di SyntMentis
I. La morale come agente di squilibrio delle forze naturali
"Il rimedio è peggiore del male", quale ratio si nasconde dietro l'evidenza del famoso adagio nietzschiano?
Il male al quale si riferisce il rimedio è il male della natura, la quale è colpevole, agli occhi dei fautori del rimedio, di inquinare l'agire umano con le sue pulsioni primordiali. L'uomo edifica la morale perché senza di essa si sente alla mercé dell'arbitrio delle pulsioni, poiché sente in sé il ridestarsi delle memorie animalesche che lo spingono ad agire irrazionalmente.
Nietzsche, per contro, una volta constatata l'evidenza delle pulsioni, avverte chiaramente come nell'uomo la morale che viene a porsi come argine alla pura bestialità diventi essa stessa una bestialità, per eccesso di “regolamenti”, per eccesso di “bigottismo”. La morale poi, nata come rimedio all'assenza di leggi, col tempo si struttura in costruzione amorale, che si fa portatrice degli interessi particolari delle classi dirigenti democratiche e religiose, le quali, pur essendo più deboli degli uomini forti (ovvero degli uomini che per le loro qualità naturali si pongono “al di là del bene e del male”) utilizzano l'intero sistema strutturato della loro morale (lo Stato, le istituzioni, la società) per sottometterli al loro volere, "inferiore in qualità" rispetto al volere dei più forti ("la morale è dominio dei deboli sui forti").
Nietzsche predica allora un annullamento della morale secolare dei deboli, e una liberazione da tali vincoli, liberazione che si incarna nella natura dell'oltre-uomo, un nuovo tipo di uomo che sente in sé la propria forza (Nietzsche la chiama "volontà di potenza") e che decide di vivere oltre i legami della morale corrente, seguendo una propria disposizione alla superiorità (una volta accertata la sua superiorità, l'oltre-uomo guarda con disprezzo il “gregge” a lui sottostante e agisce senza più timori realizzando pienamente la propria natura).
In altre parole, Nietzsche afferma che la natura è in grado di autoregolamentarsi da sé: i rapporti di forza che vengono a crearsi tra soggetti forti e soggetti deboli hanno già in sé l'evidenza della verità, chi è in grado di emergere sugli altri in virtù della propria forza, concessagli direttamente dalla natura sotto sembianza del proprio carattere, ha più diritti rispetto all'uomo debole, il quale si fa scudo della morale per essere forte “quanto e di più” degli uomini forti. La morale è quindi un agente di squilibrio nell'ambito del gioco della natura, nel quale si esprime la logica per cui il più debole soccombe al più forte (da notare poi che la forza è una qualità che si può coltivare, sempre che il soggetto l'abbia già in sé, in potenza, e allora sarà necessaria una attività liberatoria del proprio essere volta a ridestarla).
II. I forti non sono così forti
L'uomo forte nietzschiano ha in sé i caratteri del guerriero, colui che lotta contro le gabbie delle morali, che si libera da esse, combatte quasi solo contro la maggioranza schiacciante degli uomini, poiché la forza è qualità elitaria, appartiene a pochi (“piena è la terra di superflui, corrotta la vita dai troppi”).
A questo punto si potrebbe obbiettare che se i deboli, facendosi scudo delle proprie strutture morali, agiscono da secoli “al di sopra” dei forti, questi forti, così forti, non sono. Se l'artificio morale rompe l'equilibrio dei rapporti di forza esistenti in natura, irrompendo nel gioco della pura e spietata sopravvivenza dei più forti, in realtà costituisce qualcosa di ancor più forte della natura.
In realtà, la legge per cui il più forte ha diritto sul più debole, esprime un'evidenza giustificazionista: similmente al pensiero di Hegel quando teorizza il diritto degli eroi cosmici, Nietzsche teorizza il diritto di superiorità rispetto alle morali, ma mentre in Hegel il destino degli eroi cosmici è pur sempre sottomesso al volere dello “Spirito della Storia” (che agisce, secondo i casi, similmente alla “nemesi” greca), in Nietzsche l'oltre-uomo edifica da sé il proprio destino, “vuole” edificarlo, in un impeto di “volontà di libertà e autodeterminazione assoluta” che lo porta molto vicino a un certo sentire romantico.
