Gerald Edelman, Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana. Una recensione
In questo scritto si prende in esame
un’opera scientifica che nonostante non sia di recente pubblicazione –
la sua uscita anglofona è del 2006 – non è per tale ragione da
considerare obsoleta, quantomeno nello spirito che informa il testo. Gerald M. Edelman,
autore del libro in questione, premio Nobel nel 1972 per la fisiologia e
la medicina per i suoi lavori sul sistema immunitario, è attualmente
direttore del Neurosciences Institute di San Diego e
presidente del Dipartimento di Neurobiologia presso lo Scripps Research
Institute di La Jolla (California). Nella prefazione del suo Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana,
(tradotto in lingua italiana nel 2007 per Raffaello Cortina Editore,
nella collana diretta da G. Giorello), Edelman afferma la propria
convinzione secondo la quale, seguendo William James, «la coscienza è un processo la cui funzione è conoscere»; e, dunque, capire la coscienza è fondamentale per comprendere «quale sia la relazione tra i progressi delle scienze del cervello e i problemi della conoscenza umana». La
nascita della fisica moderna, che segna l’inizio del più profondo
cambiamento di prospettiva mai affrontato dalla specie umana, e lo
sviluppo dell’idea di selezione naturale, che fornì la base teorica per
comprendere l’evoluzione degli esseri viventi, tratteggiano un arco che
non è ancora compiuto: la scienza, infatti, non ha ancora chiarito le basi cerebrali della coscienza, esperienza irriducibilmente soggettiva, non oggettivabile. Considerando la scienza come «immaginazione al servizio della verità verificabile»
– dunque, essendo l’immaginazione dipendente dalla coscienza, anche la
scienza è dipendente dalla coscienza – Edelman, all’interno di una prospettiva che potremmo ricondurre all’ecologia
intesa come scienza che studia i rapporti tra gli esseri viventi e
l’ambiente, sostiene l’assunto che possediamo una teoria scientifica
della coscienza soddisfacente, che chiama «darwinismo neurale»,
secondo la quale la coscienza emerge dalla dinamica celebrale. In altri
termini, nell’indagare come funziona il cervello (il quale è incarnato
in un corpo, così quest’ultimo influenza ed è influenzato dall’insieme
delle relazioni con l’econicchia) è possibile formularne una teoria
globale che si possa ampliare fino a spiegare la coscienza,
permettendoci di comprendere meglio il nostro posto nell’ordine
naturale.
Il darwinismo neurale, o teoria della ‘selezione dei gruppi neuronali’, si basa su tre principi:
il primo è che lo sviluppo dei circuiti neuronali nel cervello produce
una rilevante variazione anatomica microscopica che è la conseguenza di
un «processo di selezione continua»; il secondo è che quando il
repertorio di circuiti anatomici che si formano riceve segnali provocati
dal comportamento o dall’esperienza dell’animale hanno luogo anche
cambiamenti della forza delle sinapsi già esistenti nell’anatomia
cerebrale. Il risultato finale della ‘selezione nello sviluppo’ e della
‘selezione esperienziale’ è che alcuni circuiti neuronali sono favoriti
rispetto ad altri; il terzo principio è il processo chiamato «rientro»,
ossia la segnalazione incessante da una certa regione cerebrale a
un’altra e poi di nuovo alla prima lungo fibre massicciamente parallele,
onnipresenti nei cervelli superiori. L’effetto finale di questo
traffico rientrante è la scarica sincronizzata di gruppi neuronali in
particolari circuiti. In tal modo si ottiene la coordinazione nel tempo e nello spazio che non è da rintracciare in qualche forma di computazione. Edelman è contrario all’analogia tra l’attività del cervello e il funzionamento del computer,
poiché, da un lato, il cervello non funziona utilizzando la logica e
l’aritmetica o seguendo cicli rapidissimi scanditi da un orologio e, non
essendo il mondo un pezzo di nastro codificato, non riceve segnali non
ambigui; dall’altro, poiché nel corso dello sviluppo delle strutture
anatomiche i neuroni che scaricano insieme si cablano insieme, le
diverse esperienze individuali lasciano impronte tali da far sì che «due
cervelli non siano mai identici». Inoltre, «nulla indica
l’esistenza di un programma composto di procedure efficaci per il
controllo degli ingressi, delle uscite e del comportamento del cervello.
L’intelligenza artificiale non funziona nei cervelli veri». In
sintesi, la selezione biologica, che è opportunistica, non può essere
considerata come un insieme di istruzioni informatiche. Affinché
l’adattamento possa avere successo, ogni specie eredita, in forma di
sistemi di valore presenti nel cervello per effetto della selezione
naturale, propensioni e ricompense che regolano il risultato della
selezione nello sviluppo e della selezione esperienziale coordinate dal
rientro.
