Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

mercoledì 9 ottobre 2013

Kant: bello, sublime ed altro

Di Enrico Del Bianco

Il problema
Riflettendo sul problema della conoscenza e della scienza ho imparato che sono un corpo, un grave tra i gravi, e come tale sono sottoposto alle necessarie leggi della fisica.
Ponendomi il problema morale ho deciso di ritenermi libero di imporre alle mie azioni moventi razionali, lasciando da parte quelli sensibili.
Dunque come ente naturale sono determinato dalla catena delle cause e degli effetti e nessuna libertà è concepibile, come ente morale invece ritengo ragionevole postulare la mia libertà.
Come posso essere libero e non esserlo?
Come possono convivere in me due prospettive opposte? Sono condannato a percepirmi nei termini di una ineliminabile schizofrenia?
Sentimento
Sento il bisogno di superare il dualismo sopra descritto e di avvertire un’armonia tra il mio essere spirituale-morale e la mia natura sensibile-materiale; sono pervaso, nel mio rapporto con me stesso e in quello con la natura che mi circonda, dall’esigenza di unità, di ordine tra interno ed esterno, tra la mia interiorità e l’esteriorità che mi si fa presente nel mio corpo e nei fenomeni che mi circondano.
Questo sentimento, quest’esigenza la trovo ineliminabile da me: nel mio essere non ci sono solo la sensibilità che apprende i dati, l’intelletto che costruisce la natura fenomenica e la ragione che fonda la morale, ma anche questa esigenza di sentire la convergenza di natura e spirito.
Il sentimento è dunque una mia facoltà che possiede una specifica struttura a priori: la finalità (armonia, ordine, accordo).
Quando ci poniamo in termini sentimentali di fronte a qualcosa, proiettiamo sull’oggetto l’esigenza di ordine, armonia , finalismo che ci contraddistingue e giudichiamo di conseguenza.
Giudizi riflettenti
Il sentimento della libertà (così lo chiama L. Geymonat) trova espressione in quei particolari tipi di giudizio che sono i giudizi riflettenti, studiati nella Critica del Giudizio kantiana.
Essi non determinano l’oggetto dell’esperienza come i giudizi determinanti (sintetici a priori delle scienze), ma riflettono sull’oggetto già determinato e, appunto, lo giudicano sulla base del suo corrispondere alle nostre esigenze di armonia.
I giudizi riflettenti si distinguono in giudizi estetici e giudizi teleologici.
Giudizi estetici, bello e sublime
I primi derivano dal sentire immediatamente la natura, un oggetto, il nostro corpo in un particolare rapporto con la nostra interiorità.
Quando questo rapporto è in termini di accordo, allora facciamo esperienza del bello.
Il mio studio mi piace perché la disposizione dei mobili, dei libri , dei quadri è come se fosse finalizzata a farmi piacere.
Quel tramonto è bello perché sembra essersi realizzato per far da cornice al mio stato d’animo del momento.
Quel vestito è quello che cercavo perché indossandolo sento il mio corpo in accordo con il mio spirito.
Il piacere che me ne deriva non è dovuto al possesso e alla consumazione dell’oggetto, non è piacere sensibile interessato, ma appunto piacere estetico disinteressato che gode nel percepire la pura forma della finalità, senza dover chiamare in causa un fine oggettivo.
Se invece mi trovo in mezzo ad una terribile tempesta che rischia di spazzarmi via per la sua potenza o mi trovo atterrito di fronte alla grandezza dell’oceano improvvisamente apparso alla mia vista, allora il piacere deriverà dal provare la sproporzione (non l’accordo o la proporzione) che sussiste tra noi e la natura, cogliendo prima la nostra piccolezza fisica e poi la nostra grandezza spirituale di esseri capaci di godere disinteressatamente di tutto ciò.
Questa è l’esperienza del sublime (dinamico e matematico).
Bello e sublime sono, ovviamente, soggettivi ma possiedono una universalità propria che risiede nella facoltà propria di tutti gli esseri umani di sentire disinteressatamente in base all’a priori della finalità.
Non condividerò i gusti degli altri, ma mi confronterò con loro e ci intenderemo quando parleremo di bello e di sublime.
Giudizi teleologici
Nei giudizi riflettenti teleologici si esprime la nostra tendenza a pensare (non solo sentire) la natura in termini finalistici.
Infatti, soprattutto per quanto riguarda il mondo della vita, siamo portati a concepire qualcosa di più rispetto alla necessità meccanica delle leggi fisiche.
Un essere vivente sembra rispondere ad un fine determinato ( per le piante emettere ossigeno di giorno) e così la natura nel suo complesso può sembrare rispondente ad uno scopo posto da un’intelligenza superiore.
Conclusione
Sia nel caso del giudizio estetico sia in quello del giudizio teleologico la finalità non entra nella costituzione
degli oggetti (non è una categoria dell’intelletto).
Noi sentiamo o pensiamo la natura “come se” in essa ci fosse una qualche finalità, ma mai possiamo tradurre questo bisogno spirituale in una conclusione scientifica.

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