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La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

martedì 15 ottobre 2013

Scienza del Cervello e Conoscenza umana

Da "http://www.filosofiprecari.it/wordpress/?p=2208" :

Gerald Edelman, Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana. Una recensione


In questo scritto si prende in esame un’opera scientifica che nonostante non sia di recente pubblicazione – la sua uscita anglofona è del 2006  – non è per tale ragione da considerare obsoleta, quantomeno nello spirito che informa il testo. Gerald M. Edelman, autore del libro in questione, premio Nobel nel 1972 per la fisiologia e la medicina per i suoi lavori sul sistema immunitario, è attualmente direttore del Neurosciences Institute di San Diego e presidente del Dipartimento di Neurobiologia presso lo Scripps Research Institute di La Jolla (California). Nella prefazione del suo Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana, (tradotto in lingua italiana nel 2007 per Raffaello Cortina Editore, nella collana diretta da G. Giorello), Edelman afferma la propria convinzione secondo la quale, seguendo William James, «la coscienza è un processo la cui funzione è conoscere»; e, dunque, capire la coscienza è fondamentale per comprendere «quale sia la relazione tra i progressi delle scienze del cervello e i problemi della conoscenza umana». La nascita della fisica moderna, che segna l’inizio del più profondo cambiamento di prospettiva mai affrontato dalla specie umana, e lo sviluppo dell’idea di selezione naturale, che fornì la base teorica per comprendere l’evoluzione degli esseri viventi, tratteggiano un arco che non è ancora compiuto: la scienza, infatti, non ha ancora chiarito le basi cerebrali della coscienza, esperienza irriducibilmente soggettiva, non oggettivabile. Considerando la scienza come «immaginazione al servizio della verità verificabile» – dunque, essendo l’immaginazione dipendente dalla coscienza, anche la scienza è dipendente dalla coscienza – Edelman, all’interno di una prospettiva che potremmo ricondurre all’ecologia intesa come scienza che studia i rapporti tra gli esseri viventi e l’ambiente, sostiene l’assunto che possediamo una teoria scientifica della coscienza soddisfacente, che chiama «darwinismo neurale», secondo la quale la coscienza emerge dalla dinamica celebrale. In altri termini, nell’indagare come funziona il cervello (il quale è incarnato in un corpo, così quest’ultimo influenza ed è influenzato dall’insieme delle relazioni con l’econicchia) è possibile formularne una teoria globale che si possa ampliare fino a spiegare la coscienza, permettendoci di comprendere meglio il nostro posto nell’ordine naturale.
Il darwinismo neurale, o teoria della ‘selezione dei gruppi neuronali’, si basa su tre principi: il primo è che lo sviluppo dei circuiti neuronali nel cervello produce una rilevante variazione anatomica microscopica che è la conseguenza di un «processo di selezione continua»; il secondo è che quando il repertorio di circuiti anatomici che si formano riceve segnali provocati dal comportamento o dall’esperienza dell’animale hanno luogo anche cambiamenti della forza delle sinapsi già esistenti nell’anatomia cerebrale. Il risultato finale della ‘selezione nello sviluppo’ e della ‘selezione esperienziale’ è che alcuni circuiti neuronali sono favoriti rispetto ad altri; il terzo principio è il processo chiamato «rientro», ossia la segnalazione incessante da una certa regione cerebrale a un’altra e poi di nuovo alla prima lungo fibre massicciamente parallele, onnipresenti nei cervelli superiori. L’effetto finale di questo traffico rientrante è la scarica sincronizzata di gruppi neuronali in particolari circuiti. In tal modo si ottiene la coordinazione nel tempo e nello spazio che non è da rintracciare in qualche forma di computazione. Edelman è contrario all’analogia tra l’attività del cervello e il funzionamento del computer, poiché, da un lato, il cervello non funziona utilizzando la logica e l’aritmetica o seguendo cicli rapidissimi scanditi da un orologio e, non essendo il mondo un pezzo di nastro codificato, non riceve segnali non ambigui; dall’altro, poiché nel corso dello sviluppo delle strutture anatomiche i neuroni che scaricano insieme si cablano insieme, le diverse esperienze individuali lasciano impronte tali da far sì che «due cervelli non siano mai identici». Inoltre, «nulla indica l’esistenza di un programma composto di procedure efficaci per il controllo degli ingressi, delle uscite e del comportamento del cervello. L’intelligenza artificiale non funziona nei cervelli veri». In sintesi, la selezione biologica, che è opportunistica, non può essere considerata come un insieme di istruzioni informatiche. Affinché l’adattamento possa avere successo, ogni specie eredita, in forma di sistemi di valore presenti nel cervello per effetto della selezione naturale, propensioni e ricompense che regolano il risultato della selezione nello sviluppo e della selezione esperienziale coordinate dal rientro.
