatura più
calda, sia arrossendo di modestia che preso da una forte emozione
passionale, tuttavia il suo aspetto e il suo profilo erano avvenenti, e
molte donne alla ricerca di notorietà cercarono di ottenere la sua
attenzione e ricevere, almeno, qualche segno che potessero definire in
termini di affetto: Lady Mercer, che sin dal suo matrimonio era
diventata oggetto di scherno di ogni mostro che appariva nei salotti, si
lanciò alla sua conquista e fece di tutto, tranne vestirsi da
ciarlatano, per attirare la sua attenzione, ma invano. Quando stava
davanti a lui, nonostante i suoi occhi fossero a prima vista fissi sui
suoi, tuttavia sembrava come se non li avvertisse; persino la sua
impavida impudenza fu perplessa, e abbandonò il campo. Ma sebbene la
volgare adultera non influenzasse nemmeno la direzione dei suoi occhi,
il sesso femminile non gli era indifferente: eppure l’apparente cautela
con cui parlava alla moglie virtuosa e alla figlia innocente era tale
che pochi sapevano se lui si fosse mai dedicato alle donne. Aveva,
comunque, la reputazione d’essere un oratore affascinante; e sia che
fosse questo a far superare il terrore del suo carattere singolare, sia
che fossero mosse dal suo odio apparente per il vizio, lui spesso era
tra queste donne che fanno delle virtù domestiche il vanto del proprio
sesso, come tra quelle che lo macchiano con i propri vizi.
Circa nello stesso
periodo, giunse a Londra un giovane gentiluomo di nome Aubrey: era un
orfano lasciato con un’unica sorella in possesso di una grande fortuna
dai genitori che morirono quando lui era ancora un bambino. Abbandonato a
se stesso anche dai tutori, che pensavano che il loro dovere fosse solo
di occuparsi del suo patrimonio, lasciando il più importante compito di
prendersi cura della sua mente ai subalterni mercenari, egli coltivò
più la sua immaginazione che il giudizio. Aveva, quindi, quell’alto
sentimento romantico di onore e candore, che ogni giorno rovina tante
apprendiste modiste. Credeva che tutti approvassero la virtù e pensava
che il vizio fosse inviato dalla Provvidenza soltanto per dare un
effetto pittoresco alla scena, come vediamo nei romanzi: riteneva che la
miseria delle casupole consistesse unicamente nell’indossare abiti, che
pur essendo caldi si adattassero meglio all’occhio del pittore con le
loro pieghe irregolare e le varie toppe colorate. Credeva, infine, che i
sogni dei poeti fossero la realtà della vita. Era bello, sincero e
ricco: per queste ragioni, al suo ingresso nei circoli più brillanti,
molte madri lo circondavano, battendosi a chi descrivesse con minor
sincerità le sue languide o briose preferite: le figlie nel contempo,
con i loro volti illuminati quando si avvicinava, e gli occhi
scintillanti, quando apriva bocca, subito lo convinsero ad avere delle
false idee sul suo talento e il suo merito. Legato com’era al
romanticismo delle sue ore solitarie, era sbigottito nello scoprire che,
eccetto per le candele di sego e di cera che tremolavano, non per la
presenza di un fantasma, ma per il bisogno d’essere spente, non c’era un
fondamento nella vita reale per tutta l’accozzaglia di immagini e
descrizioni piacevoli contenute in quei volumi, da cui aveva formato il
suo studio. Trovando, tuttavia, qualche compensazione nella sua vanità
gratificata, stava per abbandonare i suoi sogni, quando l’essere
straordinario che abbiamo descritto sopra lo attraversò nella sua vita.
Lo guardò, e poiché la
stessa impossibilità di formarsi un’idea del carattere di un uomo
interamente assorbito in sé, che dava pochi altri segni della sua
osservazione degli oggetti a lui esterni, se non il tacito assenso della
loro esistenza, contenuta nell’evitarne il contatto, permetteva alla
sua immaginazione di rappresentarsi ogni cosa che blandiva la sua
propensione per le idee stravaganti, presto egli trasformò questo
nell’eroe di un romanzo, e deciso a osservare il frutto della sua
fantasia, più che la persona che aveva davanti. Fece la sua conoscenza,
gli prestò attenzione e fece in modo di farsi notare così tanto che la
sua presenza fu sempre riconosciuta. Gradualmente venne a sapere che la
situazione economica di Lord Ruthven non era florida, e ben presto
scoprii, da indizi di preparativi … Street, che stava per partire per un
viaggio. Desideroso d’avere qualche informazione su questo singolare
personaggio, che fino ad allora, aveva solo stuzzicato la sua curiosità,
suggerì ai suoi tutori che per lui era venuto il momento di fare un
viaggio per l’Europa, cosa che per molte generazioni era stata
considerata necessaria per permettere ai giovani di fare dei rapidi
passi sulla via del vizio mettendosi così alla pari con gli uomini più
grandi, e impedendo loro di sembrare caduti dalle nuvole, ogni volta che
venivano menzionati intrighi scandalosi come argomento di scherzo o di
vanto, secondo il grado di abilità mostrata nel metterli in atto. Essi
acconsentirono, e Aubrey, accennando immediatamente le sue intenzioni a
Lord Ruthven, fu sorpreso di ricevere da lui una proposta di unirsi a
lui. Lusingato da un tale segno di stima da parte sua, che,
apparentemente, non aveva nulla in comune con gli altri uomini, accettò
volentieri e dopo pochi giorni partirono lasciando le acque
territoriali.
