Presentazione

La Logica di Russel, il Coraggio di Camus e la Fede di Chesterton.

lunedì 7 ottobre 2013

Emil Cioran 2

Da "http://tuttocioran.com/" :

L’intervista di Christian Bussy a Cioran

Grazie all’impegno di Massimo Carloni *, è stata tradotta in italiano una video-intervista inedita del 1973 di Emil Cioran, da parte del giornalista Christian Bussy, recuperata recentemente da Antonio di Gennaro (come ci informa lo stesso autore).
Massimo Carloni, che ha curato il libro “Per nulla al mondo. Un amore di Cioran” di Friedgard Thoma e che è il “traduttore” di altri video su Cioran (che è possibile vedere anche su questo post), cortesemente, mi ha anche rilasciato due righe di introduzione, che riporto qui interamente:
L’intervista di Christian Bussy a Cioran, è stata trasmessa dalla Radio-Télévision belga della Communauté française (RTBF), il 4 Aprile 1973.
Nel marzo del 1990, in occasione della pubblicazione in Francia di Sur le cimes du désespoir, la televisione francese aveva programmato la trasmissione dell’intervista, ma Cioran all’ultimo momento si oppose, così come riportò il Nouvel Observateur Livres del periodo, che in esclusiva pubblicò qualche estratto dell’ «interview que vous ne verrez pas à la télévision».
Nel giugno 1995, all’indomani della morte, l’intervista venne finalmente trasmessa anche Francia, suscitando l’emozione di Simone Boué nel rivedere ancora “vivo” il suo Cioran: «Due settimane fa, dopo aver visto in TV un’intervista rilasciata nel 1972 [1973] alla televisione belga, dove era così brillante, straordinario, così interamente se stesso, mi son detta: “no, no, non è morto”»[1].
In seguito l’intervista è stata trasmessa anche dalla Televisione Romena, mentre è inedita in versione italiana. Christian Bussy ha gentilmente messo a disposizione dell’amico Antonio Di Gennaro – studioso di Cioran che sta raccogliendo tutti gli entretiens ancora inediti – la trascrizione completa dell’intervista (un po’ più lunga rispetto alla versione trasmessa in TV della durata di circa 30 min.) da cui sono stati tratti i sottotitoli in italiano.
[1] Lettera di Simone Boué a Wolfgang Kraus del 7 luglio 1995. La lettera fa parte del carteggio tra Cioran e Wolfgang Kraus, in uscita nel 2014 in traduzione italiana, con il titolo: Agonia dell’Occidente. Lettere a Wolfgang Kraus (1971-1990), presso Edizioni Bietti.
Nell’intervista, Bussy definisce Cioran “il testimone dell’inquietudine del nostro tempo” e fa quasi tenerezza l’avvertenza “vi chiedo di fare qualche leggero sforzo di attenzione per abituarvi al suo accento franco-romeno e alla rapidità del suo eloquio”, essendo “la prima volta che Cioran viene intervistato”.
Nell’intervista c’è molto del Cioran più autentico, come si può intuire da alcuni scambi di battute:
Bussy: “Paul Valéry rispondeva alla domanda ‘Perché scrivete?’ e lei?”
Cioran: “Per debolezza. No, è molto di più che per debolezza, per miseria interiore. Per tracollo addirittura. E quindi alla fine, per necessità. E’ per non gridare, per non urlare”.
“Mi sento prossimo a Baudelaire e a Pascal (che non sono dei ribelli) perché hanno il sentimento dell’Irreparabile”.
“Apprezzo molto Dostoijesky perché in lui c’è un miscuglio di distruzione che sfocia in altro, di estremo.
Vivere è distruggersi non tanto per una carenza ma per una sorta di pienezza pericolosa.
Non c’è niente di deprimente in questo, i personaggi di Dostojevskij sono semidei”.
“Ho la passione dell’amicizia, l’uomo che ho apprezzato di più in gioventù è un romeno che non ha scritto nulla ma che è un uomo straordinario. Così come ci sono molti uomini straordinari al di fuori del circuito intellettuale, più lucidi di me (la lucidità è la qualità più eminente di una persona, la qualità più importante, di un uomo che ha compreso) quindi più superiori ed ero molto contento di frequentarli”.
“Ho letto molte biografie di suicidi da giovane e devo dire che ne ho tratto molto beneficio” perché ”il dramma non è morire, è nascere”.
Nel descrivere il suo personale e per certi versi conflittuale rapporto con la scrittura, si comprende perché la lettura di Cioran non può lasciare indifferente:
“Si scrive per fare del male, per sconcertare. Uno scrittore che, in un modo o nell’altro, non vi martirizza, non mi interessa”.
“I miei lettori sono poveracci, delle persone pietose, degli sventurati e per la maggior parte sono nevrotici. Beh, leggere certe mie cose è stata per loro una sorta di liberazione”.