III. Le conchiglie dello sciamano
Ciò che porta i deboli ad edificare il rimedio morale è la paura dell'irrazionale, dell'indeterminato. Nella regolarità della morale vi è l'antidoto all'imprevedibilità del caso, per cui ad eventi imprevisti, la morale oppone comportamenti già determinati. Questo, per Nietzsche, non è accettabile, in quanto ogni morale costituisce menzogna che copre la verità del caos.
A questo punto occorre notare come, negata la legittimità della morale, ci si debba per forze di cose rivolgere alla legge del caso (e del fato). Nietzsche, negando la morale degli uomini, deve per forza di cose gettarsi nel caos, e con essa gettarvi tutta la sua opera. Una volta affermato il sentiero dell'imprevedibilità, Nietzsche non può che estetizzare fino agli estremi tutto il suo pensiero, nella ricerca di una purezza spirituale che lo renda realmente in grado di penetrare con estrema finezza la psicologia dell'arbitrio.
Non conosciamo, infatti, di cosa possa realmente farsi interprete l'oltre-uomo, a fronte di una tendenza a liberarsi e ad essere superiore al semplice uomo come sua evoluzione. Il pensiero di Nietzsche, a questo punto, si fa nebuloso e poetante, lirico, che è come un abdicare ai metodi della filosofia classica, un altro aspetto della morale, per uscire dall'impasse con eleganza.
Il lirismo di Nietzsche, per i lettori più attenti, si configura così come una copertura, il tappeto sotto il quale si nasconde la cenere. Il pensiero poetante testimonia lo sforzo continuo di affermare qualcosa che non si riesce a definire, e qui ritorna la vena romantica del pensiero di Nietzsche.
Come tutti gli autori che suggeriscono un metodo e una tendenza, consegnando le conclusioni all'interim dell'arbitrio, Nietzsche gode e godrà di larga fama ancora per molto tempo: ad ognuno è infatti permesso di interpretare il suo pensiero come meglio crede, Nietzsche e la sua opera sopperiscono oggi all'antica funzione delle conchiglie dello sciamano, le quali, gettate a caso e ricomposte all'occorrenza, fornivano infinite interpretazioni a qualsivoglia argomento.
IV. La filosofia dell'arbitrio
Per concludere, occorre notare come tutto il pensiero di Nietzsche si configuri come una filosofia dell'arbitrio. Arbitrario è ciò che non ha alcuna giustificazione, ciò che si afferma senza alcun bisogno di leggi, ciò che si impone senza alcun diritto. Se si pone come diritto la naturale inclinazione degli uomini forti al comando, si potrà sempre credere che esistano uomini ancora più forti in grado di scalzare i primi, poiché nulla è vietato nel regno dell'arbitrio, nemmeno la facoltà del passato di ritornare eternamente nel presente (come imposto dall'idea dell'eterno ritorno).
Del resto non si capisce come Nietzsche possa realmente distinguere la forza dalla debolezza, poiché in regime di piena autonomia della volontà ogni volontà può creare da sé la propria idea di forza e di superiorità.
Nei filosofi della volontà, per cui solo la volontà costituisce la reale distinzione, tutto accade per arbitrio, e così come sembra facile confutare l'arbitrio della morale, risulta altrettanto facile negare l'arbitrio che impone la confutazione. Il sistema di Nietzsche è quindi un sistema chiuso, ma non chiuso perché immobile nella sua evidenza, chiuso perché immobile nella sua obbligata e sempiterna mobilità, nella sua obbligata incocludibilità.
Ricordatevi che di qualsiasi scritto, dove nasce da una idea un conflitto,
bisogna coglierne della logica l'essenza, per un sano spunto di partenza.
Se non si è schiavi di una religione, una idea anche se forte,
può far utilizzo della ragione, come del pennello ne fa l'arte.
(LexMat)
Quanto rimane, è un destino dove solo la conclusione è fatale.
Ed a dispetto della morte, tutto è libertà, un mondo di cui l'uomo è il solo padrone.
(Albert Camus)
Presentazione
La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.
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