Molte aree cerebrali funzionalmente
separate non hanno un coordinatore, ma sono collegate in modo rientrante
mediante fibre reciproche. Le risposte di queste aree si combinano e
danno origine a un oggetto di percezione unitaria che emerge
dall’attività di circuiti che scaricano in sincronia e collegano le
risposte dalle varie regioni separate. La memoria è una proprietà
dinamica di sistema per cui il rafforzamento e l’indebolimento delle
sinapsi facilitano il nuovo coinvolgimento di una parte dei circuiti
originari: non vi sono segnali provenienti dall’oggetto originario, ma
vi è una stimolazione, nel cervello del soggetto, di circuiti rientranti
che producono un’immagine o un pensiero dell’oggetto richiamato alla
memoria. L’immagine si forma grazie al cervello che parla a se stesso. La memoria, che è una ricategorizzazione influenzata dai sistemi di valore,
rinuncia alla precisione assoluta in cambio di potere associativo,
proprietà fondamentale per l’apprendimento. La coscienza fenomenica è
‘implicata’, non causata, dall’attività rientrante selettiva di gruppi
di neuroni nel nucleo. Essere coscienti è un’esperienza soggettiva,
privata, spesso intenzionale, di un numero innumerevole di scene, più o
meno globali, ma comunque unitarie; e ogni scena cosciente è
caratterizzata da una sensazione qualitativa. Mentre gli animali, avendo
esperienza di una scena unitaria in un intervallo di tempo di non più
di qualche secondo, il cosiddetto «presente ricordato», sono dotati di «coscienza primaria»,
ossia sono consapevoli degli eventi in corso, l’uomo, avendo capacità
semantiche o simboliche, una sintassi e un linguaggio, è cosciente di
essere cosciente, ha i concetti di passato e futuro e un sé sociale
nominabile: ad una coscienza primaria si aggiunge una coscienza di
ordine superiore che può liberare temporaneamente dai limiti del
presente ricordato.
Dopo aver illustrato in linee generali e
semplificanti la teoria di Edelman (non possiamo che rimandare al libro
stesso per avere un quadro più sfaccettato), andiamo a toccare quelli
che sono i luoghi di maggiore interesse filosofico. Partendo
dall’assunto che il cervello, come struttura fondamentale per
l’elaborazione della conoscenza, non è stato ‘progettato’ per la
conoscenza, Edelman inizia a trattare del contributo che
un’epistemologia basata sul cervello, fondata non sulla psicologia, come
voleva Quine, ma sulla biologia, può offrire al quadro
dell’acquisizione della conoscenza. Le caratteristiche epigenetiche del
‘plastico’ cervello umano dipendono dai segnali provenienti dal corpo e
dall’ambiente e, soprattutto, dall’azione, ma anche dall’interazione
delle aree cerebrali e dalle connessioni rientranti che hanno causato un
enorme aumento delle capacità discriminatorie, evidente vantaggio
adattativo. Il cervello è un sistema selettivo che funziona prima facie in base non alla logica ma piuttosto al «riconoscimento di configurazioni», un processo che può rinunciare alla specificità, se necessario, in cambio di un ampliamento della varietà. Inoltre, «i
vincoli dei sistemi di valore essenziali per l’evoluzione di
comportamenti adattivi fanno dell’esperienza emotiva un necessario
accompagnamento dell’acquisizione di conoscenza anche dopo lo sviluppo
delle capacità logiche e di analisi formale in stadi successivi».
Il fatto di possedere un linguaggio, con i suoi effetti sulla
trasmissione culturale, ha portato a un’enorme espansione del potere
concettuale. Se l’espansione linguistica e le capacità associative della
metafora possono condurre alla poesia e all’immaginazione, il
linguaggio rende possibile anche lo sviluppo della logica e ha un ruolo
nel successivo emergere dell’aritmetica. Per Edelman, «il pensiero
precede il linguaggio. Ma, una volta instauratosi il linguaggio, c’è
un’esplosione dei pensieri possibili e si è tentati di identificare
pensieri e credenze, e a volte conoscenze, sempre e soltanto con
proposizioni. L’epistemologia tradizionale ha ceduto a questa
tentazione. Nella sua ricerca di una convalida della credenza vera,
indulge a un gioco linguistico. Il suo obiettivo è nobile e ambizioso,
però si basa su un insieme limitato di assunti sui mezzi grazie ai quali
pensiamo e interagiamo con il mondo. I suoi modelli, basati sul
fondazionalismo cartesiano (che implica un ricevente separato
dell’istruzione o informazione) o, in alternativa, su una mescolanza
kantiana di idee a priori e a posteriori, non sembrano corrispondere ai
fatti. Procedendo senza far riferimento alla sperimentazione e alla
conoscenza scientifica, l’epistemologia tradizionale ignora come si
sviluppa in realtà la conoscenza».