Fin qui Aubrey non aveva
avuto la possibilità di studiare il carattere di Lord Ruthven, e ora
scopriva che, sebbene molte delle sue azioni fossero lì a disposizione
della sua vista, i risultati offrivano conclusioni diversi dai motivi
apparenti della sua condotta. Il suo compagno era prodigo nella sua
generosità; il fannullone, il vagabondo e il mendicante, ricevevano
dalle sue mani molto più di quello che aveva bisogno per soddisfare i
loro desideri immediati. Ma Aubrey non poté fare a meno di notare che
non era ai virtuosi, ridotti all’indigenza dai rovesci che si
accompagnano persino alla virtù, che lui elargiva le sue elemosine;
questi venivano messi alla porta con un sogghigno a malapena represso;
ma quando lo scialacquone veniva a chiedere qualcosa, non per alleviare
il suo bisogno, ma per permettergli di sguazzare nella lussuria, o per
sprofondare ancora di più nella sua iniquità, veniva mandato via con una
ricca elemosina. Questo, tuttavia, era attribuito da lui all’immensa
persistenza del vizioso, che generalmente prevale sulla timidezza schiva
del virtuoso indigente. C’era una circostanza nella carità di sua
signoria che gli era rimasta impressa di più nella sua mente: tutti
quelli che ne avevano beneficiato, inevitabilmente scoprivano che c’era
una maledizione su di essa, perché tutti o finivano sulla forca o
sprofondavano nella più bassa e abbietta miseria. A Bruxelles e nelle
altre città in cui passarono, Aubrey rimase sorpreso dall’apparente
smania con cui il suo compagno andava alla ricerca dei centri di tutti i
vizi alla moda; lì entrò pienamente nello spirito del tavolo del
faraone: scommetteva e giocava d’azzardo sempre con successo, tranne là
dove il suo antagonista era un baro rinomato, e allora perdeva anche più
di quanto avesse vinto; ma aveva sempre lo stesso volto impassibile,
con cui in genere guardava la gente intorno. Comunque, non era così
quando incontrava un giovane avventato alle prime armi, o il padre
sfortunato di una famiglia numerosa; allora il suo stesso desiderio
sembrava la legge della fortuna… questa apparente distrazione della
mente era messa da parte e i suoi occhi sprizzavano più scintille di
quelli del gatto quando gioca con il topo mezzo morto. In ogni città
lasciava un giovane un tempo benestante, strappato alla cerchia che
adornava, a maledire nella solitudine di una cella il fato che lo aveva
fatto imbattere in questo demone; mentre molti padri sedevano disperati
tra gli sguardi eloquenti dei figli muti e affamati, senza nemmeno un
centesimo dell’antica immensa fortuna con cui comprare persino il
necessario per soddisfare il loro bisogno presente. Eppure non prendeva
mai denaro dai tavoli da gioco; ma lui, che ne mandava in rovina molti,
immediatamente perdeva l’ultimo spicciolo che aveva appena strappato
alla stretta convulsiva dell’innocente. Questo poteva essere soltanto il
risultato di un certo grado di conoscenza, che però non era in grado di
combattere l’astuzia del più esperto. Aubrey spesso desiderava farlo
presente al suo amico e pregarlo di rinunciare a quella carità e al
piacere che causava la rovina di tutti, senza andare al suo proprio
profitto… ma rinviava… perché ogni giorno sperava che il suo amico gli
desse la possibilità di parlargli francamente e in modo aperto.
Tuttavia, questo non avvenne mai. Lord Ruthven nella sua carrozza e tra i
vari scenari selvaggi e ricchi della natura era sempre lo stesso: il
suo occhio parlava meno delle sue labbra; e sebbene Aubrey fosse vicino
all’oggetto della sua curiosità, la minima soddisfazione che riusciva a
ottenere era soltanto l’eccitazione costante di desiderare invano di
squarciare quel mistero, che per la sua immaginazione esaltata iniziò ad
assumere l’aspetto di un che di sovrannaturale.
Giunsero ben presto a Roma e Aubrey perse di vista per un po’ il suo compagno; lo lasciò praticare quotidianamente le matinées
di una contessa italiana, mentre lui andava alla ricerca dei monumenti
commemorativi di un’altra città quasi deserta. Mentre era così
impegnato, gli arrivarono delle lettere dall’Inghilterra, che aprì con
viva impazienza. La prima era di sua sorella, una lettera che trasudava
affetto; le altre erano dei suoi tutori, e furono queste a sbalordirlo.
Se già prima nella sua immaginazione s’era affacciata l’idea che un
potere malvagio risiedesse nel suo compagno, queste lettere sembravano
dargli delle ragioni sufficienti per crederci. I suoi tutori insistevano
perché lui abbandonasse immediatamente il suo amico e lo pregavano,
adducendo come motivo il fatto che il suo carattere era terribilmente
vizioso, e il possesso di poteri irresistibili di seduzione rendevano i
suoi costumi licenziosi ancora più pericolosi alla società. Era stato
scoperto che il suo disprezzo per l’adultera non aveva origine nell’odio
del suo carattere, ma che aveva bisogno, per accrescere la sua
soddisfazione, che la sua vittima, la compagna della sua colpa, fosse
buttata giù dalla vetta della virtù pura nel più profondo abisso
dell’infamia e del degrado; infine, tutte quelle donne che lui aveva
cercato, apparentemente per la loro virtù, dal momento della sua
partenza in poi avevano gettato la maschera e non si erano fatte
scrupolo di esibire in pubblico la bruttura dei loro vizi.
Aubrey decise di
allontanarsi da una persona, il cui carattere non aveva ancora mostrato
un singolo punto positivo su cui appoggiarsi. Prese la soluzione di
trovare un qualche pretesto plausibile per abbandonarlo completamente,
proponendosi, nel frattempo, di esaminarlo più da vicino perché nemmeno
la circostanza più insignificante passasse inosservata. Entrò nello
stesso suo circolo e si accorse presto che sua signoria stava tentando
di irretire l’inesperienza della figlia della signora di cui frequentava
principalmente la casa. In Italia, è raro che si incontri in società
una ragazza non ancora maritata; perciò fu obbligato a portare avanti i
suoi piani in segreto; ma gli occhi di Aubrey lo seguivano in tutti i
suoi movimenti, e scoprì presto che era stato fissato un appuntamento,
che sarebbe andato a finire molto probabilmente con la rovina di una
ragazza innocente, anche se incosciente. Senza perdere tempo, entrò
nella stanza di Lord Ruthven, e bruscamente gli chiese quali fossero le
sue intenzioni riguardo alla ragazza, informandolo allo stesso tempo che
era informato che l’avrebbe dovuta incontrare quella stessa notte. Lord
Ruthven rispose che le sue intenzioni erano quelle che ognuno avrebbe
avuto in tali occasioni, e incalzato a rispondere se intendesse
sposarla, si mise soltanto a ridere. Aubrey si ritirò e immediatamente
gli scrisse un biglietto, per dirgli che da quel momento doveva esimersi
dall’accompagnare sua signoria per il resto del loro viaggio
progettato, ordinò poi al suo servitore di cercare un altro appartamento
e, facendo una visita alla madre della ragazza, la informò di tutto ciò
che sapeva, non solo nei riguardi della figlia, ma anche a proposito
del carattere di sua signoria. L’appuntamento fu impedito. Lord Ruthven
il giorno dopo mandò soltanto il suo domestico per informare del suo
completo consenso a una separazione, ma non alluse affatto al minimo
sospetto che i suoi piani fossero stati sventati dall’intervento di
Aubrey.