Ringrazio Massimo Carloni per la disponibilità.
Per chi volesse approfondire, la rivista Orizzonti culturali italo-romeni - che dedica uno spazio esclusivo a Cioran (Spazio Cioran) - ha pubblicato un’intervista a quest’ultimo che è possibile leggere qui  (n. 7, luglio 2012, anno II).
Alla domanda “Com’è arrivato a conoscere l’opera di Cioran?” Massimo risponde:
Nella prima metà degli anni ’90 m’imbattei in qualche suo aforisma, riportato in un libro sul Pensiero negativo e la nuova destra, dove Cioran era frettolosamente annoverato tra gli scrittori del tramonto, sulla scia di Nietzsche, Spengler, Bataille, ecc. Furono sufficienti due o tre formule, da cui emanava una luce particolare, miracolosa, per decidere di approfondire l’opera di questo scrittore a me sconosciuto, definito magiaro (sic!) in quel saggio. Così, ammaliato dal titolo, scelsi la ‘Tentation d’exister’. La vera folgorazione, tuttavia, avvenne quando da Parigi mi portarono in regalo il volume delle Opere edito da Gallimard. Il contatto diretto col suo francese, ad un tempo levigato e dirompente, fu decisivo. Mi commossero poi le foto della sua mansarda. Quest’uomo – mi dissi – non si limita a meditare intorno all’essenziale: lo vive.
Queste sensazioni accomunano chi si approccia al pensiero e allo stile di Cioran. Chiunque esso sia, me compreso. Ed è in fondo il motivo della sua grandezza.

* Massimo CARLONI – studi in scienze politiche e filosofia all’Università di Urbino. Ha dedicato diversi studi a Cioran, pubblicati in volumi collettanei e in rivista internazionali. Ha realizzato il progetto editoriale per la traduzione italiana del libro di Friedgard Thoma, Per nulla al mondo. Un amore di Cioran (éd. l’Orecchio di Van Gogh, 2009). Libri di prossima pubblicazione: edizione italiana delle lettere di Cioran al fratello (con H.- C. Cicortaş, Archinto, Milano, 2014), a Wolfang Kraus (con Pierpaolo Trillini, Bietti, Milano, 2014), e la corrispondenza Eliade-Cioran (con H.- C. Cicortaş, 2015).

Il nichilismo perfetto di Cioran

In questo  articolo di Mino Vignolo apparso sul Corriere della Sera  del 15 luglio del 2000, Fernando Savater (di cui ho già parlato in precedenti articoli su questo blog) mette sulla bilancia due grandi pensatori, Nietzsche e Cioran e afferma:
saranno stati cattivi maestri, ma rimangono fra i più affascinanti pensatori moderni. Hanno influito sulla mia vita quotidiana, dato che i miei pensieri sono la mia vita“.
Se la filosofia non è vita quotidiana (e a volte non sa esserlo) allora si riduce a chiacchiericcio speculativo da postribolo intellettuale. Di cui onestamente non se ne avverte la necessità.

Con Cioran sulle strade del nulla

L’autore di “Etica per un figlio” parla del suo apprendistato giovanile con il pensatore romeno, un Nietzsche redivivo