Tipico aumento della densità sinaptica nel corso degli anni
Molte aree cerebrali funzionalmente separate non hanno un coordinatore, ma sono collegate in modo rientrante mediante fibre reciproche. Le risposte di queste aree si combinano e danno origine a un oggetto di percezione unitaria che emerge dall’attività di circuiti che scaricano in sincronia e collegano le risposte dalle varie regioni separate. La memoria è una proprietà dinamica di sistema per cui il rafforzamento e l’indebolimento delle sinapsi facilitano il nuovo coinvolgimento di una parte dei circuiti originari: non vi sono segnali provenienti dall’oggetto originario, ma vi è una stimolazione, nel cervello del soggetto, di circuiti rientranti che producono un’immagine o un pensiero dell’oggetto richiamato alla memoria. L’immagine si forma grazie al cervello che parla a se stesso. La memoria, che è una ricategorizzazione influenzata dai sistemi di valore, rinuncia alla precisione assoluta in cambio di potere associativo, proprietà fondamentale per l’apprendimento. La coscienza fenomenica è ‘implicata’, non causata, dall’attività rientrante selettiva di gruppi di neuroni nel nucleo. Essere coscienti è un’esperienza soggettiva, privata, spesso intenzionale, di un numero innumerevole di scene, più o meno globali, ma comunque unitarie; e ogni scena cosciente è caratterizzata da una sensazione qualitativa. Mentre gli animali, avendo esperienza di una scena unitaria in un intervallo di tempo di non più di qualche secondo, il cosiddetto «presente ricordato», sono dotati di «coscienza primaria», ossia sono consapevoli degli eventi in corso, l’uomo, avendo capacità semantiche o simboliche, una sintassi e un linguaggio, è cosciente di essere cosciente, ha i concetti di passato e futuro e un sé sociale nominabile: ad una coscienza primaria si aggiunge una coscienza di ordine superiore che può liberare temporaneamente dai limiti del presente ricordato.
Dopo aver illustrato in linee generali e semplificanti la teoria di Edelman (non possiamo che rimandare al libro stesso per avere un quadro più sfaccettato), andiamo a toccare quelli che sono i luoghi di maggiore interesse filosofico. Partendo dall’assunto che il cervello, come struttura fondamentale per l’elaborazione della conoscenza, non è stato ‘progettato’ per la conoscenza, Edelman inizia a trattare del contributo che un’epistemologia basata sul cervello, fondata non sulla psicologia, come voleva Quine, ma sulla biologia, può offrire al quadro dell’acquisizione della conoscenza. Le caratteristiche epigenetiche del ‘plastico’ cervello umano dipendono dai segnali provenienti dal corpo e dall’ambiente e, soprattutto, dall’azione, ma anche dall’interazione delle aree cerebrali e dalle connessioni rientranti che hanno causato un enorme aumento delle capacità discriminatorie, evidente vantaggio adattativo. Il cervello è un sistema selettivo che funziona prima facie in base non alla logica ma piuttosto al «riconoscimento di configurazioni», un processo che può rinunciare alla specificità, se necessario, in cambio di un ampliamento della varietà. Inoltre, «i vincoli dei sistemi di valore essenziali per l’evoluzione di comportamenti adattivi fanno dell’esperienza emotiva un necessario accompagnamento dell’acquisizione di conoscenza anche dopo lo sviluppo delle capacità logiche e di analisi formale in stadi successivi». Il fatto di possedere un linguaggio, con i suoi effetti sulla trasmissione culturale, ha portato a un’enorme espansione del potere concettuale. Se l’espansione linguistica e le capacità associative della metafora possono condurre alla poesia e all’immaginazione, il linguaggio rende possibile anche lo sviluppo della logica e ha un ruolo nel successivo emergere dell’aritmetica. Per Edelman, «il pensiero precede il linguaggio. Ma, una volta instauratosi il linguaggio, c’è un’esplosione dei pensieri possibili e si è tentati di identificare pensieri e credenze, e a volte conoscenze, sempre e soltanto con proposizioni. L’epistemologia tradizionale ha ceduto a questa tentazione. Nella sua ricerca di una convalida della credenza vera, indulge a un gioco linguistico. Il suo obiettivo è nobile e ambizioso, però si basa su un insieme limitato di assunti sui mezzi grazie ai quali pensiamo e interagiamo con il mondo. I suoi modelli, basati sul fondazionalismo cartesiano (che implica un ricevente separato dell’istruzione o informazione) o, in alternativa, su una mescolanza kantiana di idee a priori e a posteriori, non sembrano corrispondere ai fatti. Procedendo senza far riferimento alla sperimentazione e alla conoscenza scientifica, l’epistemologia tradizionale ignora come si sviluppa in realtà la conoscenza».