Lasciata Roma, Aubrey si
diresse verso la Grecia e, attraversando la penisola , si ritrovò
presto ad Atene. Allora prese alloggio nella casa di un Greco e subito
s’occupò di rintracciare le vestigia sbiadite dell’antica gloria su
monumenti che in apparenza, vergognosi di annotare le gesta di uomini
liberi solo a degli schiavi, s’erano nascosti sotto il riparo del suolo o
di molti licheni multicolori. Sotto il suo stesso tetto c’era una
creatura, così bella e delicata che avrebbe potuto essere la modella di
un pittore desideroso di ritrarre sulla tela la speranza promessa al
fedele nel paradiso di Maometto, salvo che i suoi occhi rivelavano
troppa intelligenza a ognuno per pensare che appartenesse a coloro che
non hanno anima. Quando lei danzava sulla pianura, o sgambettava lungo
il pendio del monte, si poteva pensare che la gazzella fosse una povera
copia della sua bellezza; perché chi avesse scambiato i suoi occhi, a
prima vista gli occhi della natura animata, con lo sguardo assonnato e
lussurioso dell’animale, l’avrebbe soltanto adattata al gusto di un
epicureo. Il passo leggero di Ianthe accompagnava spesso Aubrey nella
sua ricerca di antichità, e spesso la ragazza, impegnata a inseguire una
farfalla del Kashmere, mostrava senza saperlo tutta la bellezza delle
sue forme, come fluttuante nel vento, allo sguardo acceso di lui, che
dimenticava le lettere che aveva appena decifrato su una tavoletta quasi
cancellata, nella contemplazione della sua figura di silfide. Spesso le
sue trecce che ricadevano, mentre lei volteggiava intorno, mostravano
ai raggi del sole delle tinte così delicatamente sfolgoranti e
rapidamente sfumati, avrebbero potuto giustificare la smemoratezza
dell’antiquario, il quale perdeva di vista quello che era il vero
oggetto che prima aveva ritenuto di vitale importanza per la corretta
interpretazione di un passo di Pausania. Ma perché tentare di descrivere
un fascino che tutti sentivano, ma che nessuno poteva apprezzare? Era
l’innocenza, la giovinezza e la bellezza non coinvolte nei salotti
affollati e nei balli soffocanti. Mentre disegnava quei resti di cui
desiderava conservare una memoria per le sue ore future, lei gli stava
vicino e guardava gli effetti magici della sua matita, mentre tracciava
le scene del suo luogo nativo. Lei allora gli descriveva la danza in
circolo nell’aperta pianura e gli ritraeva, con tutti i colori accesi
della memoria giovanile, il corteo nuziale che ricordava d’aver visto da
piccola; e poi, passando ad argomenti che evidentemente le avevano dato
un’impressione maggiore nella sua mente, gli raccontava tutte le storie
sovrannaturali narratele dalla sua nutrice. La sua serietà e
l’apparente convinzione in ciò che raccontava eccitarono l’interesse
anche di Aubrey, e spesso mentre lei gli riportava la storia del vampiro
vivente, che aveva passato degli anni tra i suoi amici, e le persone
più care, costretto ogni anno a nutrirsi della vita di una bella ragazza
per prolungare la sua esistenza nei mesi seguenti, il sangue di Aubrey
si gelava mentre cercava di ridere distogliendola da quelle assurde e
orribili fantasie. Ma Ianthe gli citava i nomi degli anziani che alla
fine ne avevano rintracciato uno che viveva tra di loro, dopo che
parecchi dei loro parenti più stretti e figli erano stati trovati
segnati con il marchio dell’appetito del demonio. E quando si accorgeva
che lui era così incredulo, lei lo implorava di crederle, perché era
stato notato che quelli che avevano osato sollevare dei dubbi sulla loro
esistenza, una prova che veniva sempre offerta li obbligava, con dolore
e strazio, a confessare che era vero. Lei gli raccontò nei particolari
l’aspetto tradizionale di questi mostri e il suo orrore aumentò
ascoltando una descrizione piuttosto accurata di Lord Ruthven. Aubrey,
tuttavia, continuava ancora a persuaderla che non poteva esserci verità
nei suoi timori, sebbene nello stesso tempo si meravigliasse delle molte
coincidenze che tendevano tutte a suscitare una convinzione sul potere
sovrannaturale di Lord Ruthven.
Aubrey cominciava ad
attaccarsi sempre di più a Ianthe; la sua innocenza, così in contrasto
con tutte le virtù finte delle donne tra le quali aveva cercato la sua
visione romantica, conquistò il suo cuore; e mentre metteva in ridicolo
l’idea di un giovane dai costumi inglesi che sposava un ragazza greca
senza istruzione, comunque si sentiva sempre più attaccato alla figura
quasi fatata davanti a lui. Delle volte si strappava da lei e,
sviluppando un progetto per qualche ricerca antiquaria, si separava
deciso a non tornare prima di aver raggiunto il suo obiettivo; ma
scopriva che gli era sempre impossibile fissare l’attenzione sulle
rovine intorno a lui, dato che nella sua mente persisteva un immagine
che sembrava essere la sola legittima proprietaria dei suoi pensieri.
Ianthe era all’oscuro del suo amore e continuava ad essere la stessa
schietta e infantile creatura che aveva conosciuto. Sembrava sempre
separarsi da lui con riluttanza, ma era perché lei non aveva più nessuno
con cui poter visitare i suoi luoghi prediletti, mentre il suo tutore
era occupato ad abbozzare o a scoprire qualche frammento che ancora si
sottraeva alla mano distruttiva del tempo. Lei si era rivolta ai suoi
genitori per la faccenda dei vampiri, e loro, insieme a molti altri, ne
confermarono l’esistenza, pallidi dal terrore soltanto sentendone il
nome. Subito dopo, Aubrey decise di andare avanti in una delle sue
escursioni, che lo avrebbe trattenuto per poche ore, ma quando sentirono
il nome del luogo prescelto, tutti insieme lo scongiurarono di non far
ritorno di notte, poiché doveva necessariamente attraversare un bosco
dove nessun greco avrebbe mai sostato dopo il tramonto, per nessun
motivo. Lo descrissero come il ritrovo dei vampiri nelle loro orge
notturne e segnalarono le più terribili sciagure che gravavano su chi
osasse attraversare la loro strada. Aubrey prese sottogamba le loro
rimostranze e provò a riderci sopra perché cambiassero idea; ma quando
li vide rabbrividire per aver osato beffarsi così di una potenza
superiore e infernale, il cui solo nome sembrava far gelare il loro
sangue, rimase in silenzio.