Fernando Savater spiega perché non gli piace essere chiamato Filosofo, una parola imponente, con effe maiuscola.
“La parola Filosofo vorrei riservarla per i grandi maestri come Kant o Spinoza. In altri contesti mi pare pretenziosa. Io mi guadagno la vita insegnando Filosofia e mi accontento di essere un filosofo, con effe minuscola”.
Il filosofo e saggista Savater, che a giudizio di molti merita la maiuscola, addita come “cattivo maestro” intellettuale Emile Cioran, lo scrittore e filosofo romeno vissuto quasi tutta la sua esistenza a Parigi, il franco tiratore del pensiero, il nichilista alle cui spalle si annida un altro grande e cattivo maestro, Friedrich Nietzsche, un tempo ammirato. “Cioran l’ho conosciuto bene ed ero diventato suo amico – dice -. Era anche un grande scrittore in francese e ne ho tradotto le opere in spagnolo.
Il suo pensiero aveva molti elementi nietzschiani e non poteva non attrarmi quand’ero giovane, appartenendo io alla corrente dei neonietzschiani. Il suo nichilismo era perfetto (il grassetto è mio, Ndr), ed era affascinante a quei tempi leggere parole come le seguenti che spiegano la ragione per cui scriveva:
“Non si scrive perché si ha qualcosa da dire ma perché l’inconveniente di essere nati risulta talmente insopportabile che non si può più fare a meno di vomitare i propri segreti. Questa è l’illusione che ci resta”.
O un’altra frase come:
“Annientare con le parole offre un senso di potenza e lusinga qualcosa di oscuro in noi. Non è erigendo, è polverizzando che possiamo intuire la segreta soddisfazione di un dio”".
Cioran sembrava un Nietzsche redivivo (il grassetto è mio, Ndr). Ed era intriso del pensiero nietzschiano.
“Nietzsche è un autore “pericoloso” – commenta Savater -, un pensatore chiaramente antidemocratico, occasionalmente antiumanista, che è stato oggetto di una lettura perversa da parte dei nazisti tedeschi e di altri personaggi politici indesiderabili del XX secolo”.
Un autore, insomma, da maneggiare con prudenza.E la prudenza può essere una virtù rara nei giovani studiosi che, alle prese con pensatori molto brillanti e a volte truculenti, ne sono affascinati.
“Quando si è giovani si può essere insensibili. Ti piace sentir dire enormità del tipo: “Io non sono uomo, sono dinamite”.
Chi è giovane vuole essere dinamite e si può innamorare del Nietzsche più rumoroso e truculento o di Cioran, autore nel pieno della sua attività, lucido nel suo pessimismo, un uomo sedotto dal nulla, affascinato dall’irrazionale.
In seguito si potrà essere attratti da aspetti più profondi di un pensiero, che esistono anche se sono stati ignorati a profitto delle frasi a effetto. “Conobbi Nietzsche a 16 o 17 anni. Così parlò Zarathustra mi fu regalato da mia madre, maestra di scuola e amante dei libri, che mi aveva insegnato il piacere della lettura con Salgari, Verne, con romanzi di avventura e polizieschi. Generi che mi piacciono ancor oggi. Avevo già letto libri di filosofia, Bertrand Russell, filosofi democratici, illuminati. Nietzsche fu una rivelazione. I suoi toni eccessivamente acuti, sonori, che ora non mi piacciono, mi attrassero in modo incredibile e posso dire che il filosofo tedesco è stato uno dei pensatori che più mi hanno influenzato negli anni giovanili.
Mi attraeva il pensiero secondo cui l’autentica esistenza filosofica è quella di chi gioca e comanda, quella di chi determina i valori e distrugge le vecchie tavole delle leggi che regolano la collettività, di chi non obbedisce alla necessità ma decide ciò che è necessario.
Conta l’Io, l’Unico: di fronte a lui nessuna istituzione, Stato, Chiesa o partito politico prevalgono. Proprio lo Stato è definito “il più freddo dei mostri freddi”.
Guardando le cose con occhio più maturo e scettico si può sorridere, ma un ragazzo può rimanere impressionato.
In seguito conobbi Cioran e ne fui affascinato alla stessa maniera, anche se ero meno giovane”.
Era l’epoca della dittatura di Franco quando il giovane Fernando Savater venne folgorato da Così parlò Zarathustra . E non fu il solo nella Spagna dell’epoca. Entrò dunque a far parte del gruppo dei neonietzschiani. “Eravamo un gruppo di giovani che volevano scrivere di filosofia o almeno “fare” filosofia. Non volevamo essere incasellati in una delle due grandi famiglie filosofiche spagnole che si opponevano, all’inizio degli anni Settanta, all’ortodossia conservatrice e clericale impartita nelle aule universitarie.