Certamente, un limite della epistemologia basata sul cervello è rappresentato dal fatto che l’evoluzione umana sia accompagnata dalla coevoluzione della ‘cultura’. Edelman riconosce che il dover essere, e in generale la ‘seconda natura’, non deriva dall’essere. «Una spiegazione scientifica esclusivamente riduzionistica di questa seconda natura, della sua etica e della sua estetica non è desiderabile né probabile né imminente. I fattori culturali hanno una grossa parte nella determinazione delle credenze, dei desideri e delle intenzioni». La cultura, che costituisce un potente mezzo di cambiamento che influenza profondamente le basi della conoscenza e del comportamento, non è equiparabile direttamente all’ambiente naturale. Edelman, che contesta come indifendibili le tesi riduzionistiche, secondo cui anche sistemi normativi come l’etica e l’estetica si possano spiegare riconducendoli a una serie di regole epigenetiche del cervello, afferma che sebbene tutti gli eventi storici seguano leggi fisiche, queste non sono in grado di spiegare pienamente tutti gli sviluppi storici: «l’evoluzione del cervello e di menti coscienti è avvenuta per selezione naturale nell’ambito della struttura data dalle leggi fisiche; in seguito all’evoluzione dell’Homo sapiens, l’emergere del linguaggio e della coscienza di ordine superiore ha consentito lo sviluppo della scienza empirica. L’applicazione della logica in relazione al linguaggio e all’osservazione del mondo, e della matematica come studio di oggetti mentali stabili, ha profondamente arricchito questi sviluppi. Ciò nondimeno, essi hanno avuto luogo nell’ambito di uno specifico contesto storico che non è riducibile a questi stessi sviluppi. Inoltre, non vi è contraddizione nel fatto che cervelli selettivi capaci di coscienza di ordine superiore e di riconoscimento di configurazioni possano creare sistemi artistici, estetici o etici in particolari condizioni storiche e culturali. Possiamo concludere che tra la scienza e discipline umanistiche non vi è una separazione logicamente necessaria, ma solo un rapporto di tensione in cui la scienza è riconosciuta come una base fondamentale, ma non esaustiva né unica, della conoscenza».
 Edelman condivide l’idea secondo la quale esistano tipi differenti di conoscenza, scientifica, matematica, storica. La frattura tra la scienza e le discipline umanistiche si origina oltre che dal dualismo cartesiano per il quale la coscienza era distinta e separata dal mondo conoscibile, anche dal fatto che, proprio in ragione dell’oggetto d’indagine, tanto le metodologie quanto gli obiettivi della scienza differiscano da quelli dell’analisi storica: gli eventi storici, contingenti, irreversibili, unici, situati all’intero delle peculiarità di una determinata cultura sono qualitativamente differenti rispetto alle regolarità che lo scienziato può rintracciare nell’ordine naturale. Ora, naturalizzare la coscienza potrebbe offrirci non solo una base per una solida teoria della conoscenza, ma anche individuare quali fattori governano l’emergere storico della conoscenza scientifica. Sappiamo infatti che il cervello, irriducibilmente soggettivo, opera selettivamente avendo di mira sia il riconoscimento di configurazioni sia la determinazione di regolarità. Nelle modalità di pensiero dei cervelli selettivi vi è un insieme di relazioni tra riconoscimento di configurazioni e logica che è allo stesso tempo contrastivo e di rinforzo. Una prima e fondamentale modalità di pensiero che dipende in larga misura dal riconoscimento di configurazioni è legata alla metafora, riflesso della varietà e dell’associatività di reti cerebrali, i cui prodotti possono essere comprensibili, ma non sono dimostrabili come le proposizioni logiche o le similitudini. Il linguaggio stesso riflette l’aspetto costruttivo e tuttavia intrinsecamente ambiguo e indeterminato di questa modalità di pensiero. Queste caratteristiche sono il risultato del compromesso tra specificità e varietà in sistemi selettivi. I vari repertori di questi sistemi non corrispondono mai in modo perfetto ai contenuti dei domini che devono riconoscere. Tuttavia, una volta avvenuta la selezione su una gamma di varianti, può aver luogo un perfezionamento sempre più specifico: se nell’analisi storica non si può andare oltre l’interpretazione e il giudizio qualitativo, nelle scienze applicando la logica o la matematica alle osservazioni si possono rintracciare regolarità.