La mattina dopo Aubrey
si mise in viaggio da solo per la sua escursione, ma rimase sorpreso
osservando il volto triste del suo oste, e fu preoccupato nel constatare
che le sue parole, che deridevano la credenza di quei demoni orribili,
avevano ispirato in loro un tale terrore. Mentre stava per partire,
Ianthe si avvicinò al suo cavallo e lo pregò con insistenza di far
ritorno prima che la notte permettesse al potere di quegli esseri
diabolici di entrare in azione… lui promise. Tuttavia, fu così preso
dalla sua ricerca da non rendersi conto che la luce del giorno stava per
calare, e che all’orizzonte c’era uno di quei puntini che, nei climi
più caldi, si radunano rapidamente per formare una massa enorme di nubi e
riversare tutta la loro furia sulla campagna indifesa. Alla fine,
comunque, montato sul cavallo, decise di recuperare il ritardo
viaggiando veloce: ma era troppo tardi. Il tramonto, in questi climi del
sud, è quasi sconosciuto; il sole cala immediatamente e inizia la
notte: e prima che avesse fatto un bel pezzo di strada la furia del
temporale era su di lui… i tuoni rimbombanti davano appena un attimo di
tregua… la pioggia fitta e battente lo costrinse a passare sotto il
fogliame che faceva da volta, mentre i lampi lividi biforcuti sembravano
cadere e diffondersi proprio ai suoi piedi. All’improvviso il suo
cavallo ebbe paura ed egli fu trascinato ad una velocità spaventosa
attraverso la foresta aggrovigliata. L’animale alla fine, stremato, si
fermò e Aubrey scoprì, dal bagliore dei lampi, d’essere nelle vicinanze
di un tugurio che spuntava appena al di sopra della massa di foglie
morte e della boscaglia che la circondavano. Smontato da cavallo, si
avvicinò sperando di trovare qualcuno che lo guidasse verso la città, o
almeno confidando di trovare rifugio dalla furia del temporale. Mentre
si avvicinava, i tuoni, cessati per un attimo, gli permisero di sentire
degli strilli terribili di una donna mischiati al soffocato, esultante
scherno di una risata, prolungato in un suono quasi ininterrotto…
trasalì: ma, destato dal tuono che rombava di nuovo sul suo capo,
Aubrey, con uno sforzo improvviso, sfondò la porta del capanno. Si trovò
nel buio più completo, tuttavia i suoni lo guidavano. Sembrava che
nessuno s’accorgesse di lui, perché, nonostante chiamasse, i suoni
ancora continuavano e non fu per niente notato. Si sentì a contatto con
qualcuno, che afferrò immediatamente; quando una voce gridò, “Ancora
perplesso!”, alla quale seguì una risata fragorosa, e si sentì
abbrancato da uno la cui forza pareva sovrumana: decise di vendere la
sua vita a caro prezzò, lotto, ma invano: fu sollevato in aria e
scagliato con un’energia enorme a terra… il suo nemico gli si gettò
addosso e puntandogli un ginocchio sul petto aveva già messo le mani
intorno alla sua gola… quando il bagliore di molte torce che penetravano
attraverso l’apertura che dava luce di giorno, lo disturbarono… si alzò
istantaneamente e, lasciata la sua preda, corse fuori dall’uscio, e in
un istante non si sentì più il rumore dei rami che lui spezzava
attraversando il bosco. La tempesta ora s’era placata e Aubrey, incapace
di muoversi, fu subito sentito da quelli che erano fuori. entrarono; la
luce delle loro torce cadde sui muri di fango e sul tetto di paglia di
cui ogni singolo filo era ricoperto da spesse scaglie di fuliggine. Su
richiesta pressante di Aubrey si misero a cercare la donna le cui grida
lo avevano attirato, e lui fu lasciato di nuovo nel buio. Ma quale fu il
suo orrore, quando la luce delle torce riapparve ancora, nel notare la
forma leggiadra della sua bella guida ridotta a un corpo senza vita.
Chiuse gli occhi, sperando che fosse solo una visione suscitata dalla
sua immaginazione disturbata, ma quando li riaprì rivide la stessa
figura stesa al suo fianco. Non c’era colore sulle sue guance, nemmeno
sulle sue labbra, eppure c’era una calma sul suo volto che sembrava
quasi si addicesse quanto la vita che un tempo vi abitava… sul suo collo
e sul petto c’era sangue, e sulla gola c’erano i segni dei denti che
avevano aperto le vene: gli uomini indicarono questi, gridando
contemporaneamente colti dall’orrore, “Un vampiro! un vampiro!”. Fu
costruita rapidamente una barella e Aubrey fu messo al fianco di colei
che recentemente era stata per lui l’oggetto di così tante immagini
splendenti e fatate, ora cadute insieme al fiore della vita che era
spirato in lei. Aubrey non sapeva quali fossero i suoi pensieri… la sua
mente era intorpidita. sembrava evitare la riflessione e trovare rifugio
nell’assenza di pensieri… teneva in mano quasi senza accorgersene un
pugnale senza fodera di una particolare foggia, che era stato trovato
nel capanno. Si riunirono presto in diversi gruppi impegnati nella
ricerca della ragazza che una madre aveva perduta. Le loro urla pietose,
mentre si avvicinavano alla città, preavvisavano i genitori di una
terribile catastrofe. Sarebbe impossibile descrivere il loro dolore, ma
quando accertarono la causa della morte della loro figlia, guardarono
Aubrey e additarono il cadavere. Erano inconsolabili e entrambi morirono
di crepacuore.
Aubrey, messo a letto,
fu colto da una febbre violentissima e spesso delirava; in questi
intervalli chiamava Lord Ruthven e Ianthe… per qualche inspiegabile
combinazione sembrava implorare il suo vecchio compagno di risparmiare
la creatura che amava. Alter volte lanciava degli anatemi sul suo capo e
lo malediva per averla annientata. Lord Ruthven, essendogli capitato in
quel tempo di giungere ad Atene e, per non si sa quale motivo, venuto a
sapere dello stato di Aubrey, immediatamente si stabilì nella stessa
casa e divenne il suo assiduo custode. Quando Aubrey si riebbe dal
delirio fu inorridito e trasalì alla vista dell’uomo la cui immagine
adesso era associata a quella di un vampiro; ma Lord Ruthven, con le sue
parole gentili, che implicavano quasi il pentimento per la colpa che
aveva causato la loro separazione, e ancor più per l’attenzione, la
premura e la cura che mostrava, ben presto lo riconciliò con la sua
presenza. Sua signoria sembrava piuttosto cambiato, non appariva più
quell’essere apatico che aveva sbalordito così tanto Aubrey; ma non
appena la sua convalescenza iniziò ad essere rapida, di nuovo si ritirò
gradualmente nello stesso stato mentale, e Aubrey non percepiva alcuna
differenza con l’uomo di prima, eccetto che a volte si sorprendeva a
incontrare il suo sguardo fisso intensamente su di sé, con un sorriso
d’esultanza maligna sulle sue labbra: non sapeva perché, ma pareva
impegnato ad osservare le onde calme sollevate dalla brezza
rinfrescante, o a notare il progresso di quegli astri che girano, come
il nostro mondo, intorno al sole immobile; in effetti, sembrava
desiderasse evitare lo sguardo di tutti.