Le due famiglie erano la “marxista” e l’”analitica”, della scuola di Oxford. Essere neonietzschiani allora significava essere antifranchisti, antiautoritari, anticlericali, irriverenti come qualsiasi materialista dialettico, però con un supplemento attraente di corpo emancipato e allegria individuale che la ferrea disciplina marxista o maoista non approvava. Esser neonietzschiani era essere solennemente antisolenni, dire “gioco” quando altri dicevano “lavoro” o “impegno”, ripudiare l’ordine stabilito in un caos danzante”.
Nelle parole di Fernando Savater, uomo allegro e divertente, coltissimo senza nessuna pedanteria, l’inizio degli anni Settanta, ultima tappa del lungo regime franchista, emerge come un periodo estremamente vitale nell’attesa del cambiamento.
“Essere neonietzschiani era una maniera di essere giovane in Spagna. Non certamente l’unica, né la migliore. Il franchismo era talmente noioso che di conseguenza pure l’antifranchismo tendeva a diventare noioso. Una vernice nietzschiana servì allo scopo. I giovani di oggi, più fortunati e più liberi, non ci giudichino troppo severamente… C’era un grande contrasto fra le nostre rivendicazioni di fronte alla dittatura (libertà di espressione e di riunione, diritto di sciopero e di associazione sindacale, partiti politici, stampa e cinema senza censura) e lo smisuratamente truculento dei nostri modelli intellettuali: Nietzsche, Cioran, Sade o Bataille. Sognavamo l’inaudito o l’incredibile, ma eravamo segretamente impazienti di accontentarci del buonsenso e dei limiti della democrazia parlamentare. Questa disposizione borghese servì da antidoto contro gli ingredienti intellettuali più velenosi”. La retorica franchista non ricordava in alcuni aspetti la retorica nietzschiana? “I proclami della retorica franchista non mi erano mai piaciuti. Mai avevo provato lo stesso fascino intellettuale che provavo per i proclami di Nietzsche, un autore stimolante che portava elementi necessari alla filosofia. Nulla di tutto ciò si trovava nella retorica franchista”.
Dopo la morte di Franco e la transizione alla democrazia, certi aspetti del pensiero di Nietzsche e di Cioran sono sottoposti a revisione e i due si trasformano pian piano da maestri intellettuali in “cattivi maestri”…
“Nel mio caso personale, per parlare, come ha detto Unamuno, dell’unico rappresentante dell’umanità che ho a portata di mano, sono stati forse lo stesso Nietzsche e lo stesso Cioran a servirmi da profilassi contro la mancanza di misura. Il contrasto fra una affermazione della forza senza misericordia e una constatazione non misericordiosa dell’umana debolezza mi ha portato verso la misericordia. Verso gli altri, certamente, però in primo luogo verso me stesso. Per questo motivo ho cercato di recuperare la riflessione etica non a partire dall’altruistica compassione ma dall’amor proprio, bene inteso”.
Da Nietzsche Savater ha imparato a ridere di chi crede di essere un “uomo superiore” e da Cioran ha appreso che la pretesa più risibile fra tutte è quella di credersi “uomo superiore”.
E tanto da Nietzsche che da Cioran ha imparato che per essere nella verità occorre “marciare in deserti senza dei”.
Fra gli dei aboliti il filosofo e saggista mette in prima fila razzismo e nazionalismo, “i Moloch del sangue e della terra, gli idoli della rapina o dei lavori forzati, la venerazione nei confronti dei tiranni salvifici che liberano gli incauti del peso della libertà con la promessa di una ricompensa maggiore”.
Se sono stati proprio i “cattivi maestri” Nietzsche e Cioran a liberarla degli influssi nietzschiani, allora è difficile considerarli ancora “cattivi maestri”…
“Lo hanno fatto a loro insaputa e contro la loro volontà. Non direi che mi hanno insegnato ad amare, però mi è rimasto il consiglio che “quando non si può continuare ad amare si deve passare al largo”. Per non perder il mio tempo e la mia vita odiando sono passato molte volte al largo. Continuo a passare al largo, però di tanto in tanto getto provvisoriamente l’ancora. Senza tormento ritorno dal neonietzschianesimo a un certo Nietzsche. Lui e Cioran saranno stati cattivi maestri, ma rimangono fra i più affascinanti pensatori moderni. Hanno influito sulla mia vita quotidiana, dato che i miei pensieri sono la mia vita”.

Corriere della Sera, 15/07/2000

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