Certamente, un limite della
epistemologia basata sul cervello è rappresentato dal fatto che
l’evoluzione umana sia accompagnata dalla coevoluzione della ‘cultura’.
Edelman riconosce che il dover essere, e in generale la ‘seconda natura’, non deriva dall’essere. «Una
spiegazione scientifica esclusivamente riduzionistica di questa seconda
natura, della sua etica e della sua estetica non è desiderabile né
probabile né imminente. I fattori culturali hanno una grossa parte nella
determinazione delle credenze, dei desideri e delle intenzioni».
La cultura, che costituisce un potente mezzo di cambiamento che
influenza profondamente le basi della conoscenza e del comportamento,
non è equiparabile direttamente all’ambiente naturale. Edelman, che contesta come indifendibili le tesi riduzionistiche,
secondo cui anche sistemi normativi come l’etica e l’estetica si
possano spiegare riconducendoli a una serie di regole epigenetiche del
cervello, afferma che sebbene tutti gli eventi storici seguano leggi
fisiche, queste non sono in grado di spiegare pienamente tutti gli
sviluppi storici: «l’evoluzione del cervello e di menti coscienti è
avvenuta per selezione naturale nell’ambito della struttura data dalle
leggi fisiche; in seguito all’evoluzione dell’Homo sapiens, l’emergere
del linguaggio e della coscienza di ordine superiore ha consentito lo
sviluppo della scienza empirica. L’applicazione della logica in
relazione al linguaggio e all’osservazione del mondo, e della matematica
come studio di oggetti mentali stabili, ha profondamente arricchito
questi sviluppi. Ciò nondimeno, essi hanno avuto luogo nell’ambito di
uno specifico contesto storico che non è riducibile a questi stessi
sviluppi. Inoltre, non vi è contraddizione nel fatto che cervelli
selettivi capaci di coscienza di ordine superiore e di riconoscimento di
configurazioni possano creare sistemi artistici, estetici o etici in
particolari condizioni storiche e culturali. Possiamo concludere che tra
la scienza e discipline umanistiche non vi è una separazione
logicamente necessaria, ma solo un rapporto di tensione in cui la
scienza è riconosciuta come una base fondamentale, ma non esaustiva né
unica, della conoscenza».
Edelman condivide l’idea secondo la quale esistano tipi differenti di conoscenza, scientifica, matematica, storica. La frattura tra la scienza e le discipline umanistiche
si origina oltre che dal dualismo cartesiano per il quale la coscienza
era distinta e separata dal mondo conoscibile, anche dal fatto che,
proprio in ragione dell’oggetto d’indagine, tanto le metodologie quanto
gli obiettivi della scienza differiscano da quelli dell’analisi storica:
gli eventi storici, contingenti, irreversibili, unici, situati
all’intero delle peculiarità di una determinata cultura sono
qualitativamente differenti rispetto alle regolarità che lo scienziato
può rintracciare nell’ordine naturale. Ora, naturalizzare la coscienza
potrebbe offrirci non solo una base per una solida teoria della
conoscenza, ma anche individuare quali fattori governano l’emergere
storico della conoscenza scientifica. Sappiamo infatti che il cervello,
irriducibilmente soggettivo, opera selettivamente avendo di mira sia il
riconoscimento di configurazioni sia la determinazione di regolarità.
Nelle modalità di pensiero dei cervelli selettivi vi è un insieme di
relazioni tra riconoscimento di configurazioni e logica che è allo
stesso tempo contrastivo e di rinforzo. Una prima e fondamentale
modalità di pensiero che dipende in larga misura dal riconoscimento di
configurazioni è legata alla metafora, riflesso della
varietà e dell’associatività di reti cerebrali, i cui prodotti possono
essere comprensibili, ma non sono dimostrabili come le proposizioni
logiche o le similitudini. Il linguaggio stesso riflette l’aspetto
costruttivo e tuttavia intrinsecamente ambiguo e indeterminato di questa
modalità di pensiero. Queste caratteristiche sono il risultato del
compromesso tra specificità e varietà in sistemi selettivi. I vari
repertori di questi sistemi non corrispondono mai in modo perfetto ai
contenuti dei domini che devono riconoscere. Tuttavia, una volta
avvenuta la selezione su una gamma di varianti, può aver luogo un
perfezionamento sempre più specifico: se nell’analisi storica non si può
andare oltre l’interpretazione e il giudizio qualitativo, nelle scienze
applicando la logica o la matematica alle osservazioni si possono
rintracciare regolarità.