La mente di Aubrey, a
causa di questo choc, era molto indebolita e l’elasticità di spirito che
una volta lo aveva così contraddistinto adesso sembrava svanita per
sempre. Ora lui era un amante della solitudine e del silenzio come Lord
Ruthven; ma per quanto desiderasse la solitudine, la sua mente non
poteva trovarla nei dintorni di Atene; se la cercava in mezzo alle
rovine che aveva precedentemente frequentato, la figura di Ianthe era al
suo fianco… se la cercava nei boschi, il passo leggero di lei sembrava
emergere nel sottobosco, alla ricerca della modesta violetta; poi,
voltandosi improvvisamente, mostrava alla sua immaginazione malata il
suo volto pallido e la sua gola ferita, con un sorriso mite sulle sue
labbra. Aubrey decise di sottrarsi agli scenari, di cui ogni aspetto
creava nella sua mente associazioni tanto penose. Propose a Lord
Ruthven, al quale si sentiva legato per le cure amorevoli che gli aveva
prestato durante la sua malattia, di visitare quelle parti della Grecia
che non avevano ancora visto. Viaggiarono in ogni direzione e cercarono
ogni luogo a cui poter associare la memoria dell’antichità: ma sebbene
si spostassero velocemente da un posto all’altro, sembravano ancora non
in grado di tener conto di ciò che osservavano. Sentirono parlare molto
di briganti, ma poco a poco cominciarono a trascurare questi racconti,
che immaginavano fossero solo l’invenzione di individui, il cui
interesse era quello di incalzare la generosità di quelli che
proteggevano da presunti pericoli. Di conseguenza, non tenendo così
conto dei consigli degli abitanti del posto, in una occasione
viaggiarono soltanto con poche guardie, che servivano più da guida che
da difesa. Comunque, entrando in una gola stretta, sul fondo della quale
c’era il letto di un torrente, con grandi massi di roccia caduti dai
precipizi adiacenti, ebbero modo di pentirsi della loro negligenza,
perché appena l’intero gruppo imboccò l’angusto passaggio, furono
sorpresi dal fischio delle pallottole vicino alle loro teste e dall’eco
degli spari di parecchi fucili. In un istante le loro guardie li avevano
abbandonati, e, piazzatisi dietro le rocce, avevano cominciato a far
fuoco nella direzione da cui provenivano gli spari Lord Ruthven e
Aubrey, imitando il loro esempio, si ripararono per un po’ dietro la
curva della gola: ma vergognatisi d’essere stati così trattenuti da un
nemico, che con grida e insulti li invitava di avanzare, ed essendo
esposti a un massacro sicuro se uno dei briganti fosse salito sopra le
rocce e li avesse presi alle spalle, decisero t subito di precipitarsi
fuori e stanare il nemico. Avevano appena lasciato il riparo della
rocia, quando Lord Ruthven fu raggiunto da un colpo alla spalla, che lo
fece stramazzare al suolo. Aubrey s’apprestò a soccorrerlo e, non
badando più alla sparatoria o al pericolo che lui stesso correva, fu
sorpreso subito nel vedere le facce dei briganti che lo circondavano…
infatti le guardie, dato che Lord Ruthven era stato ferito, avevano
immediatamente gettato le armi e s’erano arrese.
Con la promessa di una
cospicua ricompensa, Aubrey li convinse presto a condurre il suo amico
ferito in una casetta vicina, ed essendosi accordati sul riscatto, non
fu più disturbato dalla loro presenza… e loro si accontentarono di stare
soltanto di guardia all’entrata della casetta finché il loro compagno
non fosse tornato con la somma promessa, per la quale aveva una
disposizione ben precisa. Le forze di Lord Ruthven rapidamente
diminuivano, in due giorni sopraggiunse la cancrena e la morte sembrò
avanzare a grandi passi. Il suo atteggiamento e l’aspetto non erano
cambiati, pareva inconsapevole del dolore come lo era stato nei
confronti degli oggetti che lo circondavano: ma verso la fine
dell’ultima sera la sua mente sembrò diventare inquieta, e il suo
sguardo spesso si fissava su Aubrey, che era spinto ad offrire la sua
assistenza con più sollecitudine del solito…”Assistimi! Tu puoi
salvarmi… puoi fare più di questo… non parlo della mia vita, considero
poco la fine della mia esistenza come il passare delle giornate; ma tu
puoi salvare il mio onore, l’onore del tuo amico.”… “Come? Dimmi come?
Farei qualsiasi cosa” , rispose Aubrey. “Mi basta poco… la mia vita se
ne va in fretta… non posso spiegare tutto… ma se tu tenessi nascosto
tutto ciò che sai di me, il mio onore sarebbe libero dall’infamia agli
occhi del mondo… e se la mia morte fosse ignorata per un po’ di tempo in
Inghilterra… io… io… ma la mia vita…” “Sarà ignorata.” “Giura!” urlò il
moribondo, sollevandosi con violenza esultante, “Giura su tutto ciò che
la tua anima venera, su tutte le tue paure, giura che per un anno e un
giorno non dirai in alcun modo quello che sai dei miei crimini o della
mia morte a nessun essere vivente, qualunque cosa accada o tu possa
vedere.” I suoi occhi sembravano uscire dalle orbite: “Lo giuro!” disse
Aubrey e Lord Ruthven ricadde sul cuscino ridendo e smise di respirare.
Aubrey andò a riposare,
ma non dormì: gli vennero in mente tutte i momenti legati alla
conoscenza di quest’uomo, senza conoscerne i motivi. Quando ricordò il
suo giuramento un brivido freddo lo colse, come il presentimento di
qualcosa d’orribile che lo attendeva. Alzatosi presto la mattina, stava
per entrare nella casupola dove aveva lasciato il cadavere, quando
s’imbatté in un brigante che lo informò che la salma non era più lì,
avendola trasportata lui e i suoi compagni, mentre Aubrey riposava,
sulla vetta di un monte vicino, seguendo una promessa fatta a sua
signoria, di esporlo al primo raggio freddo della luna sorta dopo la sua
morte. Aubrey rimase stupito e, presi con sé parecchi uomini, decise
d’andare a seppellire il corpo nel luogo in cui giaceva. Ma, salito
sulla vetta, non trovò traccia né del cadavere né dei suoi vestiti,
sebbene i briganti giurassero di avergli indicato la stessa roccia in
cui avevano deposto il corpo. Per un po’ si arrovellò la mente facendo
congetture, ma alla fine tornò, convinto che avessero sepolto il
cadavere per avere gli abiti.