Per Edelman, così come è un’illusione utile il senso della durata del tempo, poiché esiste solo il presente ricordato, così è un’illusione utile l’idea che la coscienza produca effetti fisici; in realtà, la coscienza, implicata dall’attività causale del cervello, serve ad informarci dei nostri stati cerebrali, ma non li determina. Inoltre, riguardo alla relazione tra aspetti normativi e gli stati neurali, rifiutata la fallacia naturalistica, Edelman sostiene che negli esseri umani l’apprendimento di categorie può modificare i punti di regolazione dei sistemi di valore, i quali possono avviare la costruzione di obblighi in una società senza determinarli.
Se la descrizione scientifica del mondo riguarda la natura, la creatività, considerata come un riflesso dei sistemi neurali selettivi, manifesta la capacità del nostro cervello di produrre una seconda natura: i vincoli derivano dalle esperienze nell’ambito di una certa cultura, che determinano la scelta e la risposta alle configurazioni, «modificando le aspettative e suggerendo astrazioni dal flusso dell’esperienza». I sogni, le immagini mentali, i prodotti della fantasia e una gran varietà di stati intenzionali riflettono il forte potere ricombinatorio e integrativo degli eventi cerebrali che sottendono i processi coscienti. Nelle sindromi neuropsicologiche, un considerevole danneggiamento di aree cerebrali può provocare deliri, mentre nelle psicosi, alterazioni genetiche e biochimiche farmacologiche possono arrivare a compromettere l’esame di realtà. Nelle nevrosi, le connessioni funzionali tra pensieri, credenze e risposte del sistema di valori possono provocare disturbi del comportamento. Questi problemi hanno a che fare con il compromesso tra specificità e varietà in un sistema selettivo. Come detto, per Edelman, «se la tensione tra metafore nella coscienza di ordine superiore e valori normativi di una cultura non è tenuta sotto controllo, forse non è sorprendente che si possa manifestare una gran varietà di stati emotivi e di spostamenti simbolici che generano sintomi. Se il darwinismo neurale è corretto, allora anche negli stati normali ogni percezione è in qualche misura un atto di creazione e ogni ricordo è in qualche misura un atto di immaginazione. Nella malattia mentale questa misura si modifica e la sfida è capire come e perché».
L’ultima parte del libro espone il progetto di inserire le strutture che implicano l’esperienza cosciente in qualsiasi materiale che soddisfi adeguatamente i loro requisiti funzionali e la costruzione al Neurosciences Institute di una serie di Brain-Based Devices, congegni interagenti con il mondo reale, operanti autonomamente nell’ambiente e guidati da cervelli simulati la cui struttura e dinamica sono basate su principi selezionistici. Non identificabili né con macchine, né con robot automatici, poiché il loro comportamento non è preprogrammato in base a una sequenza di algoritmi, questi congegni lungi dal manifestare un comportamento cosciente, anche se non-viventi in quanto non in grado di autoriprodursi, sono nondimeno capaci di categorizzazione percettiva, di apprendimento, di condizionamento senza istruzioni e, addirittura, di memoria episodica e di conseguenza possono autonomamente individuare la posizione di se stessi e di bersagli scelti in una scena del mondo reale. Il progetto prosegue: il requisito minimo per poter credere di aver costruito un congegno cosciente sarebbe la sua capacità di riferire, mediante un linguaggio, i propri stati fenomenici interni mentre vengono misurate la sua attività neurale e corporea. Sembra, a questo punto, tutt’altro che fantascientifico l’idea di «costruire una macchina ibrida che combini le capacità sintattiche dei computer programmati e le capacità semantiche di un artefatto in grado di trattare novità e segnali d’ingresso non calcolabili». Nella conclusione, Edelman evidenzia quello che è lo spirito che attraversa tutto il libro, ossia l’idea che una separazione tra la scienza e le discipline umanistiche non è necessaria: «la scienza è al servizio della verità verificabile […] Ma le origini cerebrali dell’immaginazione scientifica non differiscono da quelle necessarie per la poesia, la musica o la costruzione di sistemi etici».

Matteo Giangrande

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