Per Edelman, così come è un’illusione
utile il senso della durata del tempo, poiché esiste solo il presente
ricordato, così è un’illusione utile l’idea che la coscienza produca
effetti fisici; in realtà, la coscienza, implicata dall’attività causale del cervello, serve ad informarci dei nostri stati cerebrali, ma non li determina. Inoltre, riguardo alla relazione tra aspetti normativi e gli stati neurali, rifiutata la fallacia naturalistica,
Edelman sostiene che negli esseri umani l’apprendimento di categorie
può modificare i punti di regolazione dei sistemi di valore, i quali
possono avviare la costruzione di obblighi in una società senza
determinarli.
Se la descrizione scientifica del mondo
riguarda la natura, la creatività, considerata come un riflesso dei
sistemi neurali selettivi, manifesta la capacità del nostro cervello di
produrre una seconda natura: i vincoli derivano dalle esperienze
nell’ambito di una certa cultura, che determinano la scelta e la
risposta alle configurazioni, «modificando le aspettative e suggerendo
astrazioni dal flusso dell’esperienza». I sogni, le immagini mentali, i
prodotti della fantasia e una gran varietà di stati intenzionali
riflettono il forte potere ricombinatorio e integrativo degli eventi
cerebrali che sottendono i processi coscienti. Nelle sindromi
neuropsicologiche, un considerevole danneggiamento di aree cerebrali può
provocare deliri, mentre nelle psicosi, alterazioni genetiche e
biochimiche farmacologiche possono arrivare a compromettere l’esame di
realtà. Nelle nevrosi, le connessioni funzionali tra pensieri, credenze e
risposte del sistema di valori possono provocare disturbi del
comportamento. Questi problemi hanno a che fare con il compromesso tra
specificità e varietà in un sistema selettivo. Come detto, per Edelman, «se
la tensione tra metafore nella coscienza di ordine superiore e valori
normativi di una cultura non è tenuta sotto controllo, forse non è
sorprendente che si possa manifestare una gran varietà di stati emotivi e
di spostamenti simbolici che generano sintomi. Se il darwinismo neurale
è corretto, allora anche negli stati normali ogni percezione è in
qualche misura un atto di creazione e ogni ricordo è in qualche misura
un atto di immaginazione. Nella malattia mentale questa misura si
modifica e la sfida è capire come e perché».
L’ultima parte del libro
espone il progetto di inserire le strutture che implicano l’esperienza
cosciente in qualsiasi materiale che soddisfi adeguatamente i loro
requisiti funzionali e la costruzione al Neurosciences Institute di una serie di Brain-Based Devices, congegni interagenti con il mondo reale,
operanti autonomamente nell’ambiente e guidati da cervelli simulati la
cui struttura e dinamica sono basate su principi selezionistici. Non
identificabili né con macchine, né con robot automatici, poiché il loro
comportamento non è preprogrammato in base a una sequenza di algoritmi,
questi congegni lungi dal manifestare un comportamento cosciente, anche
se non-viventi in quanto non in grado di autoriprodursi, sono nondimeno
capaci di categorizzazione percettiva, di apprendimento, di
condizionamento senza istruzioni e, addirittura, di memoria episodica e
di conseguenza possono autonomamente individuare la posizione di se
stessi e di bersagli scelti in una scena del mondo reale. Il progetto
prosegue: il requisito minimo per poter credere di aver costruito un
congegno cosciente sarebbe la sua capacità di riferire, mediante un
linguaggio, i propri stati fenomenici interni mentre vengono misurate la
sua attività neurale e corporea. Sembra, a questo punto, tutt’altro che
fantascientifico l’idea di «costruire una macchina ibrida che
combini le capacità sintattiche dei computer programmati e le capacità
semantiche di un artefatto in grado di trattare novità e segnali
d’ingresso non calcolabili». Nella conclusione, Edelman evidenzia
quello che è lo spirito che attraversa tutto il libro, ossia l’idea che
una separazione tra la scienza e le discipline umanistiche non è
necessaria: «la scienza è al servizio della verità verificabile […]
Ma le origini cerebrali dell’immaginazione scientifica non differiscono
da quelle necessarie per la poesia, la musica o la costruzione di
sistemi etici».
Matteo Giangrande
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