Stanco di un paese dove
aveva incontrato tali terribili avversità, e nel quale tutto
apparentemente cospirava per aumentare quella malinconia superstiziosa
che si era impadronita della sua mente, Aubrey decise di andarsene e in
breve arrivò a Smirne. Mentre aspettava un vascello che lo portasse a
Otranto o a Napoli, si dedicò all’ispezione di quegli effetti che erano
appartenuti a Lord Ruthven. Tra le altre cose c’era un cassa che
conteneva parecchie armi d’offesa, più o meno in grado di assicurare la
morte della vittima. C’erano vari pugnali e yatagan [9].
Mentre li passava in rassegna e ne esaminava le forme curiose, quale fu
la sua sorpresa nel trovare un fodero che pareva ornato nello stello
stile del pugnale scoperto nella fatale capanna… rabbrividì… cercando
con ansia altre prove, trovò l’arma, e si può immaginare il suo orrore
quando scoprì che combaciava, nonostante la forma caratteristica, con il
fodero che teneva in mano. I suoi occhi sembravano non aver bisogno
d’ulteriori certezze… fissavano il pugnale incollati ad esso. Eppure
ancora sperava di non crederci, ma la forma particolare, le stesse tinte
cangianti sull’impugnatura e il fodero si assomigliavano per splendore
in entrambi, e non lasciavano spazio ai dubbi; in ambedue c’erano anche
macchie di sangue.
Lasciò Smirne, e sulla
via del ritorno, a Roma, le sue prime indagini riguardarono la ragazza
che aveva cercato di strappare alle arti della seduzione di Lord
Ruthven. I suoi genitori erano angosciati, la loro fortuna economica in
rovina, non avevano più notizie di lei dalla partenza di sua signoria.
La mente di Aubrey andò quasi in frantumi sotto il peso di tanti
incessanti orrori: temeva che la ragazza fosse caduta vittima
dell’assassino di Ianthe. Divenne cupo e silenzioso e la sua sola
occupazione consisteva nel sollecitare i postiglioni ad affrettarsi,
come se stesse andando a salvare la vita di qualcuno che gli era caro.
Arrivò a Calais. Una brezza, che sembrava obbedire al suo desiderio,
presto lo sospinse sulle rive britanniche, da dove si precipitò verso la
magione dei suoi antenati, e là, per un momento, parve perdere, tra gli
abbracci e le carezze della sorella, tutti i ricordi del passato. Se
prima lei aveva conquistato il suo affetto con le sue carezze infantili,
adesso che cominciava ad apparire donna, era ancora di più accattivante
come compagna.
Miss Aubrey non aveva
quella grazia convincente che conquista gli sguardi e i plausi dei
ricevimenti salottieri. Lei non aveva quella leggera vivacità che esiste
solo nelle atmosfere surriscaldate di una sala affollata. I suoi occhi
azzurri non si illuminavano con quella leggerezza di spirito. In lei
c’era un fascino malinconico che non sembrava sorgere dalle avversità,
ma da un qualche sentimento interiore che pareva indicare un’anima
conscia di un regno più luminoso. Il suo passo non era quell’incedere
grazioso che si smarrisce dietro una farfalla o un colore che può
attrarre… era pacato e riflessivo. Quand’era sola il suo volto non
s’illuminava di un sorriso di gioia, ma quando il fratello le mormorava
il suo affetto e dimenticava in sua presenza quelle pene che lei sapeva
nocive alla sua pace, chi avrebbe mai scambiato il suo sorriso con
quello della gaudente? Era come se quegli occhi… quel viso vagassero
nella luce del loro ambiente nativo. Lei aveva allora soltanto diciotto
anni e non era stata presentata in società, poiché i suoi tutori aveva
ritenuto più opportuno che la sua presentazione fosse rimandata fino al
ritorno del fratello dal continente, quando lui avrebbe potuto essere il
suo protettore. Pertanto, si decise che il prossimo ricevimento, ormai
vicinissimo, sarebbe stata l’occasione propizia per il suo debutto nel
“bel mondo”. Aubrey sarebbe rimasto volentieri nella magione dei suoi
antenati e nutrirsi della malinconia che lo soggiogava. Non riusciva a
provare interesse per le frivolezze di stranieri alla moda, quando la
sua mente era stata così sconvolta dagli eventi a cui aveva assistito,
ma decise di sacrificare il suo proprio benessere per la protezione
della sorella. Giunsero presto in città e si prepararono per il giorno
seguente, in cui era stato annunciato un ricevimento.
La folla straboccava… da
tanto tempo non si era tenuto un ricevimento, e tutti quelli che
attendevano con ansia di crogiolarsi nello splendore della famiglia
reale vi si precipitarono. Aubrey era là con la sorella. Mentre se stava
da solo in un angolo, incurante di tutto ciò che lo circondava, preso
dal ricordo che la prima volta che aveva visto Lord Ruthven fu proprio
in quel luogo… sentì all’improvviso afferrare il suo braccio e una voce a
lui fin troppo nota risuonò nelle sue orecchie… “Ricorda il tuo
giuramento”. Ebbe appena il coraggio di voltarsi, terrorizzato di vedere
uno spettro che lo avrebbe distrutto, quando avvertì, a poca distanza,
la stessa figura che aveva attirato la sua attenzione in questo luogo al
suo primo debutto in società. Lui la fissò finché le sue gambe quasi
rifiutarono di sostenerlo, fu costretto ad appoggiarsi al braccio di un
amico, e, facendosi largo tra la gente, si gettò nella sua carrozza e fu
portato a casa. Arrivato, camminò per la sua stanza a passi svelti e si
prese la testa tra le mani, come se temesse che i suoi pensieri gli
schizzassero dal cervello. Lord Ruthven ancora davanti a lui… le
circostanze gli si pararono innanzi in terribile schiera… il pugnale… il
giuramento… Si riebbe, non poteva credere che fosse possibile… il morto
risorto! Pensò che l’ immaginazione aveva evocato l’immagine che era
nella sua mente. Era impossibile che fosse reale… quindi, decise di
tornare al ricevimento; e sebbene tentasse di chiedere notizie di Lord
Ruthven, il nome restava fermo sulle sue labbra e non riusciva ad avere
informazioni. Poche sere dopo si recò con la sorella alla riunione di un
parente stretto. Lasciandola sotto la tutela di una signora, si ritirò
in un angolino e lì si abbandonò ai suoi pensieri più angosciosi. Alla
fine, accortosi che molti se ne stavano andando, si scosse e entrando in
un’altra stanza, trovò la sorella attorniata da parecchie persone,
apparentemente prese da una conversazione seria; tentò di passare e
avvicinarsi a lei, quando un uomo, al quale aveva chiesto di spostarsi,
si voltò e gli rivelò quei tratti che lui aborriva di più. Fece uno
scatto, afferrò il braccio della sorella, e, a passi svelti, la sospinse
verso la strada: sulla porta si trovò bloccato dalla calca dei
domestici che aspettavano i loro padroni, e mentre era intento a
superarli, sentì ancora quella voce sussurrargli vicino “Ricorda il tuo
giuramento!”. Non osò voltarsi, ma, incalzando la sorella, giunse presto
a casa.
Aubrey era quasi fuori
di sé. Se prima la sua mente era stata assorbita da un’idea, quanto più
era sottosopra ora che la certezza del ritorno in vita del mostro
assillava i suoi pensieri. Non teneva di conto le attenzioni di sua
sorella e invano lei tentava di farsi spiegare cosa aveva causato la sua
brusca condotta. Pronunciò solo poche parole e quelle la
terrorizzarono. Più ci pensava e più era sconcertato. Il suo giuramento
lo spaventava: doveva, allora, permettere a questo mostro di vagare,
portando la rovina tra le persone a lui più care senza poterlo fermare?
Proprio sua sorella poteva esser stata contattata da lui. Ma anche se
avesse rotto il giuramento e svelato i suoi sospetti, chi gli avrebbe
creduto? Pensò di adoperarsi per liberare il mondo da un tale
miserabile, ma la morte, ricordò, era già stata beffata. Rimase in
questo stato per giorni, recluso nella sua stanza, senza vedere nessuno e
mangiando solo quando veniva sua sorella che, con gli occhi pieni di
lacrime, lo implorava per il suo bene di sostenere i bisogni della
natura. Alla fine, non più in grado di sopportare il silenzio e la
solitudine, Aubrey lasciò la casa e vagabondò da una strada all’altra,
ansioso di sfuggire quell’immagine che lo perseguitava. Il suo
abbigliamento si fece trascurato e vagava esponendosi spesso al sole di
mezzogiorno come the all’umidità di mezzanotte. Ormai era
irriconoscibile. Da principio tornava a casa la sera, ma infine si
sdraiava per riposare in qualsiasi luogo la stanchezza lo assalisse. La
sorella, agitata per la sua salute, assunse delle persone che lo
seguissero, ma furono ben presto distanziati da lui che fuggiva da un
inseguitore più veloce di chiunque… il suo pensiero. Il suo
comportamento, tuttavia, cambiò immediatamente. Colpito dall’idea che
con la sua assenza avesse lasciato tutti gli amici perseguitati da un
demone, della cui presenza erano all’oscuro, decise di rientrare in
società e di sorvegliarlo attentamente, ansioso di avvisare, nonostante
il suo giuramento, tutti coloro che Lord Ruthven avvicinava. Ma quando
entrava in una stanza, la sua aria smunta e sospettosa era così marcata,
i suoi fremiti interiori così visibili, che sua sorella alla fine fu
costretta a pregarlo di astenersi dal cercare, per il suo bene,
compagnie che lo tormentavano così forte. Ma quando la lamentela si
rivelò inutile, i tutori ritennero giusto intervenire e temendo che
stesse per impazzire, pensarono fosse il momento opportuno per
riprendersi quella fiducia che in passato era stata affidata loro dai
genitori di Aubrey.
Desiderosi di salvarlo
dai danni e le sofferenze che ogni giorno aveva incontrato nei suoi
viaggi e d’impedirgli di mostrare a tutti quei segni che loro
consideravano follia, assunsero un medico che risiedesse nella sua casa e
lo curasse costantemente. Aubrey sembrava appena accorgersene, tanto la
sua mente era del tutto assorbita da un unico terribile pensiero. La
sua incoerenza divenne infine così grave che fu confinato nella sua
camera. Lì giaceva spesso per giorni, incapace di risvegliarsi. Era
diventato emaciato, gli occhi avevano assunto una luminosità vitrea…
l’unico rimanente segno di affetto e ricordo era quando entrava la
sorella, allora talvolta si riprendeva e, afferrandole le mani, con uno
sguardo che l’affliggeva gravemente, la implorava di non toccarlo. “Oh,
non toccarlo… se ancora mi ami, non avvicinarlo!”. Ma quando lei
chiedeva a chi si riferisse, lui rispondeva soltanto “Vero! vero!”, e
sprofondava di nuovo in uno stato da cui neanche lei poteva scuoterlo.
Così fu per molti mesi: però, gradualmente, passato quasi un anno, le
sue stranezze diminuirono e la sua mente si liberò di un po’ della sua
malinconia, mentre i suoi tutori notavano che più volte al giorno lui
contava sulle dita fino a un certo numero e poi sorrideva.
Il tempo era quasi
scaduto quando, l’ultimo giorno dell’anno, uno dei tutori entrando nella
sua stanza, cominciò a conversare con il medico sulla penosa condizione
di Aubrey, che era in uno stato così orribile, dato che la sorella si
sarebbe sposata il giorno dopo. L’attenzione di Aubrey fu richiamata
all’istante e chiese ansiosamente chi fosse lo sposo. Felici di
constatare un ritorno dell’intelletto, di cui temevano fosse stato
privato, fecero il nome del Conte di Marsden. Pensando che questo fosse
un giovane conte che aveva incontrato in società, Aubrey sembrò contento
e li stupì ancora di più esprimendo l’intenzione di presenziare alle
nozze e il desiderio di vedere la sorella. Gli risposero di no, ma pochi
minuti la sorella fu da lui. Parve ancora in grado d’essere colpito
dall’influenza del suo dolce sorriso, infatti se la strinse al petto e
le baciò le guance umide di lacrime, che cadevano al pensiero del
fratello per una volta ancora capace di affetto. Aubrey iniziò a parlare
con tutto il suo calore abituale e a congratularsi con lei per le nozze
con una persona così distinta per il rango e le sue doti. Quando
all’improvviso notò un medaglione sul suo petto, e aprendolo, quale fu
la sua sorpresa nel vedere il volto del mostro che aveva così tanto
influenzato la sua vita. Afferrò il ritratto in un parossismo di rabbia e
lo calpestò. Mentre lei gli chiedeva perché avesse distrutto così
l’immagine del suo futuro marito, lui la guardò come se non capisse…
allora, stringendole le mani e fissandola con un’espressione del volto
agitata, le intimò di giurare che non avrebbe mai sposato quel mostro,
perché lui… ma non poté andare avanti… sembrava che quella voce gli
ordinasse ancora di ricordare il suo giuramento… si voltò di scatto,
credendo che Lord Ruthven fosse lì vicino, ma non vide nessuno. Nel
frattempo i tutori e il medico, che avevano sentito tutto, e pensavano
che non fosse altro che una ripresa del suo disturbo, entrarono e lo
strapparono da Miss Aubrey, pregandola di lasciare il fratello. Lui
cadde in ginocchio davanti a loro, li implorò, li supplicò di rinviare
le nozze di un solo giorno. Attribuendo questo alla follia che
immaginavano si fosse ancora impadronita della sua mente, tentarono di
calmarlo e si ritirarono.
Lord Ruthven era passato
per una visita la mattina dopo il ricevimento ed era stato allontanato
come tutti. Venuto a sapere della cattiva salute di Aubrey, capì
prontamente che lui era la causa, ma quando lo informarono che Aubrey
era ritenuto pazzo, riuscì a stento a nascondere la sua esultanza e il
piacere a coloro da cui aveva avuto quella notizia. Corse verso la casa
del suo vecchio compagno e, con la sua presenza costante, fingendo un
grande affetto per il fratello e interesse per la sua sorte,
gradualmente trovò ascolto presso Miss Aubrey. Chi avrebbe potuto
resistere al suo potere? La sua lingua raccontava di pericoli e fatiche…
poteva parlare di sé come di un individuo che non aveva compassione per
nessuno sulla terra, eccetto colei a cui si rivolgeva.. poteva dirle
come, sin dal primo incontro, la sua esistenza avesse iniziato a
sembrargli degna d’essere vissuta, se non altro per poter ascoltare le
sue parole rassicuranti… in fine, seppe bene come usare l’arte del
serpente, o tale era il volere del fato, che conquistò il suo affetto.
Spettandogli alla fine il titolo del ramo più antico della famiglia,
ottenne un incarico presso un’importante ambasciata, che gli servì da
pretesto per affrettare le nozze (malgrado il disturbo mentale del
fratello), che dovevano aver luogo proprio il giorno prima della sua
partenza per il continente.
Aubrey, lasciato dal
medico e dai tutori, tentò invano di corrompere i domestici. Chiese
carta e penna, gli furono date, e scrisse una lettera alla sorella,
scongiurandola, se teneva alla propria felicità, al proprio onore e
all’onore di quelli ormai defunti, che l’avevano tenuta nelle loro
braccia come la speranza loro e della casa, di rinviare solo per poche
ore quel matrimonio, su cui riportava le più gravi maledizioni. I
domestici promisero di consegnarla, ma la dettero al medico, che pensò
fosse meglio non tormentare mai più l’animo di Miss Aubrey con quelli
che considerava i deliri di un folle. La notte trascorse senza riposo
per gli abitanti indaffarati della casa e Aubrey sentì, con un orrore
che è più facile intuire che descrivere, i rumori dei preparativi
animati. Venne il mattino e il suono delle carrozze gli giunse alle
orecchie. Aubrey quasi impazzì. La curiosità dei domestici alla fine
ebbe la meglio sulla loro vigilanza, poco alla volta se la svignarono,
lasciandolo in custodia di una vecchia indifesa. Colse l’occasione, con
un balzo uscì dalla stanza e in un attimo si trovò nella sala dove tutti
erano riuniti. Lord Ruthven fu il primo ad accorgersi di lui: gli si
avvicinò subito e, afferrando con forza il suo braccio, lo trascinò
fuori della stanza, muto per la collera. Una volta sulle scale, Lord
Ruthven gli sussurrò: “Ricorda il tuo giuramento e sappi che, se oggi
non mi sposerà, tua sorella sarà disonorata. Le donne sono fragili!”.
Dicendo così, lo spinse verso i suoi servi, che, messi in allarme dalla
vecchia, erano venuti a cercarlo. Aubrey non ce la fece più; non
trovando sfogo la sua ira aveva rotto un vaso sanguigno, e fu portato a
letto. Questo non fu riferito alla sorella, che non era presenta quando
gli sposi lasciarono Londra.
La debolezza di Aubrey
aumentò; lo sbocco di sangue produsse i sintomi di un’imminente morte.
Chiese che i tutori di sua sorella fossero chiamati, e quando la
mezzanotte era scoccata, raccontò con calma ciò che il lettore ha già
letto… e subito dopo morì.
I tutori accorsero per
proteggere Miss Aubrey, ma quando arrivarono era troppo tardi. Lord
Ruthven era scomparso e la sorella di Aubrey aveva soddisfatto la sete
di un VAMPIRO!
[1] Allora pubblicato con il titolo di “Frankenstein; o, Il Moderno Prometeo.”
[2] La credenza universale è che una persona, punta da un vampiro, diventi a sua volta un vampiro e succhi il sangue.
[3] Ufficiale capo.
[4] Ghul o Ghoul e Ifrit o Afret sono creature soprannaturali delle cultura islamica paragonabili ai nostri mostri.
[5] “But
first on earth, as Vampyre sent, / Thy corse shall from its tomb be
rent; / Then ghastly haunt the native place, / And suck the blood of all
thy race; / There from thy daughter, sister, wife, / At midnight drain
the stream of life; / Yet loathe the banquet which perforce / Must feed
thy livid living corse, / Thy victims, ere they yet expire, / Shall know
the demon for their sire; / As cursing thee, thou cursing them, / Thy
flowers are withered on the stem. / But one that for thy crime must
fall, / The youngest, best beloved of all, / Shall bless thee with a
father’s name — / That word shall wrap thy heart in flame! / Yet thou
must end thy task and mark / Her cheek’s last tinge — her eye’s last
spark, / And the last glassy glance must view / Which freezes o’er its
lifeless blue; / Then with unhallowed hand shall tear / The tresses of
her yellow hair, / Of which, in life a lock when shorn / Affection’s
fondest pledge was worn — / But now is borne away by thee / Memorial of
thine agony! / Yet with thine own best blood shall drip; / Thy gnashing
tooth, and haggard lip; / Then stalking to thy sullen grave, / Go—and
with Gouls and Afrits rave, / Till these in horror shrink away / From
spectre more accursed than they”. George Gordon Byron, The Giaour, vv. 755-786.
[6] Thalaba the Destroyer è un poema epico composto nel 1801 dal poeta romantico inglese Robert Southey (1774-1843).
[7] Riferimento a Relation ‘’un voyage du Levant scritto nel1717 dal botanico francese Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708)
[8] Riferimento al Traité sur les apparitions scritto nel 1746 dall’abate Augustin Calmet.
[9]Yatagan è un arma bianca usata dagli ottomani, una spada ricurva tagliente sul lato concavo.
Nessun commento:
Posta un commento
Salve, donatemi un pò dei Vostri Pensieri: